Sezioni

Ori e incensi non danno quel che pensi

La morte dell'uomo

C’era una volta un monaco che passando da una strada di campagna andava gridando di tanto in tanto: "la morte dell'uomo!".

Tre zappatori che stavano faticando vicino a quella strada, incuriositi, si avvicinarono e gli domandarono: "Perché, zi' monaco, andate gridando 'la morte dell'uomo?'". Il monaco, facendo segno verso un grosso noce, rispose - quasi sussurrando- "Dentro quell'albero sta la morte dell'uomo" e, spaventato, si allontanò di corsa gridando: "la morte dell'uomo".

Allorché il monaco si fu allontanato, i tre, facendosi coraggio l'uno l'altro: "E dai! Vai! Se non vai tu... Adesso vado? Ma no, vai tu! ...." e ndinghete e ndanghete..., decisero, insieme, mano nella mano, di andare a vedere che cosa fosse la morte dell'uomo e perché questa morte si trovava proprio là, dentro il noce. Spingi tu che spingo io, i tre finalmente si avvicinarono all'albero e, meraviglia, videro che alle sue radici c'era un piccolo fosso pieno di monete d'oro e d'argento. 

A vedere tanta ricchezza ne gioirono, e pensarono di dividerla in tre parti uguali.

Ma mentre erano intenti a tale operazione, giunsero altri tre individui, che avendo sentito dallo stesso monaco la nota esclamazione, si erano incamminati verso quell'albero, curiosi anche loro di sapere che cosa fosse questa "morte dell'uomo".

I primi tre rimasero male alla vista dei nuovi arrivati, ma temendo il peggio, pensarono... e dissero: "Il tesoro sarà diviso in sei parti. Ma... siccome che... - non sai?!.. - per contare tutto questo ben diddio ce ne vuole e ce ne vuole e... siccome che... - non sai?!.. - lo stomaco vuole la sua parte... prendiamo due monete e voi, che siete appena arrivati, freschi freschi, andate in paese e prendete sei pagnotte come si deve e così lo stomaco.... eccetera eccetera! Che ne dite?"

Quelli, dopo essersi guardati, accettarono, e si avviarono. Strada strada, pensando pensando, i tre ebbero la stessa pensata e, così come pensarono, insieme parlarono e insieme si trovarono a decidere: "Compriamo le pagnotte, riempiamole di veleno velenoso e..." "Molto bene!" conclusero "Così invece di sei rimarremo in tre". 

Gli altri tre, rimasti sul posto, appena soli, si mossero insieme in cerca di pugnali, avendo deciso, senza scambiarsi inutili parole, di uccidere gli altri per non dare loro la parte del tesoro promesso.

Quando i tre, con le pagnotte truccate, arrivarono sicuri dei fatti loro, furono -inaspettatamente- assaliti e accoltellati. Il sangue per fortuna non insozzò le pagnotte e i tre assalitori, ormai al sicuro, ridendo e scherzando fecero banchetto.  

Avevano appena finito di mangiare e stavano per tornare al tesoro quando...., furono assaliti da atroci dolori e caddero a terra stecchiti.

"La morte dell'uomo" ripeté l'aria che riportava le parole ascoltate da zi' monaco e la morte degli uomini  era lì vicino a tutto quel tesoro.

Infatti zi' monaco, che ancora girava gridando, giunto presso quell'albero e alla vista del macabro spettacolo, dondolando il capo, dapprima sussurrò e poi, allontanandosi veloce, gridò (e ancora grida): "La morte dell'uomo!". 

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Teschio di cristiano

La morte è uguale per tutti

C’era una volta, in una ricca ed amena vallata, un castello. In questo splendido castello, attorniato da servi, passava la vita vagabonda un duca bello, ricco e superbo. Quando qualche mattina usciva dal castello, con il suo seguito di cani e nobili cavalieri, i contadini si facevano il segno di croce e imploravano la protezione di tutti i santi: le terre che essi coltivavano con tanto amore e con grandi speranze, sotto l'arroganza degli zoccoli dei cavalli, subiva danni tali da compromettere l'annata e la sopravvivenza dei contadini. Tanti i soprusi che commetteva e faceva commettere alle sue guardie che il popolo tutto lo temeva e odiava. 

La sua strafottenza giungeva addirittura a ridere della povertà dei contadini e molte volte fu visto, con i suoi degni compari, banchettare sui prati assistito da servitori e da sbavanti sguardi che si accalcavano dietro i cespugli per soddisfare la curiosità.

