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 FELICITÁ

zufolo 

C’era una volta un re assai ricco che aveva un figlio amatissimo.  Bastava che questi esprimesse un desiderio perché venisse immediatamente soddisfatto. Questo principe. però non era mai allegro, mai contento come i ragazzi della sua età.  Il re e la regina erano disperati e domandavano consigli a tutti perché suggerissero un rimedio. Preparavano anche balli e mascherate e tutto quanto era in loro potere per distrarlo.  Il principe continuava a starsene solitario, seduto nella sua poltrona, serio e grave come se fosse un vecchio. I genitori chiamarono a corte mimi e ballerini per sollazzarlo ed egli, anziché lasciarsi contagiare dall'ilarità, scoppiò in un pianto dirotto e si tappò nella stanza.

Un giorno una vecchia disse al re: c Se tieni alla felicità di tuo figlio devi trovare l'uomo che è felice, togliergli la camicia e calda calda farla indossare al principe”.

Uno dei ministri, girando per la contrada, vide un pecoraio dall'aria serena, che suonava lo zufolo.  Si fermò e gli disse: “Tu, certo, sei un uomo felice.  Eccoti tutti questi soldi in cambio della tua camicia”. Gli sbottonò la giacca e si avvide che non la possedeva.

L'uomo felice non portava dunque camicia, e il principe morì di malinconia.

II

 

Magolino

 

C'era una volta un figlio di regnanti che non si contentava mai di nulla.  Un giorno che ricorreva il suo santo tutta la gente del paese gli portò regali su regali ma egli, scostante, li respinse.  Si presentò un mago che portava un cavalluccio a dondolo e il principe là per là mostrò di gradirlo; ma dopo essersi un po' incuriosito non volle più saperne e rivoltosi al re disse che una cosa sola lui desiderava: la felicità.

Il re chiamò i ministri a consiglio e tutti costoro, dopo aver a lungo meditato, ammisero di non sapere come e dove si trovasse questa felicità.  Allora il re, disperato, disse al ministri di cercare il mago e di avvertirlo che se non avesse indicato lui il modo per ottenerla gli avrebbero tolto la vita.

Il disgraziato mago, in presenza dei ministri, rispose al re: “Uccidimi pure, Maestà, ma io non te lo so dire”.

Il sovrano, amareggiato, si mise personalmente in cammino e aveva percorso meno di un miglio quando sentì una voce che usciva da una bicocca: “Io sì, io sono felice dello stato in cui mi trovo”.

Il re spinse la porta ed entrò.  Vide un'inferma immobile nel suo letticciolo.

“Sei tu che hai detto di essere felice?” “Sì, signore” rispose la donna. “E non maledici Dio che ti ha ridotto in queste condizioni?”

“No, signore.”

Il sovrano, pensoso, abbassò il capo, richiuse la porta dietro di sé, e da quel giorno rinunciò a tormentarsi per le bubbole del suo figliolo. 

 

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Il principe che cerca la felicità 

C’era una volta un re e una regina che avevano un figlio, il quale non si accontentava mai di nulla. Un giorno siccome ricorreva l'onomastico suo, tutta la gente gli portò tanti regali, ma lui li rifiutò. 

Un mago si presentò con un cavalluccio a dondolo che il principe gradì, ma dopo essersi divertito un poco lo mise sotto il grande suo lettone regale e lo guardava brutto. Arrivarono il re e la regina sicuri di trovare Pipppino (così lo chiamavano il principino Giuseppe) a divertirsi con il cavalluccio, ma...

"Che è successo Pippino?", disse subito, spaventata, la mamma regina, "Perché tieni quella faccia?". "A papà re, dì: cosa è successo?" continuò il preoccupato sovrano. "Miiii stancaaaaa! Non lo voglio! Voi siete cattivi! Non mi volete benebene! Io ordino che mi dovete volere bbbbbene, parola di principe!", gridò Pippino pestando i piedi. "E cosa dobbiamo fare per volerti bbbbbene... come dici tu?", chiesero insieme papà re e mamma regina. "Voglio Felicità! Voglio Felicità!", disse e ridisse Pippino sbattendo per terra il suo armadio portagiocattoli. Grande fu lo scompiglio nella grande camera del principe: vetri rotti schizzarono tutt'intorno. Ma la coppia regale non si agitò per il danno dei giocattoli che, si sa, gravava sulle spalle dei cittadini: si trattava di aumentare le tasse e tutto sarebbe tornato come prima, o meglio di prima, ma rimasero come due baccalà a sentire la richiesta: "Voglio Felicità!". Si guardarono e a bocca aperta rimasero per parecchio tempo. Poi, mentre principino si andava a mettere nell'angolo della sua stanza con la testa poggiata allo spigolo e di spalle alle teste coronate, presero, a testa bassa, la via verso la gran sala del consiglio. Qui, il re congedò la regina senza una parola e, a testa alta ordinò una convocazione urgente e immediata.

