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LA FORZA DEL DENARO

Viveva una volta, in una misera casa, un vecchio povero e solo. Un tempo, però molto lontano, egli era stato sposo e padre felice di quattro figli. Costoro, ormai adulti, si erano sposati ed erano andati a vivere ciascuno per proprio conto, abbandonando la casa paterna. Non molto tempo dopo, il vecchio rimase anche vedovo.

La perdita della moglie lo abbatté tanto che egli perse qualsiasi ragione di vita. Si chiuse in se stesso a tal punto da trascurare tutto: se stesso, casa, lavoro, figli...

Questi ultimi, dal canto loro, presi ciascuno dalle proprie preoccupazioni, avevano diradato a tal punto le visite che, a volte, passavano mesi prima che ritornassero a rivedere il padre. E, quando ci andavano, era sempre per una visita molto frettolosa.

Ma il tempo passava inesorabile ed il vecchierello si riempiva sempre d'acciacchi e nostalgie.

Arrivò pertanto un giorno in cui la solitudine cominciò a pesargli più di ogni altra cosa e il bisogno di avere più spesso i figli accanto divenne per lui imperioso e vitale. Ma come fare?

Poiché i figli non si muovevano, decise di uscire dal suo isolamento e di recarsi lui da loro.

Così, un giorno, sostenendo i suoi passi malfermi con un bastone, arrivò a casa di uno di essi, bussò e...

- Oh, papà! Entra! Siediti! - Lo accolse il figlio sulla soglia, con la mano alla maniglia e un piede già in strada. - Entra! E scusami se esco! Ho tante cose da sbrigare! - e se ne andò via frettoloso.

- Siediti, papà, e scusami! - ribatté la nuora - devo rassettare, ho tanto da fare! - e lo lasciò in un angolo della casa.

Il vecchio, solo, rimase un po' a disagio, poi, temendo d'essere di troppo, salutò e andò via.

Strascicando, raggiunse la casa di un altro figlio, e poi quella dell'altro e quella dell'altro ancora, ma dovunque trovò indifferenza e gelo. Nessuno colse cinque minuti per sederglisi accanto e dargli un po' di calore.

A questo punto dovrei dire - Povero nonnino! -, ma, vedremo che non sarà affatto da commiserare perché, anche se gli tremavano le gambe, gli erano rimaste ancora tante risorse per tirare l'acqua al suo mulino.

Dunque, amareggiato, ma per niente scoraggiato, decise di prendere i figli per il fondello dei pantaloni, proprio come si meritavano, costringendoli a fare con l'inganno ciò che avrebbero dovuto fare per amore.

In tanti anni il nostro vecchietto era riuscito a mettere un po' di soldi da parte, forse per il suo funerale e la sepoltura. Erano pochi, lo sapeva! Ma sarebbero serviti ugualmente al suo intento.

Ascoltate...

Una sera, nell'ora in cui il paese era già piombato nel silenzio, il nostro bravo nonnino, che abitava al primo piano di una casa piccola e tanto antica, pensò di dare inizio al piano che gli avrebbe ricondotto i figli a casa, pieni di premure.

A questo punto, miei cari, dovete sapere che, al tempo in cui accadde il fatto, non esisteva nessuna rete idrica che portasse l'acquedotto nelle case. Voi mi direte: e come facevano?! Semplicissimo! Quasi tutte le case erano fornite di capaci cisterne in cui si raccoglieva, attraverso le terrazze, l'acqua piovana che doveva servire per tutti gli usi. Così, per curiosità, mi piace dirvi che coloro i quali non possedevano una cisterna si recavano, con le giare sulla testa o a spalla, ad attingere acqua in un luogo del paese in cui si apriva un enorme pozzo collettore, simile ad un piccolo lago, in cui veniva convogliata l'acqua piovana. Naturalmente, oltre al fatto che era difficoltoso trasportare l'acqua di qui alle case, questa non sempre era pulita. Perciò vi renderete perfettamente conto che possedere un pozzo privato era, allora, una vera e propria ricchezza. Spesso una cisterna veniva goduta in comune tra due o più famiglie. Come?!

