INVOLTO

La storia di Gnumm'ridd'

 

Oggi la tendenza largamente diffusa tra le famiglie è quella di mettere al mondo non più di due o, al massimo, tre figli; una volta invece ogni figlio, oltre ad essere considerato una benedizione del Cielo, rappresentava un paio di braccia in più e, quindi, un valido aiuto nel duro lavoro dei campi. Così le famiglie numerose erano tantissime e la mancanza di figli era considerata una vera disgrazia.

E disgraziati, appunto, si ritenevano Tonín i Iangël, per ironia della sorte soprannominati "Fel'ammorr" (Figliaiosa), i quali, nonostante ogni impegno, non riuscivano ad avere figli. Particolarmente addolorata ed angustiata per tale disgrazia era la signora Angela che, ogni mattina, si recava in Chiesa e, in ginocchio davanti alla statua di S. Antonio, così pregava:

"Sant'Antonië meië, fammèll sta grazië, famm avaië nu piccenn. M'avast p'or ca ië piccionn quant a nu gnumm'ridd".

"Sant'Antonio mio, fammi questa grazia, fammi avere un bambino. Mi basterebbe anche che fosse piccolo quanto un involtino". 

Tanto pregò e tanto supplicò che Sant'Antonio non ne potette più e le fece la grazia. I Fel'ammorr ebbero il loro bambino ma tanto piccolo e mingherlino da essere, appunto, minuscolo come "nu gnumm'ridd".

"Sant'Antonië meië, ieië t ringraziescë! - si lamentava Iangël - ma dech se'n ca iera a iess piccionn, ma non proprië d sta manie'r ".

"Sant'Antonio mio io ti ringrazio! – si lamentava Iangël - Però dico sì che me lo avresti dato piccolo, ma non proprio di questa misura! ".

Comunque, la gioia di aver finalmente avuto il figlio tanto atteso dissipò ben presto ogni malumore per le ridotte dimensioni del neonato.

Iangël accettò contenta quel fagottino minuscolo e gli volle subito un mondo di bene. Le comari vicine di casa, invece, pettegole e invidiose, la prendevano in giro e la deridevano per quel figlio così piccolo che, però, man mano che cresceva in età, anche se ahimè non in statura, mostrava di avere una intelligenza acuta e vivace e una eccezionale prontezza.

La mamma lo mandava spesso al mercato per la spesa e, se all'inizio Gnumm'ridd trovava difficoltà a farsi vedere, ascoltare e prendere sul serio, con il passare del tempo non ebbe più problemi perché tutti lo riconoscevano subito e lo servivano con piacere per la sua gentilezza e cortesia. Molto spesso capitava così di vedere camminare per la strada pagnotte, cavoli, insalata, formaggi ed ogni altra merce perché Gnumm'ridd era cosi piccolo che scompariva sotto di essi.

Quando giunse in età di lavoro, la madre lo invitò a cercarsene uno; ma, ahimè!, era tanto piccolo che nessuno lo voleva:

"Cë n'è ffà d nu gnumm'ridd accumm a te?"

"Che posso farmene di un involtino come te?".

si sentiva rispondere; eppure era sveglio, pronto d'ingegno e di lingua, forte come un uomo normale e in più aveva un portentoso e magico potere del quale, però, non faceva parola a nessuno.

Dopo aver girato inutilmente per tutte le botteghe del paese, pensò infine di recarsi a corte per chiedere a sua maestà un lavoro qualsiasi. Il re, sorpreso per la sua piccolezza ma divertito e incuriosito dalla sua intelligenza e dalla sua arguzia, lo assunse al proprio servizio come giardiniere.

