Sezioni

TR00409_.WMF (19692 byte)

Alzati presto la mattina

C’era una volta un ricco agricoltore, il quale per vivere in ozio si levava tardi la mattina e non badava ai suoi fondi; perciò dalla vasta proprietà ricavava quasi nulla; a primavera i campi erano fioriti e promettevano molto; quando era il tempo della raccolta rimaneva quasi sempre a mani vuote.

Non sapendo spiegarsi questo fenomeno pensò di cercare consiglio da Salomone, il quale gli disse: "Alzati presto la mattina e sorveglia i tuoi lavoratori". Egli eseguì quanto gli era stato detto, ed una mattina avvolto in un gran mantello che lo rendeva irriconoscibile di buon'ora montò a cavallo, e se ne andò per la campagna; poco dopo incontrò i suoi lavoratori che conducevano vari traini carichi di grano, e invece di portarli alla casa del padrone stavano deliberando di dividerli fra di loro.

Il padrone che nessuno pensava fosse quell'uomo a cavallo, sentì tutto, e volle seguirli da lontano. Quand'essi furono in città, e stavano per scaricare i traini, si fece conoscere e disse: "Questi traini devono essere portati al palazzo mio, perché sono io il padrone". Quelli sorpresi ed umiliati ubbidirono.

Allora egli comprese la verità del proverbio: "Chi si alza di mattino, guadagna il carlino, chi si alza tardi, non guadagna nulla".  

approfondimenti2SIPARIO

CASTLE.jpg (19358 byte)

Il senno di un pellegrino

C’era una volta un ricco cavaliere, che abitava un magnifico castello. Egli spendeva molto ad abbellirlo, ma era di un animo duro, indifferente verso i poveri che gli chiedevano aiuto.

Una sera un povero pellegrino, stanco, andò a chiedergli un cantuccio e un po' di paglia, dove potesse passare la notte al coperto. L'altero cavaliere si ricusò, e gli rispose che il suo castello non era un albergo. Il povero pellegrino non si arrese a questa risposta e volle con esempi indurlo a cedergli quello che gli aveva chiesto. Cominciò: "Permettetemi, signore, di farvi tre sole domande, e poi continuerò il mio viaggio".

"A questa condizione vi ascolterò" rispose il cavaliere. "Prima di voi chi fu l'abitatore di questo castello?" domandò il pellegrino. "Mio padre" rispose il cavaliere. "E prima di vostro padre?" "Mio nonno." "E dopo di voi chi verrà?" "Mio figlio".

"Ebbene" disse il viandante, "se ciascuno abita questo castello per un certo tempo, e poi lo cede successivamente all'altro, significa che voi siete gli albergatori, ed il castello, di conseguenza, è l'albergo. A che vale che voi spendiate tanta moneta nell'abbellirlo? Pensate piuttosto ad essere caritatevole verso i poveri, e acquisterete nel cielo un'abitazione eterna!". Il cavaliere a queste parole, rimasto commosso, diede ospitalità al pellegrino, e da allora si mostrò più umano e caritatevole.

approfondimenti2SIPARIO

NONNO.jpg (27311 byte)

Più si vive, e più s'impara!

Viveva un vecchio, che aveva visto molte cose nella sua vita. Aveva fatto il soldato, aveva partecipato a guerre, era stato ferito e prigioniero; era andato a lavorare in Grecia, in America, aveva avuto molti amici e nemici, e quindi aveva imparato molte e molte cose. Eppure ogni giorno conosceva una novità, perché la conoscenza non ha mai fine, e nessuno nasce "imparato".

Un giorno stando solo vicino alla sua casuccia a fumare, si riscaldava ad un piccolo fuoco, che aveva dinanzi, e pensava alle cose passate, quando vide avvicinarsi un ragazzotto, che gli disse: "Buon uomo, mi dai, per favore, un po' di fuoco, che bisogna a mio padre, che sta a casa a tremare per il freddo?"

"E come te lo porti, se non hai una paletta o un pezzo di ferro per metterlo sopra?" "Non importa - disse il ragazzo - ora ci rimedio".

Prese un po' di cenere fredda, la mise nel cavo della mano sinistra, e sulla cenere mise tre pezzi di fuoco acceso; poi dicendo: "Mille grazie", se ne andò.