Attraverso la stessa gola, attingevano acqua quelli del piano di sotto e quelli del piano di sopra; naturalmente, poi, provvedevano in comune alla manutenzione e alla pulizia del pozzo.

A questo, comunque, ci si affacciava non solo per attingere acqua, ma più spesso anche per ascoltare tutto ciò che accadeva nella casa di sotto o in quella di sopra.

Riprendendo, quindi, il racconto, quella sera in cui aveva deciso di dare avvio al suo piano, il nostro bravo nonnino, che conosceva molto bene tutte le prestazioni di un pozzo, l'avida curiosità di quelli di sotto e la loro spiccata propensione a vuotare il sacco d'ogni cosa, cauto cauto spostò presso la gola della cisterna il tavolo, vi sistemò sopra due cuccume di creta, in una delle quali aveva versato tutti i suoi miseri risparmi, in monete di metallo, si sedette sopra il tavolo, aprì lo sportello che chiudeva la bocca del pozzo, condiviso con quelli del pianterreno, e cominciò a contare i pezzi.

Sapete come?!

Quando i pezzi erano finiti, rovesciava dalla cuccuma piena quelli già contati e riprendeva il conto, lì dove lo aveva sospeso, senza mai interrompere, come se avesse dinanzi tanti, ma tanti recipienti colmi di monete da contare.

La cascata tintinnante del denaro rovesciato sul tavolo, il suono argentino della moneta che veniva contata, dopo essere stata sapientemente battuta, giunsero, attraverso la gola del pozzo, a solleticare le orecchie e la curiosità di quelli del piano di sotto.

Costoro, dapprima increduli, poi sbigottiti, si avvicinarono avidi alla porta della cisterna, l'aprirono lentamente e drizzarono le orecchie fino allo spasmo.

- Mille... millecento... duemila... duemilacinquecento... - contava il vecchio senza interruzione e quasi con l'affanno.

E contava... contava... e le orecchie dei vicini si tendevano... si tendevano... e in essi accresceva la meraviglia e lo sgomento!

- Santo cielo! Quanto denaro! - esclamavano col fiato mozzo. E ascoltarono fino alle luci dell'alba e non ce la facevano più!

Per tutto il giorno credettero d'aver sognato. Sì... indubbiamente dovevano aver sognato! Tutti?!? No..., non potevano aver fatto tutti lo stesso sogno! E già... proprio così!

E ne ebbero conferma quando per quella sera, e per altre ancora, il vecchio riprese a contare la sua «enorme ricchezza» dal punto in cui aveva interrotto il giorno prima.

- Diecimila... undicimila... undicimilacinquecento...

Il vecchio contava e quelli giù, sulle gambe tremolanti, si sentivano scoppiare.

La cosa era troppo grossa per tenerla segreta!

Bisognava a tutti i costi liberarsi di quel peso che ormai li tormentava giorno e notte!

Il caso volle che, proprio in un giorno in cui sarebbero scoppiati comunque, passasse di lì, per caso, un figlio del nostro diabolico, ma tanto simpatico, nonnino.

- Oddio, vieni qui! Se sapessi! Forse non ci crederai, ma tuo padre è ricco sfondato! - gli dissero tutto d'un fiato e si sentirono meglio!

- Vuoi la prova?!... Vieni stasera a casa nostra!

E' inutile dirvi che il giovane non si lasciò pregare e, con le ali ai piedi, si recò all'appuntamento...

- Quindicimila... sedicimila... sedicimilacinquecento...

E, con somma meraviglia, dovette anche lui convincersi di quella realtà tanto inattesa quanto travolgente.

Avrebbe voluto tenere la cosa per sé, ma era troppo grossa e non ce la fece.

Il giorno dopo la notizia volò come un lampo da un fratello all'altro e, quando anche costoro ebbero la stessa certezza, per timore di perdere una parte dell'eredità, se non tutta, decisero di andare a visitare più spesso il padre e, a turno, di accudirlo, in modo che non fosse lasciato solo neppure un giorno.

