CASTFAT

I principi con la palla d'oro in mano 

e la stella d'oro in fronte 

I prencëp cu a pall d'or mman
i cu a stedda d'or mbront 

 

C’erano una volta tre sorelle che vivevano molto poveramente, ma d'amore e d'accordo.

Un giorno mentre dissodavano l'orto, tra una confidenza e un pettegolezzo, tra una chiacchiera ed un racconto, forse alla più giovane o forse alla più anziana capitò di chiedere alle altre cosa più desiderassero dalla vita.

Toccò alla più anziana parlare per prima:

« U fatt meië ië: cë avess u cucchìr du rië ».

«Il mio desiderio è di sposare il cocchiere del re».

Intervenne la seconda:

« U fatt meië ië: cë avess u cuch du rië; por ch'era a llëccà i piatt'r - pensava - erá a sta bun »

«Il mio desiderio è di sposare il cuoco del re.  Pur se dovessi soltanto leccare i piatti - pensava - starei bene ».

Ed infine la più giovane:

« U fatt meië ië!: cë avess u fegghié du rië; erá a ffa vëntón felë cu a pall d'or mman i cu a stedda d'or mbront »

«Il mio desiderio è di sposare il principe.  Farei ventuno figli con la palla d'oro in mano e con la stella d'oro in fronte ».

Trascorse del tempo e la notizia di tali desideri, non si sa come, giunse alle orecchie dei tre interessati e, poiché le tre sorelle erano molto carine "s cumbneië u matrmonië" (Si concordò il matrimonio) rispettivamente con il cocchiere del re, con il cuoco reale e con il principe.

Celebrate le nozze, tra canti e balli, si trasferirono tutti a corte.  I primi mesi trascorsero sereni e tranquilli senza che accadesse nulla che meriti d'essere raccontato, ma, al nono mese, la principessa, assistita dalle due sorelle, dette alla luce un bellissimo bambino, appunto "cu a pall d'or mman i cu a stedda d'or mbront".

Le sorelle, consigliate dal demone dell'invidia, architettarono un piano diabolico per volgere a loro vantaggio la fortuna che aveva arriso alla sorella minore; pensarono di sostituire il bambino appena nato con una ripugnante bestiola e di presentarla alla principessa come suo figlio.  Così fecero.

Presero un rospo e lo mostrarono alla stupita ed addolorata regina dicendole:

« U ve'r cià fatt? ».

«Lo vedi cosa hai fatto?».

Le scellerate presero, poi, il bel bambino e lo abbandonarono, in una cesta, sul limitare del bosco.  Qui fu rinvenuto da una povera vecchietta che, visto "u panaridd", lo prese - "fors u pigghieië ca s crërev cià stav ient" ("Forse lo prese perché credeva di trovarci dentro chissà cosa".) - e lo portò nella sua cadente casetta.

La meraviglia della vecchietta fu grande nello scoprire il contenuto del cesto; comunque decise di allevare lo sfortunato ma bellissimo bambino.

Quanto avvenne per il primo figlio della principessa si ripeté per ognuno degli altri venti che seguirono.

Ogni volta le malvagie sorelle offrivano alle braccia dell'affranta principessa una bestiaccia sempre più ripugnante finché, al ventunesimo ed ultimo parto, sostituirono la bellissima bambina da poco nata con un brutto serpente.

La vecchina raccolse i venti fratellini e la sorellina e li allevò con ogni cura ed amore.

Così vissero insieme umilmente ma felici.

Il principe consorte, intanto, umiliato, amareggiato ed esasperato, decise di punire la sventurata principessa e la fece rinchiudere nel pollaio della reggia.

Passarono i mesi, passarono gli anni e i figli della principessa crebbero sempre più belli e contenti.  L'unico loro cruccio era di non conoscere la loro vera mamma.

Un giorno il principe, che ancora non riusciva a darsi pace per le proprie disgrazie familiari, li vide passeggiare e ne fu favorevolmente impressionato.

«Così sarebbero stati i miei figli! - sospirò - Son proprio belli. Mi piacerebbe averli a corte».

Detto fatto: i magnifici giovani e la loro splendida sorellina, invitati a pranzo, accettarono.

Il principe, lieto e giulivo come non lo era stato da moltissimo tempo, giunto a corte, non poté fare a meno di raccontare ogni cosa alle cognate.

Queste, che ben sapevano come si erano svolti gli avvenimenti, temettero che le proprie nefandezze venissero scoperte e tramarono affinché i principini fossero posti nell'impossibilità di presentarsi a corte.

Si recarono da una fattucchiera e le affidarono il caso.

Questa si presentò alla casa della vecchietta che aveva allevato i figli della principessa e vi trovò soltanto la fanciulla:

« Accumm si berafatt, ma p iess chiù berafatt na cosë t manch».

«I cià ië?» - rispose l'ignara principessina.

«T manc l'ouá verd'cant».

«I auann s'acchië? ».

« S'acchië nda nu giardën ca tiene na port ca fasci iapr-i-chior.  Mann diesceë frat a pigghiall, ma stesserë attent!  Ncë stië nu passaridd parlann; nan risponness'r ca s no a port s chior i nan s puót asseië chiouë ».

« Come sei bella, ma per essere più bella ti manca una cosa».

«E cos'è?». - rispose l'ignara principessina.

«Ti manca l'uva verdeggiante».

« Dove si trova?».

« Si trova in un giardino che ha una porta che si apre e si chiude, Manda dieci fratelli a prenderla, ma stessero attenti.  C'è un uccellino parlante; non rispondessero altrimenti la porta si chiude e non si può più uscire».