Il vecchio rimase di stucco, e dondolando la testa disse: "Credevo d'aver appreso ogni cosa, e non ne sapevo una così semplice! E' proprio vero che più si vive e più s'impara!, come dice il proverbio: La vecchia teneva cent'anni e disse che non aveva imparato tutto".

approfondimenti2SIPARIO

CARROZ.jpg (26291 byte)

La saggezza dei vecchi 

C'era nei tempi antichi un regno, in cui vigeva l'usanza di portare in campagna a seppellire vivi i vecchi, che erano giunti all'età di settanta anni, affinché con la loro petulanza e con i loro acciacchi non arrecassero fastidio ai figli. Questa malvagia usanza addolorava gli animi buoni, ma non si poteva distruggere, se non per volontà del re.

Fra i tanti che dovevano essere seppelliti vivi, ci fu un vecchio, saggio e indefesso lavoratore, che era amato assai teneramente dal figlio, il quale, quando il padre raggiunse i settant'anni, se lo caricò sulle spalle, e lo portò in campagna per compiere quello che la legge gli imponeva. Giunto al camposanto, si mise a scavare la fossa, in cui doveva seppellire il povero uomo, e coll'animo straziato lo baciò per l'ultima volta.

Il vecchio piangendo gli disse: "Figlio mio, tu non ne hai colpa; anch'io venni in questo luogo a seppellire mio padre, come egli aveva seppellito mio nonno; ma mi duole nel pensare che questa legge sopprima violentemente le persone, che col loro lavoro hanno fatto tanto bene all'umanità, e colla loro saggezza possono giovare ai giovani. Iddio governa il mondo, e solo lui ha il diritto di togliere la vita".

Il figlio non ebbe il coraggio di seppellire il padre, e lo riportò di nascosto al suo paese. Fece murare un angolo della sua casa, in cui nascose il vecchio, e da una ciminiera gli faceva arrivare l'aria e il nutrimento. Nessuno sapeva che egli vivesse.

Un giorno il re ordinò ad un artista di fargli un cocchio d'oro e d'argento, tempestato di pietre preziose, e l'espose all'ammirazione dei sudditi. Tutti andavano a vedere quella rarità, e ne decantavano le bellezze. Il re volle che ne giudicassero il valore, e promise la mano della figlia a chi sapesse valutarne il prezzo.

Tanti nobili e cavalieri si provarono di valutarlo, chi diceva un prezzo, chi un altro, ma di nessuna risposta il re fu contento.

Il nostro contadino volle interrogare il vecchio padre per sapere la sua opinione al riguardo, e quegli gli rispose:

Vale tanto il cavallo ed il carrozzino del Re gentile,

Quanto vale una pioggia di maggio o due d'aprile.

Con queste parole voleva alludere al grande beneficio che apportano ai seminati le piogge in aprile (due) e maggio (una), per cui si hanno abbondanti messi e quindi grandi ricchezze.

Il giovane si presentò al sovrano, e volle valutare il cocchio ripetendo le parole udite dal padre. Al re piacque molto quella risposta, e vedendo quanto fosse intelligente chi l'aveva data, gli permise di sposare la figlia.

Ma volle sapere chi gli avesse suggerito quella massima. Il contadino temeva d'essere ucciso, se avesse confessato d'averla sentita dal padre; ma avute assicurazioni dal re, che non gli sarebbe stato torto un capello, riferì che non aveva avuto il coraggio d'ammazzare il vecchio, e che questi gli aveva data quella risposta.

Il re rimase colpito da tale racconto, e si convinse anche lui che non era giusto uccidere i vecchi, i quali con la loro esperienza e prudenza possono giovare tanto alla società; quindi fece liberare da quella specie di prigionia il buon vecchio, ed abolì l'infame usanza, durata per tanti anni.


approfondimenti2SIPARIO

casa di campagna

I tre consigli

 

