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AN02105 LEPRE

 

IL RICCIO E LA LEPRE

C'era una volta una lepre che, accovacciata nella sua tana e al caldo, se la godeva a guardare dal buco del suo ricovero e se la rideva dentro di sé sentendosi al sicuro: fuori la neve la faceva da padrona giocando col il vento. Era, diciamo, in contemplazione dei fiocchi di neve quando ad un certo momento vide avvicinarsi un riccio, che essendo irrigidito, alternava passettini ad appallottamenti. Quando la palla spinosa giunse davanti al buco della tana, con un fil di voce salutò cortesemente la compagna, e le chiese: "Come stai in questa tana?" "Bene" rispose la lepre. "Io invece" soggiunse il riccio, "tremo dal freddo e non trovo un buco dove ricoverarmi. Puoi farmi un posticino in questa tana?"

Rispose quella: "Mi dispiace di non poterti accontentare; è così piccola la mia casa che ci posso stare io sola". "Ma vedi se ti stringi un po' alla parete" replicò il riccio, "io sono tanto piccolo; una pallottola può trovare posto dappertutto". "Ma non è possibile" riprese la lepre; "la tana può contenere o te o me".

"E facciamo la prova" aggiunse il riccio; "prometto che se non ci sarà spazio, me ne andrò subito". La lepre, con la santa pazienza, si strinse alla parete e l'altro, sforzandosi di aggomitolarsi il più possibile, entrò. Come fu nella tana, disse alla compagna: "Hai visto! Stiamo comodi tutti e due".

Lasciato il freddo fuori, il riccio, - piano piano -  cominciò a distendere il corpo acquistando un volume triplo di quello che aveva prima. Come aumentava di spazio, egli spingeva la lepre, che punta dagli aculei, cominciò a protestare ed a lamentarsi. Il riccio rispose: "Che vuoi da me? Questa è la mia natura: devi prendertela con chi mi ha creato. È lui che mi ha fatto così". "Ma no" continuò la lepre "devi rimanere aggomitolata, altrimenti mi strazi le carni".

"È giusto quello che dici" insisté il riccio, "ma non posso trattenermi dallo sviluppare il mio corpo, perché ho un bisogno urgente". Intanto i suoi aculei, oltrepassando il pelo della lepre, cominciavano a penetrare nelle carni della povera lepre che, per non rimanere uccisa, fu costretta a scappare da quella tana, maledicendo l'intruso, che l'aveva ripagata con tanta ingratitudine.

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LA VOLPE E IL LUPO

Un tempo gli Abruzzesi erano soliti, dopo aver fatto la ricotta, metterla ad asciugare.

La volpe una volta scoprì quest'abitudine, fece un buco nella rete di recinzione e ogni giorno andava a mangiare un po' di ricotta. Però, per essere sicura di poter scappare, ogni volta che ne mangiava si andava a misurare nel buco della rete.

Gli Abruzzesi, quando trovavano la ricotta mangiucchiata, picchiavano i gatti credendoli colpevoli.

Un giorno si misero a fare la guardia. Quel giorno la ricotta era particolarmente buona e la volpe ne mangiò tanta da gonfiarsi la pancia senza pensare a misurarsi, così non riuscì più ad uscire.

Gli Abruzzesi la videro e cominciarono a bastonarla tanto da farle ricacciare tutta la ricotta che aveva mangiato.

Carica di botte, ma con la pancia ormai vuota, finalmente la povera volpe riuscì a scappare. Andando per la via incontrò il lupo che aveva camminato a lungo senza mangiare niente. Il lupo, vedendo la volpe malconcia, le chiese:

  • Comare volpe, cosa è successo?

La volpe gli raccontò l'accaduto. Il lupo, sentendosi debole e affamato, voleva andare a vedere il luogo descritto dalla volpe, ma questa glielo sconsigliò. Il lupo, incurante dello stato pietoso della volpe le impose di accompagnarlo lo stesso:

  • O mi porti addosso - le disse - o, con la fame che ho ti mangio all'istante.

La volpe impaurita le rispose:

  • Appoggiati a me e andiamo.

Il lupo era però molto pesante da portare per la povera volpe che, per strada, cominciò a cantare una filastrocca:

Ntano ntano ntano

 

Il rotto porta il sano.

