PIANTUC

LA STORIA DI PEPPINO 

Peppino era il secondo e ultimo figliolo di due poveri contadini. Il padre a zappare la terra, la madre a rassettare, pulire, scopare, figliare, cucinare legumi in attesa del marito.

I figli sempre intorno e sempre chiamati come se fossero lontani. Casa antica, arredamento antichissimo. Lenti e vertiginosi, i giorni.

Un certo giorno ch'era già ora di rientro dalla fatica dei campi e nulla o quasi era pronto sul desco, la madre indaffarata tra il fuoco e le pignatte disse a Peppino di andare a prendere il pane dal cassone del pane. Peppino, ch'era lí perché ci doveva essere, si dette da fare.

Piccolo com'era, intelligente com'era, s’avvicinò al cassone; con forza sollevò il pesante coperchio e, per lasciare libere le mani di prendere il pane dal fondo, appoggiò il coperchio alla testa, ma per imprudenza o disattenzione, si chinò un po' più del necessario ed il coperchio gli calò sul collo troncandogli la testa e la vita. Senza fiatare, si allontanò dalla casa antica, dall'arredamento antichissimo, dai giorni lenti e vertiginosi.

La madre attese, ma inutilmente, l'arrivo del pane, finché andò a dare uno sguardo e fu allora che scoprí il corpo del figlio senza la testa. C'era poco da fare! Allontanata con una scusa la figlia, cucinò Peppino e lo serbò come piatto forte per il marito.

Quando il marito stanco si mise a tavola, dopo aver ingurgitato il piatto di fave scorza e tutto, assaporò la carne e, trovatala saporita, s'informò della provenienza. La madre, allora, a spiegare che era stata acquistata da un beccaio che aveva da poco messo negozio, ehm, e che se la carne era davvero buona e saporita sarebbe tornata da lui e gli avrebbe raccomandato di essere sempre fedele a quella prima fornitura; che se poi fosse capitato diversamente in futuro, anche lei avrebbe cambiato fornitore, ehm, perché il cliente diventa cliente fisso quando il rapporto di rispetto reciproco viene mantenuto e non può essere altrimenti, in quanto proprio in conseguenza della mancanza di rispetto ehm, era stata costretta a sostituire il vecchio fornitore con il nuovo e...

Poi, il padre, tra un rutto e un bicchiere di vino, chiese di Peppino e la madre disse che non era ancora rientrato. Anche la sorella che mangiava insieme domandò di Peppino e anche lei n'ebbe la stessa risposta. Ottimo il pranzo, tarda la sera; il padre s'addormentò sputacchiando e imprecando contro la mala stagione.

La madre sparecchiò e, considerati gli avanzi, stabilì ch'era cosa buona e giusta buttare le ossa sotto l'albero di fico, in giardino. Alla figlia, che chiedeva ancora di Peppino e ch'era lì perché ci doveva essere, fu ordinato d'andare a buttare quelle ossa. Cosa che ella fece.

In un batter d'occhio, le ossa, sotto il fico, a contatto con la terra, trasformandosi in umore, nelle mani di uno scirocco d'oriente, presero forma d'uccello: un bellissimo uccello dalle piume gialle che subito prese posto sopra un ramo ondeggiante del fico, da cui prese a cantare melodicamente:

Piango la madre senza cuore;

Piango il padre che mi spogliò le ossa;

Canto la sorella che m'ha deposto sotto l'albero di Giuda

... e cosí ripeteva a ritornello.

Passava per il viottolo un carrettiere col suo carretto carico di lastroni di pietra; attratto dal canto di quell'uccello, si fermò e gli chiese di cantare quelle strane parole.

- Se in cambio ne avrò un lastrone di pietra! - disse l'uccellino.

- Perché no? - disse il carrettiere. E l'uccellino gli cantò:

Piango la madre senza cuore;

Piango il padre che mi spogliò le ossa;

Canto la sorella che m'ha deposto sotto l'albero di Giuda.

E, ricambiato il canto con il pesante lastrone, il carrettiere se ne partí, mentre l'uccellino sul ramo riprendeva il suo canto melodioso:

Piango la madre senza cuore;

Piango il padre che mi spogliò le ossa;

Canto la sorella che m'ha deposto sotto l'albero di Giuda.

.. e cosí ripeteva a canzone.

Passò quindi un altro carrettiere col suo carretto carico di tufi; attratto dal canto di quell'uccellino si fermò e gli chiese di cantare quelle strane parole.

- Se in cambio ne avrò un tufo! - disse l'uccellino.

- Perché no? - disse il carrettiere. E l'uccellino gli cantò:

Piango la madre senza cuore;

Piango il padre che mi spogliò le ossa;

Canto la sorella che m'ha deposto sotto l'albero di Giuda.

E, ricambiato il canto con il pesante tufo, il carrettiere se ne partí, mentre l'uccellino, sopra il ramo, continuava a melodiare con la sua cantilena.

Passarono i giorni, seguirono le notti e poi di nuovo. E giorno e notte l'uccellino cantava la sua eterna canzone; con o senza sole.

Piango la madre senza cuore tiritera tiritera tiritera tirití; tirittiritira tirità.

La vita in casa di Peppino continuava con la sua tiritera di sempre, di sempre. Un giorno il padre decise d'andare a zappare sotto l'albero di fico. E fu allora che gli parve di sentire parlare. Intravisto fra i rami l'uccellino, gli chiese di ripetere ciò che andava cantando.

- E vieni più sotto! - diceva l'uccellino.

- E ancora! -. E...

Piango la madre/ Piango il padre/ Canto la sorella/ sotto l'albero…lasciando cadere il lastrone di pietra sul capo del padre.

A sera la madre, non vedendo rientrare il marito, cercò in giardino e, quando sentì che sul fico un uccellino cantava, s'avvicinò all'albero e gli chiese di ripetere ciò che andava cantando.

- E vieni più sotto... ancora... ancora! e...

Piango la madre/ Piango il padre/ Canto la sorella/ sotto l'albero di Giuda… lasciando cadere il tufo sul capo della madre.

Quando la sorella si recò al fico per cercare il fratello, per cercare il padre, per cercare la madre, incontrò quel canto affascinante e chiese anch'ella all'uccellino.

- E vieni più sotto... ancora... ancora...

Piango la madre senza cuore;

Piango il padre che mi spogliò le ossa;

Canto la sorella che m'ha deposto sotto l'albero di Giuda.

E le svuotò addosso un sacco pieno di monete d'oro, facendola felice e contenta.

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