Arrivarono i ministri e, dopo ampio dibattito sulla richiesta del re: "Voglio che mi portiate qui Felicità!", tutti dissero che non sapevano dove quella si trovasse. Allora il sovrano, disperato, ordinò ai ministri di andare a chiamare il mago. "Se non mi dice dove si trova Felicità, gli... gli... tolgo la vita!", concluse. Il mago in presenza del ministro disse: "Uccidimi, ma io non te lo so dire".

Il re si mise in cammino, e aveva percorso meno di un chilometro, quando sentì una voce che disse: "Io sono felice nella posizione in cui mi trovo". Il re spinse la porta, ed entrò; vide una paralitica seduta su di una poltrona, e le domandò: "Sei felice?" "Si" "E non maledici Iddio che ti ha fatto così?" "No". Allora egli tutto mortificato non pensò più a cercare la felicità pel figliuolo. 

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L'invidia

C’era una volta un re che per sua sfortuna aveva come sudditi persone invidiose l'una dell'altra, e per questo il suo regno era sempre in guerra civile. Ognuno vedeva di malocchio la fortuna dell'altro, e per gelosia lo derubava, lo spogliava e gli faceva dispetti d'ogni genere. In quella nazione non si godeva un'ora di pace e di tranquillità, e nessuno riusciva a far correggere quella gente rozza e invidiosa.

Un giorno, tanto per raccontare un episodio, il re mandò a chiamare due sudditi e disse a uno di essi: "Chiedimi una grazia, e ti sarà concessa, però col patto che al tuo compagno sarà dato il doppio di quanto cercherai per te".

Il suddito stette un poco a pensare, e poi rivoltosi al re disse: "Maestà, accetto la vostra proposta; la grazia che chiedo, è che mi caviate un occhio".

Il re mantenne la promessa; gli fece strappare un occhio, e rese del tutto cieco l'altro suddito.

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L'invidia punita

C’erano una volta due fratelli; uno era ricco, ma avaro: l'altro povero, ma generoso. Costui, vedendo che dal fratello non poteva sperare alcun aiuto, decise di andare raccattando bricciole di legna per le vie di campagna.

Un giorno vide di lontano una comitiva di briganti, che erano il terrore di quei paraggi, e per non patire offese, entrò in un vicino bosco e si nascose tra i folti rami di una vecchia quercia. Per combinazione i masnadieri entrati nel bosco, andarono ai piedi di quella quercia, e scavato un fosso, vi nascosero tutte le monete d'oro e gli oggetti preziosi che avevano bottinato in quei giorni; dopo andarono via lasciando una rozza croce per segnalare il punto dove avevano nascosto il tesoro. Il giovane, che aveva tremato di paura fin quando i briganti avevano dimorato sotto la quercia, allorché essi se ne furono andati, scese dall'albero, e dissotterrato il tesoro, lo mise nel suo sacco, e tornò in fretta al paese.

Per misurare la quantità dell'oro di cui aveva avuto la fortuna d'impadronirsi, mandò un ragazzo alla casa del fratello ricco a chiedergli per un momento il mezzetto. Il fratello, curioso di sapere il motivo per cui gli veniva fatta tale richiesta, volle spalmare di colla il fondo del mezzetto. Il fortunato giovane misurò il tesoro, e non essendosi accorto che una piastra d'argento era rimasta attaccata al fondo del mezzetto, glielo mandò al fratello.

Questi come vide la piastra, capì a quale uso era servito il mezzetto, e recatosi da lui, volle sapere come avesse fatto a guadagnare il tesoro.

Il giovane non esitò a raccontargli l'accaduto, e quegli che era avido ed ingordo, ingelosito della fortuna capitata al fratello, pensò di recarsi anche lui al bosco per attendere che i briganti andassero a depositare altro oro, ed impadronirsene. Ma male gli incolse perché quelli, accortisi del trafugamento del tesoro, giurarono di vendicarsi contro l'audace ladro; quindi ogni giorno lasciavano una sentinella nascosta in quelle vicinanze per scoprirlo e punirlo."

Allorché l'incauto salì sulla quercia per nascondersi in attesa della venuta dei briganti, fu colpito da varie fucilate, e cadde a terra esanime.