U rutte porte u sane

  • Cosa c'è? - chiedeva il lupo. E la volpe rispondeva:
  • Niente, la febbre, causata dalle botte, che mi fa delirare - . Intanto pensava: "Come faccio ad arrivare al paese in queste condizioni?". E continuava a cantare la filastrocca.

Ntano ntano ntano

Il rotto porta il sano.

 Arrivarono vicino ad un pozzo e la volpe disse al lupo:

  • Compare lupo, ci riposiamo un po'? Io ho sete.
  • Va bene. Io mi riposo da un lato e tu dall'altro.

Quel giorno c'era la luna piena di quinta decima, che si rifletteva interamente nel pozzo. La volpe chiamò il lupo e disse:

  • Compare lupo, che bel pezzo di formaggio c'è laggiù!

Il lupo dapprima non voleva crederci, poi voleva scendere a vedere di che si trattasse. Ma la volpe, furba, disse:

  • Aspetta, scendo prima io.

Il lupo non voleva e replicava:

  • Io ho fame! Fai scendere me.

La volpe più veloce si mise nel secchio (galette) e scesce nel pozzo, mentre il lupo aspettava ansioso con le zampe appoggiato al bordo del pozzo.

La volpe da giù urlò:

  • Compare lupo, è proprio un pezzo di formaggio fresco. Scendi, scendi che c'è da mangiare anche per te.

Il lupo non se lo fece ripetere, si mise nell'altra galetta e, poiché era più pesante della volpe, precipitò giù mentre la galetta della volpe salì. Uscita che fu dal pozzo l'astuta volpe si allontanò, prendendosi gioco del lupo che era rimasto imprigionato.

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LA VOLPE E IL LUPO

Un giorno la volpe aveva una gran sete e diceva: - Ho sete e voglio bere. Come faccio? Finalmente vide un pozzo... - Ma come faccio a bere? - Si diceva la volpe. Nel pozzo c'erano due secchi, attaccati alla corda, uno era giù nel pozzo, uno era su. La volpe entrò nel secchio vuoto e velocemente scese nel pozzo, e potè bere a volontà.Ma quando volle uscire si trovò nei guai: non sapeva come fare. - Aiuto! Aiuto! - Si mise a gridare.Finalmente passò di lì un lupo e udì la voce della volpe.Si affacciò al pozzo: - Commare volpe, perché gridi aiuto?- Compare Lupo mi devi aiutare!- E come devo fare per aiutarti?- E' semplice, metti i piedi nel secchio.Il lupo mise i piedi nel secchio e... la volpe salì velocemente e saltò fuori.- E ora io cosa faccio? - Gridò il lupo.- Compare, il mondo è fatto a scale, c'è chi scende e c'è chi sale!

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AN01341_.WMF (16036 byte)IL CANE ED IL LUPOAN03679_.WMF (10522 byte)

Una volta un lupo s'imbatté in un cane, e strinse con lui amicizia. S'incamminarono per le vie di campagna e parlavano di tante cose; ma mentre il cane era franco e spregiudicato, il lupo era timido e pauroso; di tanto in tanto guardava da ogni parte per vedere se venisse qualcuno, e bastava il più piccolo rumore perché cessasse di parlare; la caduta di una foglia da un albero, l'ombra di un uccello che volasse, lo faceva trasalire; subito drizzava le orecchie e stava in allarmi. Il cane meravigliato di quello strano contegno gli disse: "Io non ti vedo tranquillo un momento, che hai?" "Non posso essere in pace - rispose il lupo - perché ho nemico tutto il mondo".

"Si capisce! - riprese il cane - tu sei birbone, e non pensi che a fare male agli altri".

E non sentendosi sicuro della di lui compagnia, lo lasciò, e se ne andò solo dicendo: "E' meglio andar solo che male accompagnato!".

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LA CAPRA FERRATA

Una volta c'era un mestiere che adesso non c'è più: il mestiere di lavandaia.

Allora, quando le lavandaie dovevano fare il loro mestiere, passo dopo passo - con in testa un cesto pieno di robe sporche - se ne andavano a lavare per i signori del paese i panni sporchi alla fontana o al fiume vicini.

Questa volta in un paese viveva una lavandaia, Concettina, che aveva un figlio di nome Ferruccio.