Un giorno, cavalcando cavalcando solo soletto, scorse nella verdeggiante vallata un vecchio eremita che osservava attentamente un cranio di cristiano. Gli si avvicinò, e gli disse con tono derisorio: "Buon uomo, perché considerate questo teschio con tanta attenzione? Che volete scoprirvi?"

L'eremita con occhio grave, gli rispose: "Voglio conoscere se questo cranio apparteneva ad un principe prepotente e ricco, oppure ad un mendicante; ma è un'ora che lo esamino, e mi è impossibile saperlo".

Il duca capì o non capì l'allusione del vecchio? Rifletté sulla caducità delle umane grandezze?

 Da quel giorno non fu più visto aggirarsi nelle campagne con il suo seguito; da quel giorno i contadini riprendono dalla terra il frutto del loro lavoro e, fino a qualche giorno fa, vivevano felici e contenti.

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falsa aspirazione

UN VECCHIO CHE SFUGGE ALLA MORTE

Una volta c'era, in un paese di questo mondo, un vecchio novantenne, che stanco della vita avventurosa, si era ritirato nella sua quieta casetta . Aveva goduto una gioventù briosa ed una maturità vagabonda. Da giovane aveva dato largo corso a tutte le passioni, da uomo aveva girato mezzo mondo tra lavori e divertimenti.

Stanco di quella vita da vagabondo aveva deciso di ritirarsi in quella casetta per stare solo con se stesso e, alcune volte, con gli amici che, sempre assai contenti, accettavano gli inviti di quel caro vecchietto. Conduceva una vita sana e, solo, riandava ai ricordi di gioventù. In compagnia degli amici egli cercava di rallegrare la brigata, tra un boccone e una bevuta, con racconti di episodi e scene del passato: bravure di gioventù, storielle di amori, avventure di viaggi, descrizioni di città, guerre di popoli combattute o sentite narrare, favole di vecchi nonni, storie favolose, atti di eroismo.

Era in grande gioia e viveva godendo i suoi anni senza altro pensiero quando, una sera rigida d'inverno, mentre nella sua cameretta biascicava qualche orazione, imparata forse da bambino, si vide presentare, apparsa chissà come, una vecchia con una falce in mano. Il vecchio, a tale vista, si turbò, e... , dandosi  coraggio, domandò:

- Chi siete? E perché quell'arnese?

Un ghigno precedette la risposta e poi: - Sono la morte! - parlò la vecchia - e sono venuta per dirti di prepararti all'estremo viaggio: la falce è qui pronta per reciderti la vita.

Il vecchio impallidì, un tremore gli corse per l'ossa, il sangue gli s'agghiacciò nelle vene e... Tutte le esperienze vissute, le cose viste gli avevano insegnato come affrontare qualsiasi avvenimento e, infatti, prontamente riprese:

- Così presto?

- Presto?! Hai novant'anni suonati, e dici così presto? Non vedi che i tuoi coetanei sono tutti morti, tua moglie ppure, i tuoi figli sono scomparsi, qualche nipote ed i tuoi coetanei sono tutti al cimitero? Hai vissuto abbastanza, è tempo ormai di mettersi l'anima in pace e andare a godere l'eterno riposo.

Il vecchio si turba sempre più, si rende conto che a poco serve - in presenza della morte - la sua esperienza passata e si decide a pregarla, insistendo sulla pietà per un povero vecchio indifeso e..., ma invano. Allora si getta ai piedi della morte e la supplica di concedergli una santa morte permettendogli di farsi il segno della croce. 

- Promettilo: non mi farai morire finchè con mi sarò segnato con la croce. - implorò il vecchio.

- Ma... - tentò di dire la morte.

Promettilo e me ne verrò in pace e contento di accompagnarmi con te. - insistette il nostro protagonista.

La morte si convince e gli fece promessa solenne che non gli avrebbe troncato i suoi giorni prima che egli non si fosse segnato con la croce.

- E va bene! - Accettò la signora morte. - Adesso segnati!

- Promettilo. - pretese il vecchio - Devi dire "Lo prometto!" 

- Lo prometto! - disse stancamente brandendo la falce - Adesso facciamo presto e...

- L'hai promesso! L'hai promesso. - gioì il vecchio - L'ha promesso, l'ha promesso - continuò a dire e a gridare mentre prendeva per le vie deserte di campagna.

La morte rimase a bocca aperta a questa scena e, poiché c'era tanto da fare in giro per il mondo, se ne partì considerando la situazione e ripromettendosi di ritornare quando il vecchio si sarebbe segnato con la croce. Ma il vecchio tenne duro. Passarono giorni, mesi, anni, la morte più volte si presentò dal vecchio perché si segnasse una buona volta con la croce, ma il vecchio non ci sentiva da quell'orecchio.

