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RICCA E POVERA

Tanti e tanti anni fa viveva una vecchierella tanto ma tanto povera che non era mai sicura di poter rimediare un boccone nella giornata. La casetta era piccola e buia, con qualche panca sgangherata, un tavolo traballante ed un pagliericcio su cui dormire.

Quando i morsi della fame si facevano sentire insistenti e non aveva neppure un tozzo di pane stantio in casa, prendeva il suo grande scialle, lo avvolgeva intorno alle magre spalle e si avviava per i sentieri della campagna a raccogliere la verdurina selvatica che non appartiene a nessuno ma a tutti.

Aveva fede in Dio ed era convinta che, come gli uccellini non morivano di fame, così la provvidenza non le avrebbe mai fatto mancare un boccone. In estate, poi, riusciva anche a procacciarsi della buona frutta, senza rubarla, beninteso, ma raccogliendo quella già caduta per terra e abbandonata dai contadini.

Muro a muro alla sua povera casa, sorgeva l'abitazione grande e robusta di una donna molto ricca e altezzosa.

Quando sopraggiungevano le giornate piovose e fredde, e la nostra vecchina non poteva andar troppo lontano a procurarsi da mangiare, intirizzita nel suo scialle, picchiava, a volte, al portone della donna benestante, ma non le era mai riuscito d'ottenere, sia pure, un boccone avanzato.

Delusa e mortificata ogni volta, ormai aveva deciso di non contare più sulla pietà e sulla carità della vicina. Preferiva allora affrontare le intemperie o attendere il bel tempo per uscire a procacciarsi del cibo.

Un giorno, in cui sentiva forte il bisogno di mangiare un po' di pasta, decise di recarsi in campagna sin dalla mattina presto e di riempire un grosso sacco di cicorielle campestri, in modo che, ritornata in paese, potesse venderle e, col ricavato, comprare tutto ciò che le serviva per prepararsi un piatto di pasta al sugo.

Partì da casa che ancora le stelle brillavano in cielo. Camminava quasi battendo i denti, avvolta nei suoi miseri panni, e trascinando sulle gambe mal ferme il suo corpo irrigidito dalla vecchiaia.

Stette tutto il giorno piegata verso terra, intenta a riempire il suo sacco della verdura più tenera e più scelta. Al tramonto se ne ritornò, curva e stanca, al paese e, prima di rincasare, cominciò a bussare casa per casa e a chiedere: - Volete un po' di cicorielle fresche di campagna?

Alla fine riuscì a venderle tutte e, col denaro guadagnato, entrò in una bottega di generi alimentari.

Qui spese tutti i suoi soldi per comprare un po' di farina e della salsa.

Quando tornò a casa e si chiuse finalmente la porta dietro le spalle, si gettò stanchissima su una sedia, ma traboccante di felicità.

La casa era buia e silenziosa, ma le sembrò tanto cara e tanto amica. Aveva in un angolo qualche ceppo raccattato dalla campagna, decise allora di accendere un focherello che l'avrebbe illuminata e riscaldata.

Quando il fuoco cominciò alacre a scoppiettare, la vecchina si mise all'opera: prese il tavoliere, lo sistemò sul tavolo, vi versò la farina e cominciò ad impastarla con acqua tiepida. Intanto sul treppiedi, sotto il camino, pose una pignatta di creta e cominciò a preparare il sugo.

Mentre un odorino piacevole si diffondeva per la stanza, la vecchina, calma ma col cuore in gola dalla felicità, lavorava la pasta e incavava le orecchiette. In un'altra pignatta pose dell'acqua a bollire e, quando fu pronta, vi versò le stacciole già fatte. La pasta, come impazzita, faceva giravolte nella pentola che borbottava, mentre la nostra nonnina, con la cucchiaia di legno, ora girava il sugo, ora assaggiava se le orecchiette eran cotte.

Ormai la pasta era cotta e bisognava scolarla.

Quando l'ebbe scodellata, vi versò sopra un abbondante sugo delizioso, poi sistemò accanto al tavolo la sedia meno rotta, e si mise a sedere.

Era sul punto di infilzare la pasta con la forchetta, quando sentì picchiare alla porta.

Rimase con la mano a mezz'aria e stette in ascolto...

Bussavano ancora!

Chi mai poteva essere a quell'ora?!

Si alzò e, strascicando i piedi, si diresse all'uscio.

- Chi é? - chiese cauta.

- In nome di Dio, buona donna, - implorò una debole voce - mi sono sperduta e non so dove passare la notte! Potreste darmi voi un po' di ospitalità? Almeno per mio figlio, che riposi al riparo!

