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La ricchezza

C’era una volta  mastro Francesco che di mestiere faceva il calzolaio. Mastro Francesco abitava in una casetta proprio vicino al palazzo del Re. Era felice! Copponi, disgrazie e tante altre cose che pareva che la serpe a due code gli si fosse voltata contro, non gli toglievano il buon'umore: cantava. Cantava tutto il giorno allegramente.

Il re che si affacciava ogni tanto alla loggia del castello, all'inizio sorrideva a sentire cantare l'allegro calzolaio, ma dalli oggi dalli domani si cominciò a stancare. Il re è sempre Re e ha tante responsabilità tante cose da fare e tanti pensieri: aveva tante guerre da fare e i pensieri per la testa? Tanti: rimproverare i servi, come fare per mettere tasse ai cittadini, come far organizzare il viaggio per la regina?, quando mettersi in carrozza per andare a godere il verde e farsi gli occhi con tutti i colori dei fiori?... che scuse trovare per fare altre guerre eccetera eccetera.  Un giorno che quel canto diventò una lagna, quel giorno non ne potette più e, su tutte le furie, così come stava seduto sulla sedia di re scese, andò da mastro Francesco e, mentre con gli occhi buttava lampi, con una voce ruffiana, tuonò: "Se non canti più, ti manderò una torta".

In verità, mastro Francesco, anche se poteva incazzarsi perché il re l'aveva interrotto proprio sul più bello di una canzone che ritmava le battute del martello su una scarpa, si fece una risata in corpo e promise di ubbidirgli. Il sovrano subito mantenne fede alla sua disonesta promessa: gli inviò la torta. Il calzolaio, che era obbligato con tanti parenti che nell'ora del bisogno lo aiutavano con prestiti vari pretendendo interessi minimi, propose alla moglie di regalarla a zio canonico che sicuramente era quello di cui si aveva più bisogno.

Zio prete a vedersi arrivare quella torta che era una contentezza per gli occhi gradì tanto il dono che, appena rimase solo, volle provare se anche la bocca gradiva quel ben di re e, nel tagliarla... sorpresa: il coltello procedeva con molti sforzi sulla strada per la fetta e, poi, quando prese lo spicchio rimase con la bocca aperta e con gli occhi che andavano sopra e sotto dalla fetta alla torta sul tavolo: era piena di marenghi d'oro.

Finita la sorpresa, zi' prete, badando che nessuno lo disturbasse arraffò tutti quei soldoni e andò a nasconderli in un posto che lui soltanto sapeva. Al nipote Francesco, allegro calzolaio, non una parola.

Il re, qualche giorno dopo, felice e contento tornò da mastro Francesco e con un sorriso che sapeva il fatto suo gli domandò: "Bhè, Maestro, hai mangiato la torta?". Francesco rimase indeciso se dirgli la verità o no, ma poi... gli rispose: "Maestà, mi dovete compatire, ma era così bella che non me la sono sentita di tenerla nella mia casa e l'ho portata da mio zio, il prete, che... insomma l'ho regalata". Madonna! Il re se lo voleva mangiare: "Come? Io..." Non gli uscivano le parole. Quando poi si calmò, gli disse: "Te ne mando un'altra, però mi devi promettere che la mangerai tu". Il re era sicuro, adesso che l'avrebbe aperta lui... era uno che manteneva le promesse. Il calzolaio, infatti, appena la ebbe volle gustarla, e, quando il coltello - faticosamente - mise in mostra tutte quelle monete d'oro e d'argento, non riuscì a contenere la sorpresa e la contentezza per quello che vedeva che... che morì sul colpo.

Proprio così. Morì di contentezza. Tutti i parenti vennero a dispiacersi di questa improvvisa morte e tutti i parenti, per i debiti che Francesco aveva con ognuno di loro, si presero la parte di quella contentezza in oro e argento. Venne anche lo zio prete e, al re che raccontava questa storia e del bene che aveva fatto, disse: "Eh, Maestà maestà... se Dio voleva che egli fosse ricco, non l'avrebbe fatto nascere povero; e tu, santo Re, hai visto che hai combinato? Per arricchirlo a forza l'hai fatto morire".

Ma... storia non è più 
la giusta conclusione tira tu!

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