BRIGA

 

La grotta dei Briganti

C'era una volta Minguccio trainiere che aveva un mulo e un traino in società con suo fratello Nicola.

Insieme commerciavano vino, legnami, patate e ogni genere di prodotti agricoli che trasportavano da un paese all'altro. Ma da questo lavoro ricavavano molto poco tanto che non riuscivano a sfamare le loro due famiglie. Una notte, mentre tornavano a casa dopo aver fatto un carico che non aveva fruttato quasi niente, erano così stanchi e scoraggiati che Nicola disse:

«Fratello mio, un mulo e un traino non bastano per due persone. Forse per una sola saranno sufficienti. Allora sai cosa ti dico? Giochiamoci a carte ognuno la sua metà. Chi vince resta padrone di tutto. L'altro va in cerca di fortuna».

«Va bene» acconsentì Minguccio.

Si misero a giocare a carte lì per lì, sul traino. Nicola era un gran giocatore e gli fu facile avere la meglio. Vinse la partita e Minguccio, avendo perso, scese dal traino, si accomiatò dal fratello e se ne andò. Nella notte nera piangeva e si disperava:

«Come farò ora a sfamare la mia famiglia?»

Mentre camminava vide una piccola luce lontana. Veniva dal finestrino di una grotta. Si avvicinò e trovò la porta sbarrata. Dal di dentro giungevano voci allegre e festanti. Pensò trattarsi di una cantina ove un gruppo di amici faceva bisboccia: così decise di bussare per chiedere di poter partecipare al banchetto; avrebbe rimediato almeno la cena per quella sera. Ma prima di bussare pensò di dare un'occhiata all'interno, arrampicandosi su un grande albero che era lì vicino. Guardò nel finestrino e, con sua grande costernazione, vide dei brutti ceffi armati di pugnali e pistole che bevevano, mangiavano e ridevano sguaiatamente. Erano briganti! Un brivido di paura gli corse per la schiena. Rimase lì come impietrito, nascosto nel fogliame, a guardare quello che accadeva dentro. I briganti ballavano e cantavano perché avevano fatto un buon bottino nelle loro ultime scorribande. Quando ebbero finito e si fece silenzio, il capo ordinò a un brigante zoppo di andare fuori a vedere che tempo faceva. Lo zoppo si avvicinò alla porta e disse:

«Apriti cicerchia!»

E la porta si aprì.

Uscì, guardò il cielo, le nuvole, il vento, rientrò e disse:

«Chiuditi lenticchia!»

E la porta si richiuse.

«Capo non piove e non tira vento. Il cielo è stellato».

«Allora si parte» disse il capo.

Sellarono i cavalli, presero i loro archibugi, montarono in sella e, detta la parola magica che faceva aprire la porta, uscirono a uno a uno dalla grande grotta.

Minguccio, sempre più nascosto tra i rami fronzuti, li contò a uno a uno. Erano 21. Quando si furono allontanati, dopo che l'ultimo aveva fatto chiudere la porta con la seconda formula magica, Minguccio si fece coraggio, scese dall'albero e, non senza emozione, disse a voce alta:

«Apriti cicerchia!»

E la porta si aprì.

«Chiuditi lenticchia» e la porta si chiuse alle sue spalle.

Minguccio si addentrò nella grotta: era grandissima. Sentì nitrire dei cavalli e si spaventò: qualcuno della banda era rimasto indietro o di guardia? No, erano solo due cavalli lasciati nella scuderia dei briganti. Si rasserenò e continuò ad esplorare la grotta. In fondo, nell'ultimo vano, trovò il tesoro dei briganti: due grandi mucchi di monete d'oro e d'argento che rilucevano come soli.

Ne riempì due sacchi interi e li caricò su un cavallo. Sull'altro, posta la sella, montò lui e, detta la parola magica, uscì dalla grotta, dopo essersi appropriato anche del pane, del vino e di una pentola di carne cotta. Si imboscò in una foresta e lì consumò il cibo rubato ai briganti. Rimase nascosto in quel bosco per diversi giorni e diverse notti, in modo da evitare l'ira dei briganti che, scoperto il furto, si erano subito messi a caccia del ladro del tesoro. Poi, nottetempo, tornò al suo paese senza farsi vedere da nessuno. La moglie, vedendolo tornare dopo tanto tempo e con due cavalli, si mise a gridare. La zittì in malo modo dicendole:

«Piuttosto aiutami a scaricare questi due sacchi di peperoni».

«Come pesano questi peperoni» fece la moglie prendendo i due sacchi. Poi Minguccio prese il nervo di bue e frustò i due cavalli, lasciandoli fuggire, in modo che potessero tornare alla loro stalla. Infine, chiudendosi in casa, raccontò alla moglie la sua avventura. Lei ne fu molto felice, anche perché il cognato Nicola, aveva raccontato tutt'altro. Era tornato a casa povero in canna, dicendo che per colpa di suo fratello, si era giocato a carte il mulo e il traino e che Minguccio s'era preso tutto ed era sparito. Sicché si era stabilita una grande inimicizia tra le due famiglie, che erano piene di rancore l'una verso l'altra.