La vecchina socchiuse lentamente l'uscio e, quando nel buio della notte riuscì a distinguere appena una donna con un bambino abbandonato tra le braccia, lo spalancò tutto per farla entrare. La investì una folata di vento gelido e subito richiuse la porta dietro le spalle di quell'infelice donna. Con la mano la guidò verso la sedia, presso il tavolo. Prese il bimbo che dormiva, lo adagiò sul pagliericcio e lo coprì con una coperta tutte toppe. Vide il volto della giovane donna imporporarsi lievemente al tepore del camino e, poiché doveva aver fame, portò in tavola un altro piatto e vi versò una metà delle sue stacciolle. La donna dapprima tentò un cenno di ricuso, timido e fugace, ma poi si piegò, senza più pudore, sul piatto, affamata.

La vecchina le si sedette accanto e mangiò anche lei. Di tanto in tanto lanciava uno sguardo furtivo alla povera giovane e vedeva il vestito molto leggero per quella stagione e lo scialle rattoppato e sbrindellato, e vedeva quel volto, emaciato dalle sofferenze, che pure doveva essere tanto bello e dolce, e guardava quelle mani scarne già percorse dal tremito.

Il bambino dormiva tranquillo e beato!

Povera donna! Così giovane e tanto sventurata!

In fondo - pensò la vecchina - io sono stata favorita dalla sorte più di lei! Non ho bambini da allevare e posseggo una casa ed un camino acceso!

Quando ebbero finito, invitò la donna a sostare lì da lei per quella notte e per altre ancora, se avesse voluto, ma, la mattina seguente, all'alba, la giovane prese suo figlio tra le braccia e, rivolta alla vecchierella disse:

- Che Iddio vi benedica, buona donna, per il vostro grande cuore! Resterei volentieri qui da voi, ma non posso. Vogliate accettare come dono questo fuso e perdonatemi se non ho altro da offrirvi!

Così dicendo, trasse di sotto al mantello un fuso, lo porse alla nostra vecchina e sparì nel chiarore della campagna.

La nonnina rimase lì sulla soglia e si girava e rigirava quel fuso tra le mani.

Com'era bello!

E come sarebbe stato utile se avesse deciso di adoperarlo! Era veramente un dono provvidenziale!

Filando avrebbe potuto guadagnare qualche soldo per sfamarsi e poi, ora che ci pensava, quello era proprio l'unico lavoro che potesse fare alla sua età e con i suoi acciacchi!

Un giorno, quindi, si procurò della lana, la cardò e cominciò a filare.

Fila, fila... ben presto calarono le tenebre. La sua casetta piombò nel buio e lei non possedeva neppure una candela per rischiararla, né aveva un ceppo da mettere al fuoco.

Come fare?!

Povera vecchina!

Pensa questo e pensa quello, alla fine decise di praticare un buco nella parete attigua alla casa della ricca vicina, affinché da esso filtrasse un po' di luce.

Piano, piano..., senza far rumore, con un ferro, scalfendo sempre più profondamente il muro, riuscì a praticarvi un foro; accostò la sedia alla parete, si sedette e cominciò a filare, illuminata dal tenue chiarore che trapelava.

E così la vecchina trascorreva le sue notti lavorando.

Il filo cresceva e con esso le speranze di alleviare la sua miseria.

Ma un brutto giorno la vicina ricca s'accorse del foro praticato nella parete e, con rabbia stizzosa, subito lo otturò con la pece.

Quando, la sera, la nostra vecchina prese il fuso per lavorare e s'accorse che dal foro non trapelava più luce, le bastò scrutare un po' dentro per rendersi conto di ciò che era avvenuto.

Come doveva fare ora?!

Era notte, il sole era tramontato da un pezzo e non vi era che la luna nel cielo!

La luna?!

La vecchina aprì l'uscio e vide la strada rischiarata dai raggi argentei della luna piena.

- Sia ringraziato il cielo! - esclamò - potrò lavorare fuori a questo chiarore!

Così prese una sedia e si sedette presso la soglia a filare.

Filava... filava... e la luna lentamente camminava... camminava...

Tutta intenta a far girare il fuso, la vecchina si spostava con la sedia e seguiva, man mano che si allontanava, la luna nel suo cammino.

Filava... e la luna le dava i suoi raggi e il fuso brillava di un argenteo chiarore.

Il tempo passava e lei filava.

Quando la luna scomparve, la nostra nonnina, alzò la testa dal fuso e si guardò intorno.

In che luogo si trovava?!

Non ne aveva proprio l'idea, ma era sicura di trovarsi molto lontana da casa.

Tornare indietro? Ma da che parte?

