pozzo

Il pesce spaventato
     U pescë spandât

Specialmente nei paesi lontani dal mare, una volta il pesce era considerato un cibo prelibato, una vera leccornia, in modo particolare quando si riusciva ad averlo appena pescato e, quindi, non molto spesso.

Giuann Pëzz'nnòrr (Pëzz'nnòrr è un tipico agnome e corrisponde al nome dialettale del pinnacolo dei trulli) aveva un tesoro: un amico e, per di più, un amico pescatore il quale un bel giorno, non so se per ringraziarlo di un piacere ricevuto o nella speranza di riceverne uno, gli fece avere un bel pesce grande e grosso e così fresco che ancora si muoveva.

Giovanni, tutto contento, lo consegnò alla moglie Rosina Fafodd (Fafodd: altro agnome indicante un tipo di legume), da poco sposata, perché lo cucinasse l'indomani.

Il mattino dopo, come sempre di buon'ora, salutò la moglie raccomandandole di preparare una buona cena con quello splendido pesce e prese la via dei campi per un'altra giornata del solito duro lavoro.

A questo punto cominciarono i problemi per la nostra Rosina: il pesce era veramente bello, tutto lucente e colorato, ma chi sapeva cucinarlo?

Rosina non ci aveva mai provato ed era proprio disperata non sapendo a che Santo rivolgersi.

Infine, non avendo alcun aiuto dal Cielo, pensò bene di rivolgersi ad una vicina di casa.

Questa ascoltò con attenzione il racconto del problema di Rosina e, pensando che era arrivata finalmente l'occasione per prendersi gioco dell'ingenuità e dell'inesperienza della giovane sposa, finse di ricercare con cura in un cassetto dove dichiarò di aver riposto le ricette migliori, quelle che le avevano assicurato un gran successo in cucina e le entusiastiche lodi del marito. Infine, così le disse trattenendosi a stento dal ridere:

«Sint a me: fân u pescë spandât; a cuscënall nan gë vuël nodd. Pegghië u pescë, mitt'l sôp a na tav'l, cal'1 ndo pozz; lass'l sta p tott a sciurnât, i d tant in tant vân i spand'l».

«Ascoltami: fai il pesce spaventato; a cucinarlo non ci vuole niente.  Prendi il pesce, mettilo su di una tavola e immergilo nel pozzo.  Lasciato stare per tutto il giorno e, di tanto in tanto, vai e spaventalo».

Rosina si sentì sollevata: nei momenti di bisogno, avere una vicina così esperta e disponibile era una vera fortuna.

Ringraziò di cuore e stava per andarsene quando si accorse che non le era stato detto come fare per spaventare il pesce:

«M'ha dett accumm s fascë u pesca spandât, ma nan m'ha dett accumm egghiä a fà a spandall quann vôc o pozz».

«Mi hai detto come si fa il pesce spaventato, ma non mi hai detto.come devo fare a spaventarlo quando vado al pozzo».

La vicina che, oltre ad essere una persona di spirito, aveva sempre la risposta pronta le disse:

«Avvcen't o pozz, affaccâ't a bell a bell i fân: pah!  U pescë s'ho spandà i s'ho cuscë'nà prop't bûn».

«Avvicinati al pozzo, affacciato piano piano e grida "pah!". il pesce si spaventerà e si cucinerà proprio bene».

Rosina, giuliva e contenta, ritornò sollecita a casa ed eseguì esattamente quanto le era stato consigliato.

Depose il pesce su di una tavola che, poi, introdusse nel pozzo; ogni tanto si avvicinava alla bocca del pozzo e, con quanto fiato aveva, gridava: «Pah!».

E venne la sera.

Quando Giovanni tornò a casa, stanco per la giornata di duro lavoro, si era infatti di marzo ed in campagna era tempo di "spaparnà” ("Spaparnà": spiantare le erbe tra i filari delle colture), trovò la tavola apparecchiata e, in cuor suo, cominciò a rallegrarsi pensando al buon pesce che tra poco gli sarebbe stato servito.

Rosina portò prima in tavola un bel piatto di orecchiette. Erano veramente buone da leccarsi i baffi ma Giovanni, pensando al pesce, le divorò in quattro bocconi accorgendosi appena di che si trattava.

Finalmente arrivò il momento del pesce.

Rosina si recò al pozzo, tirò su con molta cautela la corda a cui aveva legato il pesce e lo servì in tavola.

«L'ha cuscë'nât stu pescë? » le chiese Giovanni.

«L'hai cucinato questo pesce? » le chiese Giovanni

«Sën ca l'egghie cuscë'nât, l'egghie fatt spandât» e gli spiegò come aveva fatto.

«Certo che l'ho cucinato; l'ho fatto spaventato» e gli spiegò come aveva fatto.

Al povero Giovanni salì il sangue alla testa.  Iniziò a sbraitare ed inveire, ma poi si rese conto che non sarebbe servito a nulla: l'errore più grosso l'aveva fatto lui quando aveva sposato Rosina.

Si narra che da quel giorno in poi a cucinare il pesce provvide sempre Giovanni. 

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