Nel giardino reale Gnumm'ridd si trovò presto a suo agio tra piante e fiori che erano belli anche visti dal di sotto; spesso però correva il rischio di essere calpestato dai tanti nobiluomini in visita al palazzo reale, specialmente numerosi in quel periodo in cui la corte era frequentata dagli innumerevoli pretendenti alla mano della principessa. Il pericolo di essere schiacciato da quegli uomini alteri, superbi ed incuranti gli fece venire una gran stizza alimentata da un po' d'invidia per quelle persone di statura normale; cominciò allora a fare dispetti. Si nascondeva ogni giorno sotto una pianta diversa e gridava a gran voce:

"Tulí tulì tulí a fegghië u rië nan vuël nisciòn! Tulí tulí tulí a fegghië u rië nan vuël nisciòn!".

"Tulí tulí tulí la figlia del re non vuole nessuno! Tulí tulí tulí la figlia del re nonvuole nessuno!".

Il re era indispettito, la principessa disperata: per quanto si cercasse, non si riusciva a scoprire l'autore di quello scherzo.

Esasperato il re ordinò che, qualora fosse stato preso, l'impertinente dispettoso fosse arso vivo nel forno. Gnumm'ridd, venuto a conoscenza dell'ordine reale, pensando di poter essere scoperto, temette per la sua sorte e pensò di correre ai ripari. S'avvicinò alla fontana che zampillava nel giardino reale ed ordinò:

"Acquë, tras tott ndo curp meië".

"Acqua, entra tutta nel mio corpo".

Acciuffato dalle guardie reali, che lo avevano sorpreso mentre urlava il suo "Tulí tulí ...", fu condotto al forno della reggia e, come era stato ordinato, vi fu gettato dentro. Non appena la bocca del forno fu chiusa dietro di lui, Gnumm'ridd esclamò:

"Acquë, iss tott do curp meië",

"Acqua, esci tutta dal mio corpo".

e il fuoco si spense. Nottetempo, mingherlino com'era, non ebbe difficoltà ad uscire da una piccola fenditura del forno e da sotto un cavolo riprese il solito ritornello:

"Tuli tulí tulí a fegghië u rië nan vuël nisciòn".

"Tulí tulí tulí la figlia del re non vuole nessuno!"

Il re era sbalordito e non voleva credere alle proprie orecchie.

Si fece ripetere più volte il racconto di quello che era accaduto e ogni volta le guardie reali giurarono di aver gettato Gnumm'ridd nel fuoco ardente. Sorpreso ed ammirato per averlo ritrovato vivo e vegeto, il re lo perdonò e gli concesse di tornare al suo lavoro di giardiniere. Gnumm'ridd, però, per niente impressionato dal pericolo corso, stava già pensando ad un'altra delle sue. Ogni giorno, allontanandosi alquanto dalla reggia, bighellonava sornione nella campagna circostante e, per ogni nido di vespe che incontrava, gridava a gran voce:

"vesp, traset tott ndo curp meië".

"vespe, entrate tutte nel mio corpo".

Quindi ritornava a corte e lasciava libere le vespe nei posti più impensati ed inopportuni: in cucina, nelle camere da letto, nella sala da pranzo mentre erano in corso i banchetti, nel bagno reale mentre era occupato.

In poco tempo tutta la reggia fu piena di vespe che perseguitavano con i loro pungiglioni chiunque capitasse loro a tiro e democraticamente, senza alcuna distinzione di ceto o di censo, non lasciavano in pace nessuno.

Il re era nuovamente disperato e non sapeva con chi prendersela non pensando minimamente che il responsabile potesse essere Gnumm'ridd.

Fu tentato in tutti i modi di liberare la reggia da quelle bestioline fastidiose e dolorose, ma esse si moltiplicavano a vista d'occhio e non si fermavano davanti a niente e a nessuno.

Dopo un ennesimo inutile tentativo, il re sfinito e tutto gonfio di punture emanò un bando: Chi fosse riuscito a liberare la corte dalle vespe avrebbe avuto in sposa la principessa sua figlia.

Allettati dalla promessa e con la speranza di sposare la bellissima figlia del re, si presentarono a corte tantissimi pretendenti: nobili e cavalieri, principi e regnanti, scienziati, maghi e stregoni ma nessuno riuscì nell'ardua impresa di allontanare le vespe ché, anzi, furono visti tutti quanti allontanarsi di gran carriera dalla reggia, inseguiti da uno sciame di vespe inferocite.