C'era una volta una famiglia. Padre madre e figlio. La campagna era una desolazione, non si vedeva crescere nemmeno un filo d’erba e… dei frutti non ne parliamo. La fame si faceva sentire. La povertà la faceva da padrona in tutta la casa e la stanzetta cucina si era presa la licenza. I due poveri cristi, marito e moglie, non sapevano come tirare avanti: la donna, pugni in bocca, si disperava, il marito se la prendeva col tempo e coi santi vedendo il figlio che teneva bisogno delle cose essenziali per crescere come un cristiano. La casa, come tutto il resto, cominciava a perdere i pezzi e i giorni, sempre della stessa misura,  passavano senza poter sperare niente di buono. Fu allora che il giovane marito disse: "Moglie mia, io vado a cercarmi un lavoro: qualsiasia lavoro, anche il più fetente, per strappare la giornata. Non si può stare con le maninmano. Ti manderò la mesata e tu tirerai avanti la vita con questo figlio". Cilluzzo, questo era il nome del marito, partì e, senza portarla per le lunghe, trovò il lavoro… un bel lavoro con tanto di paga che si prendeva il lusso di mandare alla famiglia il suo guadagno. La moglie con i soldi che riceveva, fece quello che deve fare una madre: pensava al figlio che cominciò a rinforzarsi le ossa e a crescere com’era giusto. La vita cominciò a diventare vita. Bisogna sapere che la moglie Cecchina, questo il suo nome, era una donna costumata e, oltre a far resuscitare la stanza della cucina, riusciva a mettere nel carosello un gruzzoletto che le servì, più in appresso, per mettere il giovane Michelino, il figlio,  in convento per  farlo diventare prete e, forse, santo.

Cilluzzo, dopo molti anni che stava a servizio in una masseria lontano lontano dalla casa, disse un giorno al padrone: "Padrone mio, io me ne voglio andare a vedere mia moglie e mio figlio che chissà come si sarà fatto dopo tanto tempo!". Il padrone, mastro Coletto, gli diede quanto gli toccava e Cilluzzo, diventato giudizioso dopo quante ne aveva passate, gli disse: "Ora, mastro Coletto,  datemi un consiglio!". Quello, guardandolo negli occhi, rispose: "I consigli, caro Cilluzzo, si pagano!". "Ed io pago! Questo è il problema?", rispose l'altro.

Allora il padrone disse: "Quello che vedi, vedi, e quello che senti, senti!". Cilluzzo gli diede mille lire e, non contento, aggiunse: "Datemi un altro consiglio… chissà?!". Il signore, senza pensarci sopra, col l’indice e il pollice in movimento sentenziò: "Chi lascia la via vecchia e prende la nuova, sa che lascia e non sa che trova!". E la sua mano ritirò altre mille lire. Poi Cilluzzo, mentre faceva per prendere la strada di casa, si girò e –ancora -  aggiunse: “E se vi chiedessi un terzo consiglio?”. “Sempre quello è il prezzo da pagare, amico mio bello!”. “Sia come sia. Queste sono altre mille lire!” "Non essere precipitoso nel giudicare!". La santa donna della padrona, donna Concetta, con la santa benedizione gli offrì una pizza dolce e Cilluzzo lasciò la masseria e prese la via.

La strada era lunga e i pensieri erano leggeri. Si fece tardi e, per la notte, trovò ricovero in una taverna dove riposò su un vero letto fino all’alba. Mentre dormiva sentì un fracasso, come se uccidessero qualcuno. La mattina i cantinieri gli domandarono: "Hai sentito qualche rumore questa notte?". Cilluzzo si ricordò il primo consiglio e rispose che non aveva sentito niente. Meno male! Infatti alcuni amici più tardi gli dissero: "Hai fatto bene a dire così, perché, se dicevi la verità, ti trovavi senza la testa". Egli pensò: "Mi è convenuto molto l'aver dato quelle mille lire al padrone, perché così ho scansata la morte". E ripigliò la via, che conosceva.

Incontrò certi compagni che gli dissero: "Vieni per la via nuova ch'è più breve!". Egli si ricordò dell'altro consiglio, e se ne andò per la vecchia. Giunto al paese, seppe che per la via nuova era stato commesso un omicidio, e disse: "Benedico il danaro, che ho dato al padrone; ho scansato due volte la morte".

Come giunse alla casa, vide la moglie affacciata al balcone insieme con un prete: Madonna… la voleva ammazzare, e già aveva messo mano al coltello ma si ricordò dell'altro consiglio. Meno male! Quatto quatto salì le scale che il sangue gli bolliva dentro e tutto incazzato stava per dire, ma  la moglie appena lo vide, con gli occhi brillanti, gli disse: "Non ti rallegri a vedere questo bel figlio prete?" "E' mio figlio?! ", esclamò il padre meravigliato. Allora si abbracciarono e baciarono. Dopo sedettero a tavola e mentre dividevano la pizza dolce, trovarono in mezzo ad essa le tremila lire.

"Che buoni padroni!" pensò Cilluzzo. E non disse proprio niente per finirla con questa storia di fatica e sacrifici. 

 

 

approfondimenti2SIPARIO

Pagina 6 di 37