A questa decisione naturalmente si giunse dopo un acceso contrasto tra tutti, ciascuno dei quali voleva accaparrarsi la fetta più grossa di ogni premura verso il vecchietto.

Il giorno dopo questo accordo, miei cari, ci fu un via vai di figli e di nipoti a casa del nostro nonnino. Chi gli soffiava il naso, chi gli portava le scarpe, chi gli dava da bere, chi gli girava intorno premuroso, chiedendogli se avesse bisogno di questo e di quello...

Insomma, la sera, quando tutti se ne andavano, il vecchierello, rimasto solo, si godeva la sua solitudine con gran soddisfazione e la notte dormiva, credetemi, ve lo assicuro, col sorriso sulle labbra.

Tuttavia, qualche sera, riprendeva a contare il suo denaro, per ricaricare i figli e perché in nessuno di loro sorgesse il dubbio dell'inganno. 

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tramonto

PADRE E FIGLIO

C’era una volta un padre e un figlio che vivevano soli da tanti anni. L'uomo ormai era divenuto vecchio e pieno d'acciacchi. Un giorno chiamò il figlio e gli disse:

-Figlio mio, ormai sono vecchio, non posso più accudirmi, tu vai a lavorare ed abbiamo bisogno di qualcuno che ci assista. Giacché sei in età da prender moglie, perché non ti sposi?

- Per la verità - rispose il figlio - io voglio già bene ad una ragazza, ma questa non porta nessuna dote, è povera.

- Figlio mio - rispose il vecchio - non importa. Io posseggo due fondi e la casa, te li do prima di morire se tua moglie è disposta ad accudirmi.

- Va bene papà. Stasera andrò a parlare in famiglia.

Così, venuta la sera, pettinato e con la cravatta, si presentò a casa della ragazza a parlare con i suoi genitori.

- Io voglio bene a vostra figlia e la vorrei sposare.

- Ma, tu lo sai, siamo poveri e non abbiamo nulla da darle in dote!

- Non importa. Mio padre mi darà una casa e due fondi se mi sposo. Però lei dovrebbe impegnarsi ad accudirlo.

- Ma come! Non c'era nemmeno bisogno di dirlo! E' un genitore e non lo si può abbandonare, anche se non vi avesse promesso nulla!

Così rimasero d'accordo e si sposarono.

Le cose andarono bene per un po' di tempo, ma poi l'impegno cominciò a pesare alla donna che non tardò a dare i primi segni di insofferenza.

Un giorno il vecchio, levandosi dal letto, fece per allacciarsi le scarpe ma fu colto da un dolore così violento alla schiena che non poté piegarsi. Allora chiamò la nuora:

- Figlia mia, vieni, allacciami le scarpe!

La donna sbuffò e diede in escandescenze:

- Ma lo vuoi capire che io ho sposato tuo figlio e non te? Allacciatele tu le scarpe!

A sera, quando rincasò il figlio, il vecchio gli disse:

- Figlio mio, ho paura che tua moglie si sia stancata di me.

E gli raccontò il fatto.

- Papà, non ti preoccupare, io sono stato chiaro con lei. Ora le parlo e vedrai che non succederà più!

L'uomo parlò alla moglie, ma questa cominciò a lamentarsi che non ce la faceva più, che non poteva stare dietro al suocero, che in quella casa c'era sempre da fare dalla mattina alla sera e che non aveva mai un attimo di riposo.

Passarono i giorni e la situazione andava sempre più peggiorando.

Non c'era cosa del vecchio che non desse fastidio alla donna. Brontolava, imprecava, lanciava improperi contro il pover'uomo e malediva anche il giorno in cui s'era sposata.

Ogni sera, quando rientrava stanco dal lavoro, il marito doveva sentirsi tutte le lamentele della moglie:

- Oddio, non ce la faccio più! Mi ammazzo! Sono stanca! Tuo padre mi pesa! Si può sapere, insomma, chi ho sposato, te o lui?