Minguccio, risentito dell'infamante menzogna con cui il fratello lo aveva calunniato dopo essersi nuovamente giocato a carte il suo patrimonio e averlo perduto con altri giocatori, non lo curò più. Con le ricchezze dei briganti si comprò un altro mulo col traino e poi una casa col cortile e poi abiti nuovi e poi una vigna e poi un frutteto.

Ma il tutto piano piano e poco per volta, senza dare nell'occhio alla gente. Visto che il fratello di suo marito faceva continui progressi mentre la sua famiglia faceva la fame, la moglie di Nicola, non potendone più di stenti e di miserie, decise di sottomettersi al cognato e andò a casa di Minguccio a fare la pace e a chiedergli aiuto. Minguccio ne fu lusingato ma disse: «Voglio che vengano qui da me anche mio fratello e i miei nipoti. Perché la fortuna è così: prima è andata a lui, quando mi ha vinto a carte il mulo e il traino. Poi è passata a me».

Nicola andò dal fratello. Si abbracciarono, si perdonarono, fecero pace. E festeggiarono con un lauto pasto a base di agnello arrosto e vino buono. «Ciò che è stato è stato - disse Minguccio - ora ti aiuterò io. D'ora in poi non mancherà nulla né a te né ai tuoi figli. Devi stare tranquillo». «Ma tu come hai fatto a diventare così ricco?» fece Nicola.

Allora Minguccio, in uno slancio di affetto fraterno, si confidò e raccontò tutta la storia della grotta dei briganti.

«Allora bisogna andarci di nuovo - saltò su Nicola impaziente - ci vado anch'io subito».

«No, fratello mio; aspetta. Prima i briganti devono dimenticare l'accaduto. Altrimenti sarà vendetta. Tu non parlarne con nessuno. Poi si vedrà». Ma Nicola, impulsivo come sempre, non volle attendere e quella notte stessa decise di andare da solo alla grotta dei briganti, senza seguire i consigli del saggio Minguccio.

Rintracciò la grotta, salì sull'albero, si nascose tra le foglie, spiò i briganti. Attese che uscissero e, come gli aveva raccontato il fratello, li contò a uno a uno.

Ne contò 20. Ma dovevano essere 21.

«Forse mi sarò sbagliato. Sì, mi sarò distratto nel contarli quando uscivano». Entrò nella grotta. Andò dritto in fondo dov'era ammucchiato il tesoro e ne riempì tutti i sacchi che aveva portato con se. Li caricò sul cavallo, stava già per uscire quando notò una grossa cassa. Preso da ingordigia, pensò di appropriarsi anche del suo contenuto, certamente prezioso. L'aprì e non fece in tempo a gridare di terrore: il brigante zoppo era nascosto lì dentro e, con una schioppettata lo colpì al petto. Nicola stramazzò al suolo, ferito a morte.

Lo zoppo saltò fuori dalla cassa e con sadico piacere afferrò il morto per i piedi, lo trascinò fuori e lo appese all'albero a testa in giù. Poi tutto gongolante corse ad avvisare la banda:

«Ho preso il ladro, ho preso il ladro» gridava.

«Bravo - disse il capo - ora devi lasciarlo appeso lì per sempre. Servirà d'esempio e di minaccia a chiunque dovesse osare di avvicinarsi alla nostra grotta. Ora andiamo a vederlo e a divertirci un po'».

Tutti i briganti infierirono sul cadavere penzoloni e fecero festa bevendo e ballandovi intorno.

Quando Minguccio tornò a casa, dopo alcuni giorni di lavoro fuori paese, trovò la cognata in lacrime per la scomparsa di Nicola e capì subito. Senza aspettare né spina né osso, si mise in viaggio verso la grotta dei briganti. Si nascose nuovamente nel fogliame, aspettò che andassero tutti via; li contò attentamente, accertandosi che fossero 21, poi staccò il cadavere di suo fratello, lo mise in un sacco, lo caricò su un cavallo e, nottetempo, lo riportò a casa. Avvertì la cognata, lo pulirono, rivestirono e acconciarono nel miglior modo possibile e dissero a tutti che era morto all'improvviso. Così nessuno seppe nulla.

Il tempo passava ma Minguccio pensava sempre a come prendersi la rivincita sui briganti. Intanto le autorità avevano intensificato la lotta al brigantaggio. Il re aveva mandato gendarmi ed eserciti per scovarli e catturarli tutti. E aveva messo una taglia di duemila ducati sulla testa di ogni brigante.

