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IL CANE, IL GATTO,IL PESCE E IL TOPO

na volta un gatto, girando sui tetti delle case, vide un cane che faceva la guardia ad un tendone d'uva baresana che, per la sua squisitezza, veniva chiamata anche uva paradiso. "Buon giorno!", gli disse "Come stai?"

"Bene!", rispose l'altro. "E come te la passi?", soggiunse il gatto. "Non mi manca nulla.", replicò il cane "Il padrone mi dà pane, carne e maccheroni ed io sono felice di servirlo!". "E sei contento di questa vita?", domandò il gatto. "Sì!", rispose quello "Solo mi duole di essere sempre incatenato. Vuoi farmi il favore di sostituirmi per un po' di tempo ché mi vado a fare un giro?". Il gatto acconsentì ed il cane, prima di allontanarsi, gli raccomandò di fare buona guardia e di essere severo con tutti. Il gatto promise.

Mentre il gatto faceva la sentinella alla preziosa frutta, si presentò un pesce che gli chiese un po' d'uva; il gatto, fedele alla consegna, lo scacciò. Poco dopo, lo stesso pesce, ritornò con una cesta piena di pesciolini, che mandavano un profumo di mare, e chiese di nuovo un grappolo d'uva in cambio della cesta. A questa offerta il gatto fece parlare lo stomaco e la sua lingua non poté fare altro che accettare lo scambio venendo meno alla promessa fatta al cane, suo compagno.

Quando il cane ritornò e vide che mancava un sorto di grappolo d'uva paradiso, volle avere spiegazione. Il gatto dichiarò di non saperne nulla, ma un topo, che aveva visto e sentito tutto, uscì dal buco in cui era nascosto e ruffianò al cane l'accaduto. A sentire ciò, il gatto fremeva di rabbia e voleva vendicarsi contro il topo; non potendo frenarsi si slanciò su di esso, che fu pronto a nascondersi nuovamente nel suo buco. Quel gatto, dovete sapere, che ancora attende quel topo ruffiano davanti a quel buco.

Ecco spiegato perché questi due animali, da allora, si odiano a morte.

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L'INTELLIGENZA DI UN CORVO

Una volta... quella volta che il sole pareva intenzionato a fare fuoco e fiamme su tutta la terra, c'era un corvo che, dapprima volando volando e poi zampettando zampettando per la fiacca, se ne andava alla ricerca di qualche goccia d'acqua per rinfrescarsi lo stomaco e non far morire le penne. Che devi fare: non si trovava né l'ombra e né l'acqua... pure a pagarla un capitale. Ormai se ne moriva di sete. Le zampe non ce la facevano più a trascinare i pochi grammi del suo secco corpicino e il suo pensiero se ne andava ai giorni invernali in cui, anche se il freddo lo faceva soffrire, di acqua ce n'era da buttare. Fu in quell'istante che, tra le immagini dei ricordi, gli apparve un'ombra e, a quel riparo, vide un piccolo vaso. Era una immagine voluta, confusa tra quelle sperate, o era realtà? "Muoio! Addio mondo!", pensò. Intanto si avvicinava al punto dove stava il vasetto. Meraviglia! C'era... c'era realmente il vasetto. E per di più c'era... c'era dell'acqua. Chiamò a raccolta le ultime forze e fece per bere.

Provò a ficcare il becco, ma non raggiungeva il livello dell'acqua, che era assai scarsa. Come fare? Gli venne un'idea: prese dei sassolini e li gettò nel piccolo vaso.

Dopo che questo fu mezzo riempito di sassolini, il livello dell'acqua si elevò e così il corvo riuscì a bere.

Si ristorò e, riparato dall'ombra che aveva salvato quell'acqua, riuscì a sopravvivere.

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IL GALLO, LA VOLPE ED IL CANE

C'era una volta Belgallo che se la smorfiava sopra un albero. Anche la giornata era bella: il sole scaldava ed una bavetta di vento faceva da rinfrescante. Belgallo se la godeva con i suoi colori e le sue penne al vento: la coda in alto, la cresta e i bargigli vistosi. Se ne stava, con gli occhietti padronali a godersi la proprietà del mondo. Si trovò a passare di là una volpe senza nome e cognome conosciuta col difetto di Pelorosso. Quando Pelorosso vide Belgallo gli cominciò a farfugliare il cervello e a brontolare il ventre: aveva fame perché il giorno prima non aveva mangiato e i tempi erano tristi per una bestia che doveva trovarsi una preda. Il suo pensiero era semplice: «Di bello è bello. Sarà pure buono! Ora vado a vedere se me lo posso inghiottire penne e tutto!».

Già si conosce l'astuzia della volpe e, onorando la sua fama, Pelorosso si fece vicina all'albero e cominciò a parlare, da professionista tutta garbata e, dolce dolce cominciò: «Come sei bello stamattina. Il vento ti fa sembrare veramente un pezzo da novanta. Sembri una fotografia viva. Complimenti!», e - man mano che parlava - andava abbassando la voce. «Io sto andando in giro a farmi una passeggiata... per digerire. Un po' di movimento non guasta...», la sua voce diventava sempre più un sussurro. Belgallo, per stare a sentire, si avvicinava sempre più. Pelorosso, facendo finta di andare, aggiunse a titolo d'informazione: «Ah, hai saputo? Releone, ha mandato il bando con Cornacchiona Cra Cra che non dobbiamo più farci guerra tra noi; dobbiamo far guerra agli uomini perché sono loro i nostri nemici: si mangiano le nostre carni e si vestono con le nostre pelli!».