Finalmente, un bel giorno, Gnumm'ridd decise che era giunto il suo momento e si presentò dal re chiedendo di poter fare un tentativo per allontanare le vespe. Il re, divertito per quella inattesa proposta, infine acconsenti senza alcuna speranza nel risultato, ché quel microbo di uomo non poteva certo riuscire dove uomini valorosi e pieni d'ingegno avevano fallito, ma curioso di vedere cosa avrebbe escogitato.

Non appena Gnumm'ridd, ritiratosi in un luogo appartato ed al riparo da sguardi indiscreti, ebbe gridato: "Vesp, traset tott ndo curp meië", la nuvola ronzante scomparve dentro di lui. Si allontanò poi verso la campagna e

"Vesp, assét tott do curp meië".

"Vespe, uscite tutte dal mio corpo".

E così fu. Immaginate lo stupore del re: rimase a bocca aperta per un'intera giornata e meno male per lui che le vespe non c'erano più.

Quel soldo di cacio di uno Gnumm'ridd si era rivelato un vero portento, una meraviglia, una creatura fenomenale. Il re, a questo punto, non poteva dimenticare di aver promesso in sposa la propria figlia anche se la poverina proruppe in pianti e singhiozzi quando seppe di dover sposare un esserino tanto minuscolo. Il re tentò di convincere Gnumm'ridd a rinunciare offrendogli in cambio oro, argento, terre e palazzi, soldi e ricchezze ma Gnumm'ridd fu irremovibile: la parola di re era parola di re e lui voleva ad ogni costo la principessa.

Così fu tutto stabilito per quello strano matrimonio. I fedeli sudditi del re, intanto, commossi e rattristati per la triste sorte della loro bellissima e adorata principessa, cominciarono a coprire di insulti, contumelie, ingiurie e percosse quell'omino che non sapeva starsene al suo posto.

Mamma Iangël, preoccupata per la piega che stavano prendendo gli eventi e sentendosi in parte responsabile di quanto stava accadendo per aver chiesto "nu gnumm'ridd" di figlio pur di averne ad ogni costo uno, si recò di corsa in Chiesa e si precipitò ai piedi di Sant'Antonio pregando a gran voce:

"Sant'Antonië meië, e capét ca nisciòn s put mett nnanz a Crest i ca ieië nann'er addummannà nu fegghië accumm a nu gnumm'ridd scëchett pu des'derië d'avaië nu piccenn! P'denn, Sant'Antonie, p'rdun'm i aiot'l ton codd pov'r fegghië d'sgrazi'at".

"Sant'Antonio mio, ho capito che bisogna fare la volontà di Dio e che non dovevo chiedere un figlio grande come un involtino solo per il desiderio di avere un bambino! Perciò, Sant'Antonio, perdonami e aiutalo tu quel povero figlio disgraziato!".

Avendo visto che la donna aveva capito la lezione e s’era pentita del proprio egoismo che l'aveva portata a pensare alla propria soddisfazione senza alcuna preoccupazione per i problemi che quell'uomo in miniatura avrebbe avuti, Sant'Antonio volle aiutarla e fece il miracolo.

Il giorno delle nozze, sotto gli occhi attoniti di tutti gli invitati, Gnumm'ridd cominciò a crescere a crescere fino a diventare alto e forte: un giovane bellissimo, il più bello che si fosse mai visto in paese, biondo, muscoloso, con gli occhi azzurri e la voce melodiosa.

La gente che lo aveva umiliato, pentita per averlo deriso e mortificato, lo coprì di lodi chiedendogli scusa e perdono per essere stata tanto meschina. La principessa, poi, era al settimo cielo e sprizzava gioia da tutti i pori.

       Si celebrarono, quindi, le nozze e tutti vissero felici e contenti.

 

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