Quando giunsero i fratelli la principessa raccontò loro la visita della fattucchiera e tanto pregò e tanto supplicò che convinse dieci dei suoi fratelli - tutti le volevano molto bene - a recarsi nel giardino incantato per cogliere 1'«ouá verd'cant».

Questi si diressero nel luogo indicato e vi trovarono la porta "ca fascevë iapr-i-chior"; aspettarono che fosse aperta ed entrarono nel giardino.

Erano alla ricerca dell"'ouá verd'cant" quando videro "u passaridd parlann" che così li apostrofò:

«Fa asseië mamt da ient u gaddnar, fa asseië mamt da ient u gaddnar".

«Fa uscire tua madre dal pollaio, fa uscire tua madre dal pollaio».

Gli sbigottiti fratelli, immemori delle istruzioni della fattucchiera che aveva raccomandato di tacere in ogni caso, purtroppo risposero: «Ca l'ha vest tôn?» («L'hai forse vista tu? »).

A queste parole la porta si chiuse definitivamente e li imprigionò.

      La fanciulla aspettando invano il ritorno dei fratelli dimenticò l'invito a corte del principe che li attendeva.

Tempo dopo, lenito alquanto il dolore per la scomparsa dei dieci fratelli, la fanciulla, accompagnata da quelli rimasti, passeggiava per le vie del paese.  La vide il principe che, un po' infastidito per aver atteso invano, ma sempre speranzoso, rinnovò l'invito e, come l'altra, anche questa volta i giovani si dichiararono lieti di accettare.

Le cognate del principe, nuovamente avvertite del pericolo che le minacciava, ritornarono dalla fattucchiera.  Questa si recò nuovamente alla casa della vecchina e consigliò alla fanciulla, per essere ancora più bella, di adornarsi con l'acqua "ballann" che si trovava nello stesso giardino dove era l'”ouá verd'cant”.  Rinnovò la raccomandazione di non rispondere "o passaridd parlann" e andò via.

I fratelli rimasti non seppero resistere a lungo alle lacrime della loro sorellina e così si recarono al giardino incantato.  Come i primi, non riuscirono a tacere all'invito dell'uccello parlante affinché liberassero la loro madre dal pollaio ed anch'essi risposero:

« Ca l'ha vest tôn?» («L'hai forse vista tu? »).

La disperazione della fanciulla fu immensa; si recò nel bosco ed affranta iniziò a piangere e a singhiozzare.

"Nu sp'rtecchid" (Folletto) che per caso si trovava a passare di lì, mosso a compassione, volle aiutarla e, dopo aver ascoltato il pietoso caso, così la consigliò:

«Pegghië nu panar, ínghiël d stopp i mitt'cë sop nu pecch d granòn.  Va iend o giardèn cu pan'ar ncáp.  U passaridd ho v'neië a mangià u granòn i s'ho ntrap'là i pir, a port s'opreië i vouë assetavenn senza vutarv ndriët ».

«Prendi un paniere e riempilo di stoppa, quindi mettici sopra un po' di granturco.  Vai nel giardino con il paniere in testa.  L'uccellino verrà a mangiare il granturco e s'impiglierà i piedi; la porta si aprirà e voi uscitevene senza voltarvi indietro».

   La fanciulla asciugò le lacrime e si mise all'opera.  Seguendo alla perfezione i suggerimenti del folletto del bosco, riuscì alfine a liberare i fratelli.  Si recarono allora alla reggia tutti insieme e con l'uccello parlante rinchiuso in un canestro.

La gioia del principe, divenuto nel frattempo re, fu grande e, per festeggiare l'atteso incontro, fece preparare un pranzo favoloso.

Quando fu tutto pronto si sedettero a mensa ma, prima di iniziare ad assaporare le ghiotte vivande, l'uccello parlò:

« Nan pute'm mangià ca manch i on » (« Non possiamo mangiare perché manca uno».)

Il re, pensando che avesse parlato la fanciulla, volle accontentarla e ad uno ad uno fece venire tutti quelli che si trovavano a corte: cuochi, servi, stallieri, camerieri e persino gli sguatteri, ma ogni volta l'uccello faceva sentire la sua voce:

« Nan putém mangià ca manch i ón ».

Il re, un po' infastidito ma anche un po' incuriosito, credette allora opportuno accertare di persona se ci fosse ancora qualcuno non invitato.

Pertanto, con le cognate, la fanciulla ed i giovani, iniziò un giro d'ispezione aprendo ed osservando le numerosissime stanze del palazzo reale: tutte risultarono vuote.  Si fermarono, infine, davanti al pollaio.  Il re era intenzionato a passare oltre ma la voce insistente dell'uccello, le preghiere dei giovani e le lacrime della fanciulla lo convinsero ad aprire il pollaio nonostante le vibrate proteste delle cognate che lo avevano dichiarato del tutto vuoto.

La sventurata regina che, come ricorderete lì si trovava da tantissimo tempo rinchiusa per ordine del re, rimase abbagliata dalla bellezza dei giovani e della fanciulla e, avendo notato che essi avevano “a pall d'or mman i a stedda d'or mbront”, seppe che quelli erano i suoi veri figli.         

Piangendo e balbettando per la gioia, li abbracciò tutti ed essi seppero che quella era la loro vera madre.

La verità venne così a galla; le malvagie sorelle furono giustamente punite ed il re, la regina e i loro ventuno figli "cu a pall d'or mman e cu a stedda d'or mbront", vissero a lungo felici e contenti.

 

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