Il gallo, a sentirlo, si veniva persuadendo di ciò che gli stava dicendo la perfida volpe... e già era vicinissimo; quella, Pelorosso, tendeva il collo e sentendosi vicina al pasto, con l'acquolina in bocca, parlando parlando, andava pensando: «Ora che sarà a terra, il primo boccone deve essere al capo! Poi...»

Se non che, quando meno se l'aspettava, si trovò a passare sotto l'albero un cane che, vista la volpe, si lanciò alla sua gola e la scannò. «Ahaa! - disse il gallo, risalendo velocemente sull'albero - sarei andato fresco se mi fossi trovato anch'io a terra!».

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UN LUPO, UN CONIGLIO E LA VOLPE

Una volta un lupo, un coniglio ed una volpe strinsero un comparizio. Era un comparizio che non ammetteva se o ma: "patti chiari amicizia lunga", "amici e compari parlano chiaro"... insomma tutto in regola. Per un certo tempo quell'amicizia era come una colla che li teneva insieme e, a dispetto di tutte le storie che si raccontavano, che ognuno pensava al suo mezzogiorno, alla tavola si facevano parti uguali: una coscia per uno fa bene ad ognuno. Il coniglio, però, era ficcanaso: andava annascando, non solo gli odori ma anche i fatti degli altri. Era una croce per il lupo e la volpe. La cosa cominciò a dare fastidio al lupo che, alla scusa del coniglio, fece un'altro patto con la volpe. Il coniglio, che fesso non era, capì l'antifona e cominciò a seminare zizzanie, cominciò a sputtanare la volpe al lupo e il lupo alla volpe. Alla volpe: "Il lupo cambia il pelo e non il vizio", "I compari del buon tempo cambiano come il vento"; al lupo: "Quando la volpe non arriva all'uva dice che è acerba", "Se il rosso fosse fedele anche il diavolo sarebbe sincero". La vicinanza dei tre cominciò a diventare difficile e il lupo e la volpe litigavano tutti i giorni finché capirono dove voleva arrivare il coniglio: "dividere per comandare".

 Fu allora che il lupo disse alla volpe: «Questa storia deve finire! Abbiamo capito come stanno le cose: questo coniglio è la causa del nostro scontro. Facciamo così, tu devi farti credere morta, così... quando lui verrà.... Mi sono spiegato?».

La volpe, così fece, ed il compagno andò al coniglio e, con una faccia da funerale, gli disse: «Hai saputo? Comare volpe è morta! Va a vederla.

 Il coniglio, che non era fesso ma di fronte alla morte non si scherza, andò subito alla casa di lei e, a debita distanza, disse: «È morta veramente! Povera amica mia!». Poi, con due zampe fuori della tana e due zampe dentro, aggiunse: «A me disse un vecchio che quando la volpe muore muove la coda!».

La sciocca volpe, contrariamente alla sua fama, subito mosse la coda. Fu allora che il coniglio si accorse che era viva e che tutto il fatto era stato orchestrato per qualche tranello. Non se lo fece dire due volte: subito scappò a casa sua e si chiuse da dietro per stare più sicuro.

Il lupo allora, facendo finta di niente e ridendo ridendo, andò a trovare il coniglio per vedere di mettere una pezza a colori. Arrivato alla casa del coniglio, vedendo tutto sprangato, gli urlò: «Compare, che cosa hai pensato? Non fare la bestia! Aprimi che ti racconto: è stato uno scherzo! Quella, la volpe, ha voluto farti uno scherzo... ha finto di morire per farci quattro risate!».

Da allora fu che il coniglio non solo non mangiò più carne ma sta sempre con gli occhi aperti perché...: "Gli amici, davanti ti lisciano e da dietro ti strisciano".

AN03688_.WMF (6598 byte)IL GATTO E IL TOPOAN03592_.WMF (5974 byte)

Una volta un gatto e un topo vivevano insieme da buoni amici. Essendo vicino l'inverno, pensarono di far le provviste per la cattiva stagione, e rubato un vaso di sugna, l'andarono a mettere sotto l'altare della chiesa. Al gatto venne l'acquolina in bocca, e disse al topo che doveva recarsi da una sua zia, la quale aveva partorito un gattino e l'aveva scelto come compare.

Arrivato sotto l'altare, si mangiò un poco di sugna ed uscì. Al ritorno, il topo gli domandò come si chiamasse il neonato. Il gatto rispose che si chiamava: "Senza buccia". Il compagno soggiunse: "Che razza di nome è questo!"

Il giorno dopo il gatto con la scusa di tornare a far visita al neonato, si allontanò dalla tana e andò a mangiare un'altra parte di sugna. Anche questa volta il topo gli domandò come si chiamasse il cuginetto, ed il birbone gli rispose che si chiamava: "Mezzovuoto".

Al terzo giorno il gatto tornò al luogo, dove stava il resto della sugna, e se la mangiò. Appena lo vide il topo gli domandò ancora una volta come si chiamasse il gattino, e l'altro gli rispose che si chiamava: "Nemmeno un briciolo". Il topo esclamò: "ma che razza di nome è questo!"

Arrivò l'inverno e il topo disse al compagno: "Vogliamo andare a prendere il vaso della sugna, che teniamo conservato sotto l'altare?" Quegli rispose di sì, e si avviarono. Ma quando il topo vide che non c'era più nulla, cominciò a lagnarsi del tradimento. In quel mentre il gatto si lanciò contro di lui, e lo divorò.

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