botte

Le fate e Tibe

C'era una volta un ragazzo chiamato Tibe, che era uno scemo. Un giorno la madre gli disse: "Va a raccogliere fasci di legna dal bosco"; ma il figlio rispose che aveva la spina al piede, e non poteva camminare.

La madre per vedere se era vero, gli disse: "Vieni a mangiare", ed egli subito corse a tavola. Allora per punirlo lo fece stare digiuno. La mattina seguente Tibe chiese una corda lunga che doveva servire per legare il fascio di legna, e la madre vedendo la sua buona volontà, gli dette anche una focaccia e una bottiglia di vino.

Giunto al bosco, egli raccolse le legna, e dopo aver mangiato, si sdraiò su di esse e dormì. In quel mentre passarono tre fate che dissero: "Vogliamo dare a costui la virtù magica?" "Si" risposero le altre; e allora una gli dette la facoltà di avere sempre ad ogni suo comando una focaccia ed una bottiglia di vino; L'altra gli accordò un cavalluccio, col quale poteva andare dove volesse; e l'ultima disse che gli concedeva di sposare la figlia del re; ciò detto scomparvero.

Tibe, quando si destò, disse: "Come vorrei un'altra focaccia e un'altra bottiglia di vino!" Guardò nella bisaccia, e trovò quello che desiderava. Dopo aver mangiato e bevuto si sentì sazio; quindi non aveva voglia di fare la strada, e di portare il grosso fascio; allora esclamò: "Come vorrei possedere un cavalluccio che mi portasse dovunque!" Prese una mazza e fece l'atto di cavalcarla, essa subito si trasformò in cavalluccio, e lo portò in città con tutte le legna.

Nel passare dinanzi al palazzo reale, vide ad un balcone la figlia del re, che scoppiò a ridere. Egli le disse: "Ringrazia Dio, che ti farà partorire un maschio!" Nove mesi dopo nel ripassare di lì, vide una gran folla, che era trattenuta dai carabinieri; egli per curiosare si fermò, e sentì dire che il re, indignato di aver saputo che la figlia aveva partorito un bambino, voleva prima sapere chi fosse stato il seduttore, e poi ucciderlo con la principessa ed il bimbo.

In quel mentre apparve sul portone la principessa e la levatrice che aveva nelle braccia il neonato, e dissero che quell'uomo, nelle cui braccia il bimbo si fosse gettato, doveva essere ritenuto il padre.

Tutti rimasero stupiti; ma improvvisamente il bimbo si buttò nelle braccia di Tibe, che fu subito arrestato e condotto dinanzi al re. Questi lo condannò con la figlia ed il bimbo ad essere chiusi in una botte, e gettati nel mare. I servi eseguirono tali ordini.

Una sera la botte, urtando ad uno scoglio, s'infranse ed uscirono le tre anime innocenti. Il freddo era forte e la fame irresistibile. Allora la principessa pregò Dio, che facesse trovare loro una casetta; e appena fu giorno, videro un palazzo più grande e più bello di quello del re. Tibe non era più scemo ma serio ed assennato; occuparono quel palazzo, dove c'era ogni ben di Dio, e vissero contenti.

Un giorno il re volle andare a caccia; lungo il cammino fu sorpreso da un terribile acquazzone e, vedendo un palazzo nel bosco, andò a chiedere alloggio agli abitanti. Come la figlia riconobbe il padre, gli saltò al collo e l'abbracciò. Egli credeva che la principessa fosse morta e, nel saperla contenta e felice col marito ed il figlio, li condusse in città e dette loro un quarto del suo palazzo.

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