E così, ed ancor peggio, tutte le sere.

Anche l'uomo era ormai stanco di questa vita. Non c'era più pace in quella casa!

Sua moglie imprecava, suo padre soffriva, ed egli si sentiva impazzire! Doveva pur esserci una via d'uscita a questa situazione penosa!

Miei cari, dovete sapere che, fuori dal paese c'era un ospizio in cui si portavano tutti i vecchi abbandonati dai figli e vi rimanevano in attesa della morte.

- Forse potrei portare lì mio padre! - pensò il giovane. - Io ritroverò così la mia pace e potrò andarlo a trovare quando vorrò!

Una sera, tornato dal lavoro, trovò il povero vecchio in un angolo della casa e il fuoco spento.

- Moglie mia, hai preparato da mangiare a mio padre?

- Né a te, né a tuo padre. Arrangiati, se vuoi! - rispose stizzita la donna.

Bah, pover'uomo! Questo era proprio il colmo! Bisognava decidersi a portare il padre all'ospizio! Così, la mattina seguente, all'alba, si avvicinò al letto del padre e gli disse:

- Papà, vestiti! Dobbiamo andare ad una parte.

Il vecchierello, debole e tremante, cercò di raccogliere la sua roba. Ormai, anche la sua vista si era indebolita tanto! Il figlio lo aiutò a vestirsi e se lo caricò sulle spalle. Sì, miei cari, proprio sulle spalle, perché allora non c'erano né automobili, né biciclette, e chi non possedeva un asino o un cavallo, doveva servirsi delle sue spalle.

Strada facendo il vecchio era muto ed il figlio silenzioso.

Giunsero così alla periferia del paese e, presso il fondo detto di «padron Antonio», il giovane volle fermarsi per riprendere fiato. Si addossò al muricciolo di cinta e, rivolto al vecchio, disse:

- Papà, fermiamoci un po'!

Così posò a sedere il padre sul muricciolo e vi si addossò stanco.

- Figlio mio - chiese il padre, rompendo il silenzio - dove ci troviamo?

- Papà, ci troviamo presso il fondo di «padron Antonio».

Il vecchio stette un po' lì a pensare con aria titubante, poi, come dicendolo a se stesso, si batté la fronte col palmo tremulo della mano e sussurrò:

- OOhimé, fu proprio qui che, tanti anni fa, mi fermai con mio padre sulla schiena quando lo accompagnai all'ospizio!

A queste parole il figlio rimase pensieroso e poi, di botto, disse:

- Papà, rimonta sulle mie spalle e ritorniamo a casa!

La moglie intanto aveva rimosso il letto del vecchio e lo aveva portato in cantina. Quando vide comparire sulla soglia il marito con il vecchio sulle spalle:

- Beh!? Lo hai portato un'altra volta qui? - proruppe minacciosa con le mani ai fianchi.

- Senti, moglie mia, - rispose il giovane con tono deciso che non dava adito ad equivoci - questo è mio padre! Mi ha allevato con pane e senza pane, tra infiniti sacrifici e, come lui ha provveduto a me quando non potevo, così ora provvederò io a lui. Quindi, se ti va resta, se non ti va ritornatene da tua madre.

La donna capì che non c'era proprio da discutere, perciò si rimboccò le maniche e scese in cantina a riprendere il letto. Così quel povero vecchio poté concludere i suoi giorni nella casa in cui era nato e cresciuto, accanto a suo figlio. 

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IL CIABATTINO E IL VICINO RICCO

C’era una volta una coppia di sposi molto poveri. Lui era calzolaio ed il lavoro più importante che potesse capitargli era di risuolare un paio di scarpe vecchie.

Vivevano miseramente, ma si volevano un bene dell'anima ed accettavano, con rassegnazione e fede in Dio, la loro povertà. Mai una lite, mai un rimpianto o un lamento! Lui era sempre in bottega da mattina a sera, a lavorare o ad aspettare un paio di scarpe che avessero bisogno di lui; la moglie, nel retrobottega, scopava, puliva, rattoppava. Insomma, la vita scorreva serena tra tanta miseria.