In quel paese erano tutti amici, si aiutavano in caso di bisogno: i ragazzi giocavano insieme e la vita scorreva tranquilla; ma questa tranquillità era spesso interrotta da un pericolo che incombeva su tutti e di cui non riuscivano a liberarsi: la capra Ferrata.

Era una capra grossa come un toro, con delle corna enormi, di una ferocia mai vista: quando arrivava, quasi ruggendo come un leone, distruggeva tutto; tutti avevano paura di lei e correvano a nascondersi sprangando bene le porte delle case.

Un giorno di questa storia capitò che la mamma di Ferruccio doveva andare come al solito alla fontana fuori paese a lavare e stendere la biancheria; prima di uscire raccomandò al figlio:

  • Chiudi bene la porta! Stai dentro! La capra è qua attorno!

La mamma a fare il mestiere di lavandaia e il figlio a fare il bravo figlio ubbidiente nella casa sprangata.

Capitò che (in paese tutti erano amici) dopo un po' arrivarono gli amici di Ferruccio: Riccardo il Sordo, Michele di Faiele, Tonino dell'aceto, Armando del bando, Vituccio il ciuccio, Pasquale il fanale e altri due o tre compagni della banda capeggiata dal Sordo (Così si chiamava il gruppo di amici del vicinato, Banda del Sordo, che guerreggiava con la Banda dello Scellerato).

Quando gli amici-banditi lo chiamarono invitandolo a venire fuori per organizzare una "guerra" contro i "nemici". Ferruccio, anche se bravo e ubbidiente, non seppe resistere all'invito e, uscito a razzo dalla casa, dimenticò di serrare ben bene la porta e la lasciò socchiusa.

Questa volta la guerra da organizzare necessitava di un sopraluogo nella via principale per stabilire i vari trabocchetti e le diverse imboscate da attuare.

Mentre Ferruccio, dimenticando le raccomandazioni, si allontanava con gli amici, la capra ferrata non vuoi che capitò proprio da quelle parti? E non vuoi che vedendo la porta di quella casa socchiusa entrò?

Immaginatevi che macello combinò: rovesciò mobili, mangiò tutto quello che le capitava a tiro e... Distrusse tutto!

Intanto mamma Concettina, finito il suo lavoro, stava ritornando a casa, quando da lontano vide Ferruccio che giocava alla guerra.

  • Ferruccio, che fai qui? Ti avevo raccomandato di rimanere chiuso in casa!
  • Sono venuti i miei amici e non potevo dire di no - rispose Ferruccio.

Andarono di corsa verso casa, ma ormai era troppo tardi: dall'interno si sentivano i rumori e i versi della capra. Mamma e figlio erano disperati, come avrebbero fatto a liberarsi di quel flagello?

Arrivarono gli altri abitanti del paese, armati di forche, bastoni, uncini, falci; arrivarono gli amici banditi del Sordo; arrivarono anche i nemici banditi dello Scellerato che, tutti, avrebbero voluto ammazzare la capra, ma questa sembrava sempre più inferocita e nessuno osò affrontarla, anzi, ai suoi ruggiti, fuggirono tutti (prima di tutti i banditi), spaventati dai ruggiti della capra.

Ferruccio e la sua mamma, in lacrime, rimasero da soli fuori della loro casa, quando sulla spalla di Ferruccio si posò fischiettando un uccellino:

  • Ferruccio, perché piangi? Non aver paura! La faccio uscire io! - cinguettò l'uccellino.

Infatti, l'uccellino entrò dal camino e si fermò sull'armadio più alto, dove la capra non poteva arrivare. Fece qualche gorgheggio e cominciò:

Se vengo lì, col mio beccuccio

la testa ti sbuccio

e poi ti accuccio.

La capra ruggiva minacciosa, cercando di intimorire anche l'uccellino. Quest'ultimo, senza scomporsi, continuò a ripetere il suo avvertimento:

Se vengo lì, col mio beccuccio

la testa ti sbuccio

e poi ti accuccio.

La capra, vista la mala parata, se ne scappò, lasciando così via libera a Ferruccio e a sua madre, che non sapevano come ringraziare l'uccellino.

Quello che non erano riusciti a fare in tanti, armati fino ai denti, riuscì invece a farlo l'uccellino, armato solo di un piccolo becco.

Storia non è più

ai banditi facciamo cucù.

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