Sezioni

CORNUCO.jpg (25831 byte)

Efficacia della pazienza

C’erano una volta due contadine, che si chiamavano: Giannina e Teresina. Ogni mattina tutte e due si recavano alla piazza a vendere la frutta che portavano in una cesta in equilibrio sul capo.

Giannina era sempre allegra e contenta, come se non si affaticasse per niente; invece Teresina camminava col broncio e si lagnava sempre, perché diceva che la cesta pesava molto.

Vedendo che la compagna non si dava pensiero del peso, le domandò il perché, e quella le rispose : "Io prima di porre la cesta in capo, metto un'erba miracolosa, che non mi fa sentire peso". "E come si chiama quest'erba?" domandò Teresina.

"L'erba che io dico, è l'erba della pazienza".

approfondimenti2SIPARIO

La sorte malandrina 

Una era la volta e due i compari: l'una e gli altri... c'erano. Una volta c'erano due compari che, pur dividendo la povertà, erano proprietari di un asino per ciascuno. Faticavano tanto per cambiare la loro situazione ma nulla lasciava intravedere una sorte diversa da quella attuale. I desideri, le aspirazioni, i sogni cozzavano con la dura realtà. E fu proprio ai sogni che uno dei due affidò la speranza di vivere una vita diversa e migliore. Faceva tutte le sere... tutte le notti lo stesso sogno: Una bionda fata con una lunga veste turchese e un ammiccante sorriso che gli mostrava, divertendosi a pistrigliare con monete d'oro e d'argento, un forziere stracolmo di ogni bendiddio. Sembrava tutto vero! Nel sogno anche il piacevole tintinnio era reale... come reale e allettante era la voce che gli diceva: "Vuoi diventare ricco, lo so! Allora, prendi il ciuccio e vieni a Tale punto: troverai quello che vedi e potrai caricarlo sul ciuccio e portartelo a casa". Il tempo di urlare per chiamare la mula e il rumore della propria voce lo fece spandare e, mentre gli occhi stentavano ad abituarsi alla grigia realtà, la mente andò a rivivere il sogno: "Era tutto vero!" - ripeteva insieme al ricordo - "Bisogna che mi muova! Devo... devo farlo! Però... Il compare... Siamo così stretti dal comparizio... Devo avvisarlo!". Fu così che, tirandosi dietro il ciuccio, andò dal compare e... "Prendi il tuo ciuccio e corri! Andiamo a caricarci di fortuna e felicità!"

Con gli occhi ancora annebbiati per il sonno interrotto, il compare rifiutò l'invito e, con voce ancora arrochita dal sonno, pronunciò queste parole: "Se la fortuna vuole, viene a trovarmi a casa! Statti buono!" E, mentre stava per chiudere la porta in faccia alla meraviglia del compare, questi fece in tempo a chiedere: "Allora prestami il tuo ciuccio e al ritorno ti darò un regalo!". La porta si chiuse mentre la voce gli dava il permesso di prendersi l'animale, raccomandandogli... "Ma sta' attento che non gli succeda niente: ...che su quello stanno poggiate le mie speranze!". 

"Glielo canterò bene bene l'itemissa est, al tesoro della fortuna.! Ha finito di venirmi in sogno!" Se ne andava ripetendo ora al suo ciuccio, ora al ciuccio del compare mentre raggiungeva Talepunto. E quando quell'alba lo vide a bocca aperta con il cuore che batteva furiosamente in petto quasi a pretendere di uscire, lui, il fortunato compare, era sul ciglio di una fossa che contemplava le monete d'oro e d'argento proprio come fosse ancora in sogno, ma... sogno più non era e, senza che la processione squagliasse la cera, subito, appena il tempo di un ammen e i due ciucci erano già carichi e la fossa... vuota.

"Eh! Eh! Eh! Il mattino ha l'oro in bocca" - se la rideva il nuovo ricco. "Che emozione! Che contantezza! Come sarà contento..." E mentre i pensieri dalla testa si sperdevano in tutto il corpo... proprio il corpo... gli venne di andare da corpo. Forse perché tanto pieno di gioia, il suo organismo pretese di svuotarsi e lo obbligò a prendere una decisione: "Questo è un bisogno grande... Non posso più trattenerlo! Vado dietro il cespuglio e svuoto. La strada è lunga; a quest'ora nessuno va in giro;  ciucci li posso far andare verso casa... io faccio quel che devo fare e poi, subito subito, li raggiungo e... Sì! Tutto tempo guadagnato!" 

Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi dovette ripetersi il compare quando, dopo più del previsto, finì di fare i suoi bisogni e corse per la strada senza poter più nè raggiungere i ciucci, nè più trovarli. Dov'erano andati? Dov'erano?

Il tempo di fare questo grande e lungo deposito e i due ciucci erano già arrivati al paese. Le case addormentate e le strette viuzze rimbombarono al rumore degli zoccoli sulle chianche dei due ciucci che tictoccando procedevano. Il ciuccio del compare, sicuramente con la sua testardaggine, da vero ciuccio e più dell'altro ciuccio, procedette, seguito da quell'altro suo docile collega, verso la casa del compare rimasto a poltrire. 
Come i due ciucci arrivarono dietro la porta si misero a tirare calci facendo intervenire il meravigliato compare: "Il mattino ha l'oro in bocca", quasi urlò, anche lui (succede quando i luoghi sono comuni sui luoghi comuni), quando si rese conto di quello che andava succedendo. 
E, svelto di cervello com'era, si precipitò ad alleggerire i due ciucci di tutto il carico e li scacciò lontani dalla sua misera casa.

Quando l'altro compare, che dopo quei fatti suoi aveva cercato i due ciucci, giunse nei pressi dell'abitazione del caro combare e bussò per informarsi, si sentì dare questo giusto rimprovero: "Li hai persi? Te l'avevo detto io che quando la Fortuna vuole è lei che viene a trovarti a casa. Hai visto che ti è capitato? Mi hai perso il ciuccio e a te nulla è rimasto: nemmeno il tuo!" 
"Il mattino ha l'oro in bocca? Per chi? Chi avrà trovato i ciucci?" andava ripetendosi il poveretto.
"Se vuoi gabbare il vicino alzati subito al mattino. Non sempre!" si diceva, sogghignando, il furbo compare.

Il poveretto gira e rigira non riuscì più a trovare i due ciucci, mentre ebbe notizia lungo il suo cammino che il compare, inaspettatamente, aveva cambiato posizione: era diventato padrone di cavalli, carrozze, case, masserie, ville e villette ed ogni bendiddio.

Solo l'altro giorno ho saputo, da un amico di un amico che aveva per amico un amico dell'amico del povero sfortunato compare, che lui, il protagonista senza portafoglio di questa storia, dopo anni trovò i due ciucci: pascevano in un campo brucando placidamente la verde erbetta... e quando restituì il ciuccio che gli era stato prestato, ricevette in cambio due marenghi d'oro.

Gli bastarono per vivere felice e contento? Non si sa! Ora dorme sempre: aspetta un altro sogno?   

approfondimenti2SIPARIO

 PORTIERE

Cecco Cecchetto Cecchino

Questa volta i figli erano tre. Questa volta i tre fratelli guaglioni avevano un nome per ognuno: Cecco, Cecchetto e Cecchino, il più piccolo. I tre guaglioni, senza essere gemelli, somigliavano molto e si distinguevano soltanto dal comportamento. Il piccolo Cecchino era riconoscibile facilmente perché, in primavera  ed estate era ricercato da mosche e mosconi: l'immobile ammasso di carne depositato all'ombra del fronzuto e antico carrubo corrispondeva al nostro protagonista; in autunno e inverno era il punto fermo dei pazienti ragni che tessevano le loro insidie sicuri di avere alleato Cecchino.  Spostare un braccio per spaventare mosche o ragni era inutile: lui non s'infastidiva... infastidirsi? Mai e poi mai! Perché andare incontro a fastidiosi imprevisti per scacciare mosche o allontanare ragni? Muovere qualche muscolo... lavorare? Perché? Se poi tutto si rimetteva a posto senza sforzi quando la voce della madre con il suo invito - Si mangiaaaaa! - lo avrebbe messo in movimento? 

- Lavorare non fa bene!" - andava ripetendo il saggio guaglione Cecchino quando doveva muovere la bocca in alternativa al movimento manducatorio - Se stai male, il medico che dice? «Riposo! Riposo assoluto!» Io ubbidisco: il riposo non è fatica.

Gli altri due fratelli andavano dalla madre a lamentarsi: - Mammà, lo vedi a quello? Non fa niente... Tutto noi dobbiamo fare! E che lo teniamo a fare? Mandiamolo a quel paese e non se ne parla più!

- Figli miei, voi avete ragione ma Cecchino è sempre carne della mia carne e... No! Non è questa la soluzione... non posso cacciarlo, no! Forse... - un'idea balenò nella mente della povera madre - forse potremmo... Proviamo a dargli moglie, chissà gli viene la volontà di lavorare.