Dovete sapere, miei cari, che accanto alla bottega del calzolaio viveva un uomo molto ricco, ma tanto infelice. Litigava da mattina a sera con la moglie, non aveva mai un attimo di pace! L'avidità di accumulare denaro lo assillava, gli sprechi della moglie lo tormentavano e, per ogni spesa da affrontare, scoppiavano dissidi violenti che finivano in vere e proprie scenate. Insomma, quest'uomo, anche se tanto ricco, era estremamente infelice.

Quando sentiva canticchiare il povero calzolaio, nel buio della sua bottega, quando lo vedeva sereno e tranquillo presso il povero deschetto, intento a rattoppare una scarpa maleodorante, si sentiva pungere il cuore da un sentimento che... sì, miei cari..., era proprio invidia.

- Come? - si chiedeva. - Io, che ho denaro, che ho tutto, che, se volessi, potrei comprarmi tutto ciò che mi passa per la testa, sono infelice, e questo misero ciabattino, che non sa neppure che faccia abbiano i soldi, che non possiede nulla, vive tranquillo e soddisfatto?

E pensa oggi e pensa domani, alla fine gli venne il sospetto che la sua infelicità dovesse dipendere proprio dal denaro.

Ma, come fare per averne la certezza!?

Ecco... trovato!

Un giorno si presentò nella bottega del ciabattino con una scarpa in mano.

- Buon uomo - disse - vi ho portato questa scarpa da risuolare, potreste farmela?

- Ma come! - rispose il calzolaio premuroso. E tra sé pensò che anche per quel giorno la cena era rimediata.

- Venite stasera a prenderla!

Il ricco allungò la mano verso il deschetto per poggiarvi la scarpa, e, intanto, lasciò cadere furtivamente per terra dieci lire.

Quando se ne fu andato, il ciabattino si mise di buona lena al lavoro.

Batti e batti gli cadde per terra un chiodo. Si piegò per raccattarlo e s'accorse delle dieci lire.

- Dieci lire?!?

Il fiato gli si mozzò in gola e rimase come inebetito dallo stupore.

- Prenderla o non prenderla?!... Non prenderla?!... Oddio come si poteva?

Era proprio lì nella sua bottega, accanto a lui!

Insomma, la tentazione di possederla alla fine divenne più forte dei suoi timori, così allungò la mano e la ghermì in pugno.

Con quelle dieci lire si sentì al colmo della felicità!

Non aveva mai visto tanti soldi in una sola volta! Sì, miei cari, proprio così, perché, all'epoca in cui accadde il fatto, dieci lire erano proprio una bella somma!

Allora non potendo più starsene nei panni, si affacciò al retrobottega e cominciò a gridare con quanto fiato avesse in gola: - Moglieee, moglie mia! Accorriii!... . La donna accorse ciabattando e asciugandosi frettolosamente le mani ad una cocca del grembiule.

- Cosa?!? Cos'è successo?

Quando vide, proteso verso di lei, quel denaro fiammante, per poco gli occhi non le uscivano fuori dalle orbite. Poi...

- Dammi qua! - disse, allungando la mano verso le dieci lire. - Andrò subito a spenderle!

- A spenderle?!? - ripeté l'uomo. - Ma sei pazza? Non ci penso proprio! Dobbiamo conservarle!

- Conservarle?!? - apostrofò la moglie. - ma allora non ti sei reso mai conto di quanta roba manchi in questa casa, di quante cose abbiamo bisogno noi due?!

E dici tu, che dico io, i due, per la prima volta in vita loro, cominciarono a malmenarsi, ad offendersi e a lanciarsi occhiataccie torve, proprio come due nemici.

Intanto l'uomo ricco era uscito, sì, ma si era subito fermato a due passi dalla bottega, in attesa dello svolgersi degli eventi. Con l'orecchio teso, non gli era sfuggito nulla di ciò che accadeva nell'interno e, quando sentì levarsi le grida di quei due poveretti che litigavano a causa delle dieci lire, capì, senza ombra di dubbio, che era proprio il denaro a creargli l'infelicità. Ormai appagato, entrò in bottega, deciso a riprendersi il suo.

