VIVERE

Meglio un mal vivere che morire 

Abbandonato da tutti, viveva nella più squallida miseria un povero vecchio. Per isfamarsi era costretto a stendere la mano, ricevendo molte volte delle ripulse o accattando qualche tozzo di pane, elargizione di qualche ricco, prezzante della povertà altrui o borioso della sua nobiltà. Man mano che i giorni passavano, egli si sentiva venir meno le poche forze che gli rimanevano. Pensava con invidia a tanti ricchi che nuotano nell'opulenza, a tanti gaudenti della vita, a tanti che almeno sono robusti della persona e possono, col lavoro, procurarsi di che mangiare. Egli, invece, curvo sotto il peso degli anni e della miseria, era costretto a trascinare gli ultimi giorni della sua vita nella estrema indigenza ed in una lotta continua per isfamarsi.

Tra un sospiro e l'altro spesso esclamava:

- O morte, morte, perché non vieni a prendermi? Colpisci tanti giovani che, nel pieno vigore delle forze, potrebbero godersi la vita; stronchi i sogni di tante giovanette che vagheggiano un roseo avvenire in compagnia di qualche cuore innamorato; recidi i giorni di tanti fanciulli che, fiorellini olezzanti, profumano di sorrisi e di gaiezze tante famiglie, ghermisci tanti che potrebbero vivere comodamente tra le loro ricchezze e potrebbero fare tanto bene a sé ed alla società, e la mia povera esistenza non la puoi sopprimere? Ma la morte non si presentava: era sorda alle sue querele.

Un giorno di aprile, il bel tempo, la fresca aura e il profumo della campagna invitarono il vecchio a fare una passeggiata pei campi. Recitava qualche orazione, ed il cinguettio degli uccelli gli metteva grande allegrezza nell'animo.

Qualche ragazzo discolo non mancava di lanciargli delle parole offensive o forse anche qualche pietra: i vecchi amici lo confortavano con qualche parola, gli ricordavano i bei tempi passati: i contadini facevano qualche prognostico sulla raccolta, altri parlavano della miseria crescente, altri, lavorando la terra che usciva nera e fumante sotto i colpi della zappa, gli parlavano della speranza che nutrivano per il loro campicello; si fermava con donne che, col cercine in testa, tornando dalla campagna, sostenevano qualche paniere pieno di ortaggi: ammirava l'efflorescenza delle varie piante da cui emanava un effluvio paradisiaco.

Egli, curvo sul suo bastone, andava sempre avanti, raccogliendo i fuscelli che incontrava qua e là per terra, legandoli con un vinciglio.

Quando fu stanco, riposò alquanto, e caricatosi della fascina, pian pianino si trascinava a casa, borbottando e lanciando qualche maledizione alla sua miseria.

Ad un certo punto, sentì il bisogno di riposarsi un poco e, adocchiato un muricciolo abbastanza alto, si avvicinò e posò sopra il suo fardello. Diede un'occhiata intorno e, vistosi solo, gli venne dal profondo dell'anima questa imprecazione:

- Maledetta morte, e quando mi verrai a trovare?

Non l'avesse mai detto: immantinente si vede davanti uno scheletro gigantesco con la falce in mano che gli domanda:

- Che vuoi? Più volte mi hai chiamato ed io non mi son fatta vedere, ma questa volta sono a tua disposizione. Dimmi che desideri?

Il vecchio la squadra dall'alto in basso, vede quanto è orrida e brutta: un senso di spavento lo pervade: vuole balbettare qualche cosa, ma non riesce: desidera fuggire, ma le forze gli mancano. Allora con voce supplichevole le dice:

- Grazie della tua venuta, ti avevo chiamato soltanto perché mi aiutassi a riporre sulle spalle la fascina.

(? Proverbio: Meglio un mal vivere che morire.)

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