Stava per essere presa dal panico quando intravide nelle tenebre la sagoma di un castello. Si sarebbe diretta lì e avrebbe chiesto ospitalità per quella notte, poi, l'indomani, alla luce del giorno, avrebbe cercato di ritornare a casa. Lentamente si avviò al castello e, appena giunta, cercò di picchiare al portone, ma s'accorse che era aperto. Lo spinse cautamente e si trovò in una sala grande e illuminata. Entrò e, in fondo, intorno ad una grande tavola riccamente apparecchiata, vide dodici uomini vigorosi e allegri che mangiavano, bevevano e ridevano in buon'armonia.

Si fermò intimorita... quando...

- Nonnina, entrate! Venite a mangiare un boccone! - la invitò uno di essi.

Tutti si voltarono verso di lei e, premurosi, le cedettero una sedia.

Come erano buoni e generosi!

Vedendola così stanca e affamata, le posero dinanzi un piatto fumante e la invitarono a mangiare. Ella, timida e confusa, taceva e ogni tanto mandava giù un boccone con imbarazzo.

Quando alla fine si fu ristorata...

- Come mai, nonnina, siete giunta fin qui? - le chiesero.

Ed ella raccontò loro della sua casa buia, della luce rubata alla vicina, e come si era trovata lì seguendo i raggi della luna.

Quando quei baldi giovani, che altri non erano che i dodici mesi, videro il filo che brillava argenteo come i raggi lunari, rimasero estasiati.

- Ma è meraviglioso! - esclamarono all'unisono.

La vecchina, allora, grata per l'ospitalità ricevuta, lo porse loro e insistette perché lo ricevessero in dono.

Quando fu l'alba, i giovani approntarono una carrozza e ordinarono al cocchiere di riportare la donna a casa sua. Aiutarono poi la poverina a salire e, prima che la carrozza partisse, le donarono uno scrigno.

La vecchina, commossa, li salutò e la carrozza partì. Quando nella sua casetta aprì lo scrigno... che meraviglia!... Traboccava di tanta frutta d'oro e d'argento, imperlata di pietre preziose!

Era al colmo della felicità!

Ormai la vecchiaia non le faceva più paura e, poi, avrebbe potuto alleviare la miseria di tant'altra gente!

Cominciò quindi a rendere la sua casetta più confortevole: imbiancò l'interno e la facciata, comprò delle sedie più robuste, un letto più morbido, un tavolo più solido, comprò un lume e tanta legna per il suo camino.

Quando la vicina di casa s'accorse che il comignolo della vecchina fumava allegro, che la gente povera si recava in quella casa e ne usciva a mani piene, cominciò ad arrovellarsi il cervello e la notte non dormiva più per la rabbia.

Come poteva essere?!

Da dove prendeva, così all'improvviso, tanto denaro la sua vicina?

E dalli oggi, dalli domani, decise, in fine, di venire a capo di quel mistero a tutti i costi.

Si ricordò allora del buco nella parete che aveva otturato.

Già... avrebbe potuto liberarlo e spiare nella casa accanto... chissà... avrebbe, forse, scoperto qualcosa!

E, infatti, prese un ferro aguzzo e cominciò a liberare il foro dalla pece, piano, piano, per non far rumore.

Quando finalmente poté spiare attraverso, vide sul tavolo della vicina uno scrigno. Doveva sicuramente contenere un tesoro! Ecco da dove attingeva i suoi soldi!

Ma dove lo aveva preso?

Chi poteva averglielo dato?

Bisognava saperlo a tutti i costi, altrimenti sarebbe vissuta in un inferno.

Così, il giorno dopo, con aria decisa e spavalda, irruppe nella casa della nostra buona vecchina.

- 0 mi dici dove hai preso quello scrigno, o io ti accuserò d'averlo rubato! - le ordinò perentoria.

Per la verità la buona nonnina, anche se non aveva nulla da nascondere, a quella minaccia fu presa da un forte sgomento e le raccontò tutto.

Cominciò a dirle della notte di luna piena, del suo cammino dietro la luna, del castello, del filo che aveva donato ai giovani e dello scrigno che le avevano offerto.

La donna ricca, soddisfatta e felice per aver scoperto finalmente tutto, decise che avrebbe fatto come la vecchina, sicura che avrebbe avuto anche lei uno scrigno pieno d'oro e di pietre preziose.

Così, nell'attesa che arrivasse una notte di luna piena, si fece filare tanta di quella lana e, quando la luna spuntò nel cielo tonda tonda, prese una carrozza e cominciò a seguirla nel suo cammino.

Quando la luna tramontò, la donna si trovò presso il castello.

- Allora la vecchia non mi ha detto una bugia! - pensò soddisfatta. E, se finora aveva avuto dei dubbi sull'autenticità dell'avventura, ora invece si sentiva baldanzosa. Fermò i cavalli presso il castello, scese dalla carrozza e si avviò verso il portone. Lo trovò socchiuso. Entrò senza timore e si trovò in una grande sala, in fondo alla quale banchettavano dodici uomini vigorosi, allegri e gioviali.