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Pelle-pelle

C’era una volta un marito e una moglie che avevano dei figli tra i quali c'era una ragazza che non sapeva fare niente. Questa ragazza voleva sposarsi, ma la madre le diceva:

  • Come puoi pensare al matrimonio, se non sai fare niente?

Un giorno un giovane la vide, le si avvicinò e le disse:

  • Io ti voglio.
  • Va bene, ma devi venire a parlare con mamma e tatà (papà).
  • D'accordo, vengo.

I due giovani andarono a casa della ragazza, che lo presentò ai genitori.

La mamma le rispose:

  • Tu non sai fare niente! Glielo hai detto che non sai né cucinare, né spazzare, né fare altro?
  • Se è solo per questo, ci penso io, la sposo lo stesso - intervenne il giovane.
  • Se proprio la vuoi…io ti ho avvertito.

Così i due giovani si sposarono e andarono ad abitare nella loro casa.

Il ragazzo andava a lavorare la mattina presto e ritornava la sera. La ragazza, invece, restava a letto tutto il giorno.

Passò il tempo e la ragazza continuava a restare a letto.

Il giovane un giorno prese la pelle di un animale, l'attaccò al muro e la mattina, prima di uscire le disse:

  • Pelle-pelle, io me ne vado, scendi e vai a fare i lavori di casa, prepara da mangiare e pulisci la casa.

La ragazza, che continuava a restare a letto, si meravigliò e pensò:

  • Mio marito è andato a lavorare, ma la pelle non scende per fare i servizi. Io non li so fare.

Poi rivolgendosi alla pelle disse:

  • Pelle-pelle, scendi, vieni a cucinare, che mio marito non mangia da diversi giorni.

Quando il marito rientrò trovò la porta chiusa, la moglie a letto e disse:

  • Ma qua non si mangia? Pelle-pelle, vuoi scendere? Vuoi capire che devi lavorare?

La moglie gli disse:

  • Gliel'ho detto anch'io di scendere, lei non vuole capire, come dobbiamo fare?
  • Vieni qui, scendi dal letto, metti la pelle sulle spalle e vediamo se ora capisce - disse il marito.

Così fece, poi prese un nerbo di bue dal muro e cominciò a picchiare dicendo:

  • Pelle-pelle, tu non vuoi lavorare e io ti picchio.

La moglie, con la pelle sulle spalle, si lamentava:

  • Ma tu non picchi la pelle, picchi me. Ora mi ammazzi di botte, fermati.
  • Stai ferma, altrimenti la pelle non impara - continuò il marito incurante dei lamenti della moglie. Alla fine le tolse la pelle di dosso e la poveretta ritornò a letto dolorante e piangente.

Intanto il marito rivolto alla pelle disse:

  • Pelle-pelle, io ti rimetto a posto, ma se domani non trovo tutto in ordine, ti ammazzo di botte, più di oggi.

Il giorno dopo il giovane prima di andare a lavorare ricordò alla pelle:

  • Pelle-pelle, scendi e fai i servizi, altrimenti quando torno saranno botte.

La moglie dal letto si lamentava e diceva:

  • Pelle-pelle non lavora, ma le botte le prendo io. - Ma per tutta la giornata non si mosse; aspettava che la pelle si mettesse all'opera.
  • Quando la sera il marito ritornò dal lavoro, tutto era come prima. Richiamò la moglie, le rimise la pelle sulle spalle e ricominciò a picchiarla. La ragazza si lamentava, ma il marito, incurante delle proteste, continuava.

Il mattino dopo il marito ordinò a Pelle-pelle di preparargli il sugo, che al ritorno dal lavoro voleva mangiare. La ragazza, quando il marito uscì di casa si avvicinò a Pelle-pelle e le disse:

  • Pelle-pelle, ti prego, scendi, altrimenti questa sera saranno ancora botte e le prendo io.

Accanto ai due giovani abitava una donna anziana. La ragazza, malconcia, col fazzoletto legato in testa, andò a chiedere consiglio alla vicina:

  • Come si prepara il sugo? Mio marito se non trova pronto uccide di botte me e Pelle-pelle che non vuol lavorare.
  • Figlia mia, sei tu che devi fare i lavori! Come può una pelle lavorare?

Così le mostrò come si preparava il sugo e come si riordinava la casa.

Quando arrivò il marito, sentì l'odore del sugo e disse:

  • Brava, Pelle-pelle, hai finalmente capito quel che devi fare.
  • Non è stata la pelle a preparare, ma io - disse la giovane sposa.

E il marito:

  • E non lo sapevi che eri tu che dovevi lavorare e non la pelle?

Da quel giorno la ragazza divenne una brava donna di casa.

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