Un giorno il Parroco del paese annunziò al popolo che dopo pochi giorni sarebbe venuto un giovane predicatore per le missioni e che nessuno mancasse di approfittare di questo nuovo beneficio divino. Il giorno stabilito tutto il paese si riversò nella Chiesa: il vecchio, seguendo la buona ispirazione dell'anima, si associò agli altri, anche per non sembrare ribelle all'invito del Parroco. Quando tutto fu pronto, comparve sul pulpito un bel missionario, giovane, di bello aspetto e dagli occhi fulminei. Al primo apparire conquistò la simpatia di tutto il popolo. Dopo aver esortato i presenti a fare con fervore quei santi esercizi e ricavare il massimo profitto spirituale per le loro anime, disse:

- Adesso fate come faccio io: segnatevi in fronte e dite: In nome del Padre... 

Il vecchio stava per... ma:

- Non me la fai! - disse e scappò via dalla Chiesa.

Era infatti la morte che si era travestita da missionario: ma la sua astuzia non riuscì a vincere l'accortezza del vecchio il quale, sfuggendo ogni insidia della morte, pare che viva ancora. Sarà vero?

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Rosina e la frittatina tina tina con la moschina

FRITTATA FRITTATINA 
FATTA E FRITTA DA ROSA ROSINA 

  C’era una volta Rosina.

  Un giorno Rosina fece una frittatina.

  La frittatina bella e calda, calda e bella fu messa a raffreddare sul davanzale della finestra.

  Mentre la frittatina si raffreddava passò di lì una mosca che appena la vide se la mangiò.

  Rosina s'accorse della mosca e subito corse alla finestra, ottenendo due risultati: uno, di far volare la mosca e due di constatare che la frittatina non c'era più.

  Vendetta voleva Rosina, tremenda vendetta.

  Decise d'andare dal giudice.

«Signor giudice, ho fatto una frittatina bellina bellina, se l'avesse vista signor giudice: calda, croccante... ero riuscita a farla così bene e piccolina che già sentivo il piacere che avrebbe procurato alla mia gola attraversandola e al mio stomaco ricevendola per poi distribuirla al mio corpo. Una pillola di salute era, signor giudice... era tutto il mio pranzo e...»

  Il giudice ridendo sotto i baffi che non aveva, ascoltava il racconto di Rosina e Rosina infuocata continuava: "Una mosca, signor giudice. L'ho vista! S'è posata sopra e l'ha mangiata in un sol boccone..., signor giudice! Giustizia, signor giudice!".

  Il sorriso sotto i baffi del giudice non si trattenne e venne fuori crescendo in una grassa risata e, tra una pausa e l'altra, il "signor giudice" pensava «Casi come questo rinfrancano lo spirito e alleggeriscono il duro lavoro di giudice. Magari fossero sempre così i casi da giudicare» e dava sfogo al riso che ormai era gigante.

  Poi, vedendo negli occhi di Rosina lo sbigottimento, uccidendo il riso e abortendo la serietà sentenziò:

 

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«Rosina, il caso è grave. Qui si profilano reati ab sustantia. Primo: per furto la mosca meriterebbe la galera senza attenuanti. Secondo: per tentato omicidio il soggetto è passibile  della massima pena. Il codice, attraverso i suoi codicilli mi permette di sentenziare...»

  Dalla finestra aperta era entrata una mosca e tra vortici e zig zag ronzava intorno al rosso viso del giudice.

  Rosina, curiosa, mentre ascoltava il giudice non perdeva d'occhio il minuscolo volatile.

« ...e la sentenza è la più dura! Si stabilisce una pena che solo con la morte corporale consentirà al ricorrente d'avere piena soddisfazione! Per quanto detto e per tutto quello che si potrebbe ancora dire, se ne avessi la forza e se il tempo lo consentisse, si stabilisce che Rosina per la legge può, riconoscendo l'imputato latitante, farsi giustizia con le proprie mani. Ipse dixit!»

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  Detto questo il giudice chiudeva insieme gli occhi per la risata trattenuta e il grosso librone da cui aveva finto di leggere la sentenza; la mosca stanca del volo si posava sul naso del giudice e Rosina gridando: «E' lei!», come un fulmine furioso, assestava un ceffone alla mosca che si solleticava al centro del naso del giudice.