- Buon uomo - disse rivolto al calzolaio - dovete scusarmi, ma quelle dieci lire per cui litigate sono mie. Mi sono scivolate presso il deschetto quando vi ho posato le scarpe.

Forse a malincuore il ciabattino gliele dovette cedere, ma so dirvi con precisione, miei cari, che poi benedisse cento volte e mille il momento in cui si liberò di quelle dieci lire, perché, da allora, ritornarono ad essere uniti marito e moglie e a vivere felici e contenti. 

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nonno

IL PADRE

Tanto tempo fa viveva una famiglia felice, formata da madre, padre e tanti figli... forse otto, forse dieci.

Erano poveri. I genitori lavoravano sodo da mattina a sera perché ai figli non mancasse nulla, e riuscirono ad allevarli come meglio non avrebbero potuto. Diedero un mestiere a tutti i maschi e una dote a tutte le femmine.

Col passar del tempo i figli si sposarono ed essi rimasero soli in compagnia della vecchiaia e dei loro acciacchi.

Un brutto giorno la moglie morì ed il povero vecchio si trovò ancor più solo e malandato. I figli, presi ciascuno dalle proprie preoccupazioni, andavano a trovarlo molto di rado, solo il più piccolo si recava dal genitore un po' più spesso degli altri.

Per il vecchio i giorni trascorrevano tristi e bui, nel ricordo amaro di una famiglia numerosa ormai dissoluta. La casa non risuonava più dei passi vigorosi dei suoi figli, nessuna voce più la rallegrava e lui era seduto da mattina a sera su una sedia, privo di forze, incapace d'accudire a se stesso. Le gambe e le mani gli tremavano e a volte aspettava che gli portassero un piatto di minestra per poter mangiare.

Un giorno il più piccolo dei figli si trovò a passare di lì per caso e pensò di entrare per salutare il padre.

La porta era accostata e l'interno buio. Avanzò cauto e nell'alcova, sul pagliericcio, trovò un corpo scheletrico, immobile nell'abbandono. Di quell'essere disfatto erano vivi solo due occhi che lo guardavano sgomenti e imploranti.

Il giovane si sentì stringere il cuore! Quel vecchierello gli faceva tanta pena! Non poteva essere abbandonato così! Bisognava che qualche figlio si prendesse cura di lui!

Decise allora di chiamare accanto al capezzale del padre tutti i fratelli e le sorelle per decidere a chi affidarlo.

Quando finalmente questi riuscirono a liberarsi un po' dei loro impegni, si ritrovarono, un giorno, tutti, come un tempo, nella casa d'origine, accanto alla larva di un uomo che li aveva messi al mondo e li aveva allevati a prezzo di immensi sacrifici.

- Vi ho chiamati - disse il giovane - perché nostro padre ormai è molto vecchio e non può vivere più da solo. Ha bisogno di qualcuno che lo assista. Se nessuno di noi si sente da solo di tenerlo fin che vive, poiché siamo in tanti, potremmo tenerlo un mese ciascuno.

- Mi pare una giusta proposta - disse uno - però io non posso tenerlo neppure per un giorno perché vado a lavorare in campagna!

- Anch'io - intervenne un'altra - non posso tenerlo perché ho la casa da accudire!

- Veramente - aggiunse un altro ancora - nemmeno io lo posso tenere perché ho i figli ancora piccoli!

Intanto il vecchio, tremando, guardava e taceva. Sperava in cuor suo, chissà quanto!, che almeno uno dei suoi tanti figli lo prendesse con sé.

Forse il più piccolo?!

Ma quando anche l'ultimo dovette dire la sua...

- Io?! - esclamò. - Dal momento che nessuno di voi lo vuol tenere, perché dovrei tenerlo proprio io?