Aspettò che si accorgessero di lei, ma, quando vide che nessuno le badava, si spazientì e, con arroganza, proruppe:

- Ehi, non è una bella cosa lasciare una donna sulla soglia! Non vedete che sono sola e stanca? Nessuno di voi mi cede una sedia?

I giovani, divenuti improvvisamente seri, la guardarono con aria corrucciata, tuttavia le fecero posto a tavola.

Oddio, con quanta voracità e malagrazia cominciò a mangiare! Aveva da ridire su questa e su quella vivanda, assaggiava, con fare schifiltoso, tutto ciò che le veniva servito di volta in volta, per poi decidere se mangiare o rifiutare. Pareva che il benessere in cui era vissuta le desse il diritto d'essere insolente e boriosa.

Quando, finalmente, ebbe finito, i giovani le chiesero come mai fosse giunta lì. La donna raccontò che si era smarrita nella notte ed aggiunse che, in cambio della ospitalità ricevuta, intendeva donar loro del filo che portava con sé. Cosi dicendo, tirò fuori il fuso e mostrò ai dodici mesi la lana filata.

Era tanta... ma quanto diversa da quella della vecchina! Non aveva né quei bagliori argentei, né quella delicata morbidezza!

Vedendo i giovani esitanti...

- Beh, lo volete? - chiese stizzita.

E i dodici fratelli, sempre accigliati, presero la lana e le diedero in cambio uno scrigno.

La donna, che non stava più in sé dalla gioia, si strinse lo scrigno tra le braccia e, senza neppure ringraziare, infilò di corsa la porta e... via, sulla carrozza, di gran galoppo, verso casa!

I cavalli correvano con le criniere al vento, e la donna, incurante degli urti e delle scosse, con una mano tirava le redini e con l'altra si stringeva lo scrigno in grembo, e così fantasticava:

- A casa lo aprirò e con tutto l'oro e le pietre preziose mi farò una casa più grande, l'arrederò di mobili meravigliosi, come nessuno ne ha mai visti, mi comprerò tanti vestiti ed avrò tanti servi. Vivrò come una regina e sarò riverita ed ossequiata da tutti!

E la sua fantasia correva più dei suoi cavalli!

- Tutti mi invidieranno e creperanno di rabbia! Anche la vecchia! - si ripeteva con dispetto. Ed accompagnava i suoi vaneggiamenti con cenni di approvazione del capo.

Arrivò a casa che albeggiava!

Fermò i cavalli, aprì la porta con le mani che tremavano dall'ansia e corse a posare lo scrigno in mezzo al tavolo. Lo rimirò estasiata, con gli occhi avidi, e lo accarezzò ripetutamente con mani amorose.

- Sono la donna più ricca e potente del mondo! Tutti si inchineranno a me!

E mentre così farneticava, aprì lo scrigno e...

Miei cari ragazzi, voi non potrete mai immaginare quello che successe!

Altro che oro e pietre preziose!?!

Da quella cassettina aperta, improvvisamente, si liberarono con impeto inaudito tutti i venti invernali, con le tempeste di neve e di grandine, lampi e tuoni. Ululando e fischiando rabbiosamente, scardinarono le porte, sconquassarono i mobili, abbatterono le pareti della casa e sballottarono di qua e di là la donna che gridava e si dimenava atterrita.

Il vento, la neve, la pioggia e la grandine infuriavano senza conoscere ostacoli e senza pietà. Pareva che tutte le forze malefiche della natura si fossero date convegno in quel luogo per misurare la propria violenza.

Quando alla fine tutto tacque, della casa non rimanevano che macerie! La donna giaceva nella strada tramortita e con gli abiti sbrindellati.

Quando, pian piano, si riebbe e si girò intorno confusa, provò l'angoscia della miseria e della solitudine. Era ridotta sul lastrico!

Da quella catastrofe non si era salvato nulla! Della sua casa non rimaneva che un ammasso informe di rovine!

Presa dal panico, pianse, pianse accoratamente e, per la prima volta in vita sua, si pentì d'essere stata gelosa ed ingorda.

Pensò alla vecchierella sua vicina, al pane e alla luce che le aveva negato, a quanto era stata cattiva ed egoista!

Arrancando e gemendo giunse presso la casa della buona vecchina.

Picchiò, ed una mano pietosa si protese verso di lei, a tenderle aiuto.

Quanto è confortevole la carità del prossimo!

In quella casa, accanto alla buona nonnina, si sentì pervasa da un calore benefico che le aprì il cuore alla bontà e all'amore.

Adesso era sicura che pian piano avrebbe ricostruito la casa e che, come la vicina pietosa, anche lei avrebbe dedicato tutta la sua vita ad alleviare le sofferenze degli infelici. 

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