Lo accasarono e... 
La mattina, alla moglie che si stava per alzare dal letto, Cecchino domandò: - Che fai?

- Come "Che fai?", mi alzo per fare i servizi - rispose Antonietta, così si chiamava la giovane sposa. - Non fare la scema! Torna a letto e statti quieta, ti devi alzare quando mi alzo io.

Buona buona Antonietta tornò a coricarsi. Si coricò e... Ron ron, ron ron, si alzarono a mezzogiorno.

I fratelli: - Capodistozzo... non bastava Cecchino?! Mo' pure la moglie! - andavano a lamentarsi dalla mamma. 

La buona triste donna, considerando la situazione, ad estremi mali... dovette porre gli estremi rimedi: li scacciò tutti e due: - Andate! Fuori di qui. Una coppia come voi merita d'essere svergognata in pubblico. Via! - con l'indice puntato verso la porta del mondo.

Il guaglione, non si dette pensiero e... dovette rendersi conto che qualche cosa doveva fare. - Che fare? Non si deve lavorare! Il dottore... No! Fa male! - andava pensando mentre lentamente metteva un passo dietro l'altro sulla riva del mare.

Il suo occhio si posò su un vecchio pescatore che se ne stava fisso con una canna in mare in attesa di qualche sfortunato pesce.

- Mi faccio pescatore! Sì! Ecco cosa devo fare!

Si fece pescatore e, quello stesso giorno -il primo giorno, catturò uno sfortunato pesce, grosso. Allora decise di portarlo al re, sperando di avere qualche regalo. Giunto dinanzi al portone, trovò il portinaio che per farlo entrare gli disse: - Se mi prometti la metà del regalo che speri di avere, ti faccio passare. 

Egli promise, e salendo le scale incontrò altri tre servi che gli fecero la stessa proposta.

Giunto in presenza del re gli offrì il pesce, ed ebbe in regalo cento lire. 

- No! Non voglio quattrini mio magnifico Re! - disse Cecchino, prendendo distanza con la mano. Il re indignato: - Rifiuti? Perché rifiuti?
- Voglio, al posto dei quattrini, cento frustate. 
Il re scoppiò a ridere: - Cento... - ridendo - Chiamate lo stalliere! - ordinò. Arrivò lo stalliere con lo staffile. 

- Gli siano date cento frustate! - ordinò il re divertito.

Lo stalliere si mise lo staffile sotto l'ascella e sputacchiandosi le mani si preparò ad eseguire.

Aspetta! - disse Cecchino - Ché ho promesso la metà del regalo che dovevo avere al portinaio. 

Fu chiamato il portinaio... si abbassò la camicia e... - E uno e due e tre... e quarantanove e cinquanta! - contò lo stalliere.

- Ora devo mantenere la parola con gli altri che mi hanno fatto la stessa proposta: Sire, fate chiamare il primo portinaio della prima scala. - chiese Cecchino.

Sorrideva e s'incuriosiva il Re. - Sia convocato! - ordinò!

Fu chiamato... si abbassò la camicia e... - E uno e due e tre... e ventiquattro e venticinque! - contò lo stalliere.

- Ora tocca al portinaio della seconda scala! - regolamentò il furbo guaglione sfaticato.

- ... e dodici- contò lo stalliere.

 Poi...

- Ora il quarto!

- ...sei!

- Ne mancano? La prima metà, cinquanta, è stata data. Venticinque al secondo; Dodici al terzo... sei all'ultimo, ne rimangono? ...il resto, la mia porzione... cercherò di venderla. Aspettatemi!- argomentò Cecchino ed uscì di corsa lasciando i presenti di stucco.

Sceso nella via s'imbatté in uno sciocco chiamato mastro Francesco, e gli disse: - Vuoi comperarti sette frustate? Te le do a buon prezzo. 

Mastro Francesco, altra moneta falsa, non sapendo e, avendo visto uscire Cecchino dal castello, pensando che per essere cose esistenti nel palazzo reale dovessero convenirgli, accettò.

Salì frettolosamente le scale e quando si trovò in presenza del re e dello stalliere....

- E una e due e tre e quattro ... e sette! - concluse stanco ma felice lo stalliere.

Carico di meraviglie se ne tornò borbottando mastro Francesco; carico di ammirazione si ritrovò sorridendo il re e ... carico di quattrini e provvisto abbastanza godeva Cecchino. 