Al vecchio cadde l'ultimo filo di speranza e, mentre i figli lo abbandonavano, ebbe la forza di sussurrare:

- Ho vissuto un'intera vita tra tanti sacrifici e rinunce per capire che un genitore può mantenere cento figli, ma cento figli non possono mantenere un genitore! 

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SOLDI

UNA VOLTA SI IMPICCO' 'COLA

C’era una volta un uomo molto ricco che aveva un figlio, di nome 'Cola, gaudente e dissipatore. Non c'erano mai soldi che gli bastassero. Amava circondarsi di amici scioperati come lui e dissipava tutto nei piaceri e nel gioco. Non aveva mai voluto saperne di lavorare o di aiutare suo padre negli affari!

Il povero vecchio non sapeva più a quale santo votarsi perché suo figlio mettesse la testa a posto! Ma, ahimé, non c'era proprio nulla da fare! Non gli rimaneva che la rassegnazione!

Ora avvenne che, un giorno, il pover'uomo, logorato dagli anni e dal dolore, si ammalò gravemente e, prima di morire, chiamò accanto a sé il figlio e così gli parlò:

- Figlio mio, è inutile che io ti raccomandi di mettere la testa a posto; so che non lo farai! Tieni però bene a mente questo che sto per dirti: quando avrai dilapidato tutte le tue sostanze e non ti resterà più nulla, neppure un amico..., vedi quella trave del soffitto?... Lega ad essa una corda e impiccati! Morto il padre, il giovane riprese la sua vita dissoluta, circondato da uomini d'ogni risma che mangiavano, bevevano e si divertivano alle sue spalle.

Ma... ogni ricchezza, per quanto enorme sia, se non è bene amministrata, ben presto diventa povertà.

E' quello che un giorno capitò al nostro giovane sconsiderato.

Avendo dato fondo ad ogni riserva di denaro, aveva venduto tutti i terreni e persino la casa in cui abitava. Ormai gli rimanevano soltanto gli occhi per piangere!

Anche gli amici lo avevano abbandonato e nessuno lo degnava più di uno sguardo.

Provò a chiedere aiuto, ma nessuno si rivelò disposto a dargliene. Aveva fame, aveva freddo e tanta amarezza in cuore al pensiero che il suo benessere era stato così effimero, quando invece avrebbe potuto essere più duraturo, solo che avesse dato retta ai consigli del padre.

Povero vecchio! Aveva proprio tanta ragione!

Cosa gli rimaneva ora che lo avrebbero cacciato anche da quella casa? Non gli rimaneva che obbedire almeno all'ultima volontà di suo padre: impiccarsi a quella trave del soffitto e farla finita per sempre!

Disperato, prese una corda robusta, l'attaccò alla trave indicata dal padre, se la passò intorno al collo e, dato un calcio alla sedia che fino ad allora gli era servita per sollevarsi dal pavimento, si lasciò cadere nel vuoto.

Ma, cra... cra... cra... patatracchete!... la trave dapprima cigolò, poi si spezzò sotto il peso e lasciò scorrere una pioggia di monete d'oro.

Quando il giovane, illeso, si riebbe dallo stupore, con le lacrime agli occhi, si sentì invadere da un'ondata di gratitudine e di amore, fino allora mai provati, per il vecchio genitore che, ancora una volta, aveva voluto aiutarlo e salvarlo.

Provato e pentito, decise di cambiare radicalmente sistema di vita.

Riacquistò la casa, riacquistò i terreni e si diede al lavoro, senza naturalmente trascurare la sua persona.

Quando gli amici lo videro vestito di tutto punto e con il portafogli ancora pieno, credendo di poter riprendere l'andazzo di una volta, cominciarono a farglisi intorno. Ma, a quelli più intraprendenti che gli chiedevano di riprendere a gozzovigliare, il giovane, rifiutando, concludeva: - Una volta si impiccò 'Cola!...

Così terminò i suoi giorni nell'agiatezza e nella serenità e il lumino, che accese dinanzi all'immagine di suo padre, brilla ancora. 

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