  La mosca stramazzò e veloce il piedino di Rosina la finì.

  La sentenza era stata eseguita e Rosina, lasciando la faccia del giudice coperta per metà dai segni delle sue cinque dita e per intera dallo sbalordimento, ritornò a casa sua convinta più che mai che veramente LA LEGGE E' UGUALE PER TUTTI.

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La ricchezza

C’era una volta  mastro Francesco che di mestiere faceva il calzolaio. Mastro Francesco abitava in una casetta proprio vicino al palazzo del Re. Era felice! Copponi, disgrazie e tante altre cose che pareva che la serpe a due code gli si fosse voltata contro, non gli toglievano il buon'umore: cantava. Cantava tutto il giorno allegramente.

Il re che si affacciava ogni tanto alla loggia del castello, all'inizio sorrideva a sentire cantare l'allegro calzolaio, ma dalli oggi dalli domani si cominciò a stancare. Il re è sempre Re e ha tante responsabilità tante cose da fare e tanti pensieri: aveva tante guerre da fare e i pensieri per la testa? Tanti: rimproverare i servi, come fare per mettere tasse ai cittadini, come far organizzare il viaggio per la regina?, quando mettersi in carrozza per andare a godere il verde e farsi gli occhi con tutti i colori dei fiori?... che scuse trovare per fare altre guerre eccetera eccetera.  Un giorno che quel canto diventò una lagna, quel giorno non ne potette più e, su tutte le furie, così come stava seduto sulla sedia di re scese, andò da mastro Francesco e, mentre con gli occhi buttava lampi, con una voce ruffiana, tuonò: "Se non canti più, ti manderò una torta".

In verità, mastro Francesco, anche se poteva incazzarsi perché il re l'aveva interrotto proprio sul più bello di una canzone che ritmava le battute del martello su una scarpa, si fece una risata in corpo e promise di ubbidirgli. Il sovrano subito mantenne fede alla sua disonesta promessa: gli inviò la torta. Il calzolaio, che era obbligato con tanti parenti che nell'ora del bisogno lo aiutavano con prestiti vari pretendendo interessi minimi, propose alla moglie di regalarla a zio canonico che sicuramente era quello di cui si aveva più bisogno.

Zio prete a vedersi arrivare quella torta che era una contentezza per gli occhi gradì tanto il dono che, appena rimase solo, volle provare se anche la bocca gradiva quel ben di re e, nel tagliarla... sorpresa: il coltello procedeva con molti sforzi sulla strada per la fetta e, poi, quando prese lo spicchio rimase con la bocca aperta e con gli occhi che andavano sopra e sotto dalla fetta alla torta sul tavolo: era piena di marenghi d'oro.

Finita la sorpresa, zi' prete, badando che nessuno lo disturbasse arraffò tutti quei soldoni e andò a nasconderli in un posto che lui soltanto sapeva. Al nipote Francesco, allegro calzolaio, non una parola.

Il re, qualche giorno dopo, felice e contento tornò da mastro Francesco e con un sorriso che sapeva il fatto suo gli domandò: "Bhè, Maestro, hai mangiato la torta?". Francesco rimase indeciso se dirgli la verità o no, ma poi... gli rispose: "Maestà, mi dovete compatire, ma era così bella che non me la sono sentita di tenerla nella mia casa e l'ho portata da mio zio, il prete, che... insomma l'ho regalata". Madonna! Il re se lo voleva mangiare: "Come? Io..." Non gli uscivano le parole. Quando poi si calmò, gli disse: "Te ne mando un'altra, però mi devi promettere che la mangerai tu". Il re era sicuro, adesso che l'avrebbe aperta lui... era uno che manteneva le promesse. Il calzolaio, infatti, appena la ebbe volle gustarla, e, quando il coltello - faticosamente - mise in mostra tutte quelle monete d'oro e d'argento, non riuscì a contenere la sorpresa e la contentezza per quello che vedeva che... che morì sul colpo.

Proprio così. Morì di contentezza. Tutti i parenti vennero a dispiacersi di questa improvvisa morte e tutti i parenti, per i debiti che Francesco aveva con ognuno di loro, si presero la parte di quella contentezza in oro e argento. Venne anche lo zio prete e, al re che raccontava questa storia e del bene che aveva fatto, disse: "Eh, Maestà maestà... se Dio voleva che egli fosse ricco, non l'avrebbe fatto nascere povero; e tu, santo Re, hai visto che hai combinato? Per arricchirlo a forza l'hai fatto morire".

Ma... storia non è più 
la giusta conclusione tira tu!

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