Il re, apprezzando l'intelligenza e la furbizia del giovane Cecchino, prese a volergli bene e lo nominò primo e secondo e terzo portinaio. Così Cecchino continuò a vivere, senza mai lavorare, felice e contento.

approfondimenti2SIPARIO

FORTUN.jpg (26866 byte)

Quando la Fortuna vuole, sa trovare la casa

Successe che per far cominciare questa storia si trovarono tre amici: due lavoratori e uno, invece, sfaticato al massimo. Successe pure che, aummaumm, i due lavoratori vennero a conoscenza dell'esistenza di un tesoro. Quella fu la volta che i due, per la grande amicizia che li univa, andarono ad invitare, aummaumm, lo sfaticato a partecipare... "...in quel terreno, a circa un miglio, capisci? Una fortuna! Stanotte! Passiamo a prenderti e andiamo, con pale e zappe, a scavare nel campo che abbiamo saputo. Tu porta il lume a petrolio, così possiamo lavorare tranquillamente. Ricchi... capisci? La fortuna ha trovato la nostra strada!"
"Sì, Sì, campa cavallo che l'erba cresce! Sono proprio matti questi due miei amici: la notte... la notte? Non sanno che la notte è fatta apposta per riposare? E specialmente oggi, poi, che mi sono stancato a cacciare le mosche che mi davano un fastidio, ma un fastidio mentre tentavo di non stancarmi per riposare. Stanco come sono...", pensava il terzo mentre i due si avviavano raccomandando "Mi raccomando, aummaumm, non dirlo a nessuno, se no..."

Si fece sera e poi suonarono due ore e ventiquattrore e... arrivò l'una di notte, ma l'amico non arrivava all'appuntamento. Attesero ancora qualche minuto ma poi, conoscendo l'indole dell'amico, decisero: "Andiamo!" Il poltrone, infatti, se ne stava pacificamente a russare nel suo letto.
I due amici, con pale zappe bisacce e sacchetti, giunsero sul luogo dell'appuntamento con la Fortuna: scava tu e scavo io, svuota tu e svuota io, i due stavano lavorando da ore ma solo sfortuna si manifestava: per i due lavoratori e per la popolazione verminosa di quel terreno che si vedeva  sfrattata.. La perseveranza dei due poteva paragonarsi alla cocciutaggine e fu proprio per questa virtù che alla fine le loro zappe incontrarono un rumore diverso. La loro attenzione si impegnò ad agire con cautela e , infatti, riuscirono a tirar fuori con fatica... un...?

"Ma è un pupazzo di terracotta!" si ritrovarono a urlare, insieme, meravigliati. 

Alla sorpresa seguì lo sconforto che, poi con una inspiegabile variazione d'umore, proruppe in una risata.

"Ma che cosa ci aspettavamo?" disse l'uno all'altro.

"Abbiamo verificato la nostra stupidità!", aggiunse l'altro mentre la risata cresceva fino alle lacrime.

"Siamo stati presi in giro da qualche figlio di zoccola!" sottolineò ancora il primo.

"Non so fino a che punto c' entri il nostro amico dormiglione, ma..." avanzò il dubbio il secondo.

"Sai che ti dico?"; "Cosa?"; "... il nostro amico se l'è scansata 'sta nottataccia e allora..."; "Sì! ...facciamolo noi a lui lo scherzetto!"

E si accordarono su come procedere: presero, con fatica, il grande pupazzo e lo trasportarono al paese fino alla casa dell'amico. Il pupazzo, alto quanto un uomo, rappresentava un contadino con una faccia divertita che, mostrando la lingua, esprimeva derisione.

Lo sistemarono proprio dietro la porta di casa sua con l'intenzione di far trovare l'amico faccia a faccia con la faccia burlante del pupazzo in modo da farlo spaventare e, allo stesso tempo, dargli "la cogliona".

Quando, infatti, l'amico, comodo comodo, aprì la porta e si ritrovò faccia in fronte a quello sberleffo...

Sarà stata la reazione violenta, sarà stato, forse, perché lo stupore non gli segnalò in tempo di fermare i suoi passi che procedevano in uscita da casa... fatto sta che il pupazzo si ritrovò in mille pezzi lì sulla soglia di casa del poltrone.

Il rumore dei cocci e il suono della voce dell'amico richiamarono l'attenzione della moglie che da preoccupata, insieme al marito, divenne gioiosa e piacevolmente desiderosa di godere del contatto di tutti quei marenghi d'oro e d'argento che erano sparsi ai loro piedi.

Le raccolsero tutte quelle monete e, per la prima volta, il difficile rapporto dell'amico con il lavoro si trovò ad una svolta decisiva perché per diverse ore, il nostro, si ritrovò piegato, insieme alla moglie, per la produttiva pulizia dello spazio antistante la casa.

E, anche se fu confermata la sua filosofica certezza che "se la fortuna vuole, sa trovare la casa", la sua amicizia lo spinse a dividere con gli amici quella fortuna e - insieme - godettero di quel tesoro. 

Se qualche giorno ci trovassimo ad assaporare il piacevole benessere del silenzio, forse saremmo in grado di sentire le risate dei tre amici che, mentre conducono la coltivazione di alcuni terreni, si raccontano, tra una risata e l'altra, questa storia che vissero felici e contenti.

approfondimenti2SIPARIO

SPOCCHIA IN SPECCHIO

Una Pigra e Cecchina

Allora, quella volta, c'era una ricca famiglia che cresceva a latte d'uccello una figlia molto... molto bella. I genitori, impegnati a fare opere di bene e a lavorare, per guadagnare sempre di più, avevano dato per compagnia, a questa figlia che non poteva rimanere sola in quella casa così grande, una bambina della sua stessa età di nome Cecchina che, zitto zitto in mezzo alla piazza,  era mancante di bellezza. A vederle insieme tutti erano portati a fare il confronto e la bellezza veniva in risalto: Cecchina era proprio brutta.

I ricchi genitori sempre fuori e le due fanciulle, la figlia bella e la brutta Cecchina, in casa. Che fare in tutto quel tempo? Avevano imparato a filare. La bella giovane, sì, si metteva a filare ma... non le incozzava: ogni minimo nodo che si formava al lino da lavorare la faceva innervosire e buttava via il lino con tutto il nodo. Cecchina, invece, filava tranquillamente e, quando alzava la testa dal lino e guardava la ricca padrona-compagna, si ricordava la filastrocca che aveva sentita da bambina e mentalmente la ripeteva: La fatica si chiama cocozza, a me non m'incozza, a me non m'incozza. Poi, sorridendo, con la santa pazienza, raccoglieva il lino che la insoddisfatta padrona abbandonava  e dopo averlo aggiustato e filato, lo metteva da parte. Quando fece una buona provvista di tutti quegli avanzi, li portò da un tessitore, si fece fare un bel vestito e lo stipò. Se lo guardava, Cecchina, quel bel vestito nello stipetto e, mentre le ridevano i sensi, richiudendo lo sportello, pensava al giorno che lo avrebbe indossato.

Quel giorno arrivò. 

Un giovane, preso dalla bellezza della padrona di Cecchina, aveva mandato  l'ambasciata alla ricca famiglia che aveva accettato di far incontrare i giovani e, stabilito il giorno in cui, appunto, si dovevanoapparolare prima del fidanzamento, si prepararono a fare una grande festa.

Cecchina era raggiante, più della futura sposa, perché finalmente avrebbe messo il bel vestito e se lo andava a spazzolare continuamente per la festa. La festa arrivò e un simpatico gruppo di musicisti si sistemò nella grande sala attaccando, prima, con un concertino e, poi, con una serie di musiche da ballo. Tutti si alzarono a ballare e tutti invitarono tutte. I due promessi, ballando, cominciarono a scambiarsi le prime parole di conoscenza: - Io mi chiamo Peppino e faccio un bel mestiere! Appena ho visto i tuoi occhi sono stato subito conquistato e... - andava confidando il futuro sposo all'orecchio della futura sposa.

- Io sarò la padrona di tutto quello che vedi e non sopporto che qualcuno mi parli nell'orecchio: non sono sorda! - interruppe altezzosa la ricca giovane - ...e poi... - interrompendo se stessa - Come avete detto che vi chiamate? - domandò.

- Mi chiamo... - stava per dire Peppino quando, la bella giovane, ancora interrompendolo e guardando Cecchina che se la godeva nel suo bel vestito, sentenziò: - Come si smorfia con il mio lino quella serva sfacciata!

Il giovane, anche se indisposto da quello strano comportamento, incuriosito, le domandò il significato di quelle parole ed ella raccontò che Cecchina s'era fatto il vestito dal lino, che lei aveva gettato. 
Egli, a sentire questo fece l'unica cosa saggia che poteva fare: lasciò la bella e viziata giovane e avviò tutte le pratiche per sposare Cecchina. 

- Per fortuna che nel mondo circola ancora l'invidia! Se non ci fosse io non avrei conosciuto le qualità di Cecchina e avrei commesso un grosso errore. - pensò, allora, il saggio giovane e, dopo che sposò Cecchina, da allora, con lei vive felice e contento.

approfondimenti2SIPARIO

Pagina 2 di 37