Minguccio pensò anche a servirsi delle forze dell'ordine, per punire i briganti dello scempio che avevano fatto a suo fratello. Ma poi decise di agire da solo esclusivamente con le sue armi naturali che erano l'astuzia e la prudenza.

Preparò un piano con sua moglie. Caricò sul suo traino 21 sacchi vuoti, lunghi due metri, fatti quasi su misura per insaccare i briganti. Fece preparare alla moglie un calderone di olio bollente, da tener pronto al momento giusto.

Poi partì per il suo lavoro di trainiere-commerciante che gira per contrade diverse, conosce gente di ogni tipo, è amico con tutti. Mentre viaggiava così con la frusta in mano, cantava a squarciagola:

Tira e tira e tira ca vene

chisse sò i cavarr ca spezzn i catene

tira e tira e tira ca vene

chisse sò i cavarr ca spezzn i catene

Ci la fertune m'arrota

mule e traìne me l'agghia accatté.

Tira e tira e tira che viene

questi i cavalli spezzacatene

tira e tira e tira che viene

questi i cavalli spezzacatene.

Se la fortuna si mette a girare

mulo e traino mi devo comprare.

Passò nei pressi della grotta dei briganti e questi lo sentirono, così come lui voleva. «Altolà, trainiere. Cosa tu fai? Dove tu vai?», lo fermarono.  

«Sono commerciante, compro e vendo animali, legnami, vini, ortalizi. Sono venuto per questa scorciatoia per arrivare prima ad una masseria che è dietro il bosco dove devo caricare delle fave incaparrate. Perciò ora ho il traino vuoto, senza carico».«Altolà, trainiere. Cosa tu fai? Dove tu vai?», lo fermarono. Passò nei pressi della grotta dei briganti e questi lo sentirono, così come lui voleva.

Il capo dei briganti parve convinto della buona fede del trainiere. Allora volle interrogarlo.

«Ma tu chi conosci?»

«Tanti galantuomini e duchi e marchesi e tanti proprietari ricchi». Il trainiere non sembrava uno sprovveduto; aveva conoscenze ed entrature importanti. Allora azzardò:

«E sulle leggi sui briganti, cosa mi sai dire? Ci sono novità in paese?». «Sicuro. Stanno organizzando dei reparti di gendarmi e d'esercito per rastrellare tutti i boschi e snidare tutte le bande che vi si nascondono.». «E se li prendono, cosa gli fanno?»

«Se li prendono vivi li impiccano» rispose sicuro Minguccio.

Allora il capo dei briganti radunò i suoi e si consultarono a lungo sul da farsi. Erano spaventati.

Qualcuno diceva:

«Se verranno i soldati spareremo, ci difenderemo, ci salveremo».

«Ma quelli sono tanti e noi pochi. Potremo resistere anche a lungo, ma poi ci finiranno le munizioni e saremo presi tutti».

«Dobbiamo combattere fino alla morte. Meglio morire fucilati che impiccati». «Che bella scelta! Se non è maschio è femmina. Sempre morti ammazzati finiremo!».

«Allora arrendiamoci».

«Mai. Anche i briganti hanno un onore da salvaguardare».

«Noi siamo feroci ma non vigliacchi».

«Ma possiamo essere anche furbi», azzardò lo zoppo.

«Come?», chiesero tutti gli altri.

«Lasciando il bosco e la grotta e andando in paese».

«Sei impazzito! Ci prenderebbero subito».

«Ma no. Se ci travestiamo da borghesi, ci tagliamo i baffi e le barbe, ci ripuliamo un po' e ci mescoliamo alla gente comune, così alla spicciolata, nessuno ci riconoscerà. Così non incapperemo nella legge e non ci arrenderemo a nessuno».

Insomma volevano trasformarsi in galantuomini. Tutti furono d'accordo e il capo chiese a Minguccio se voleva aiutarli.

«Ti pagheremo bene se ci trasporti in paese e se ci tieni nascosti un po' di tempo, senza rivelarlo a nessuno. Un po' alla volta lasceremo il nascondiglio nella tua casa e non ti daremo nessun fastidio».

«Sì - rispose Minguccio dopo aver finto di riflettere - se mi date una buona ricompensa io posso trasportarvi nel mio traino nascosti in questi sacchi. Sembreranno sacchi di patate, come sempre. Nessuno si insospettirà perché sempre questo faccio. Entrate, non ci fermerà nessuno, né gendarmi né soldati!». Così tutti si infilarono nei sacchi. Minguccio li mise in fila sul traino gli uni sugli altri e li legò stretti con una fune. Sembravano proprio tanti sacchi di patate.

Minguccio raccomandò loro di non tossire, non scorreggiare, non parlare, non fare alcun rumore per non essere scoperti. Se proprio scappava loro la pipì o... peggio, dovevano farsela addosso! Tanto, una volta a casa sua, si sarebbero lavati ben bene.

Così Minguccio, sempre cantando il canto del trainiere, riprese la strada col suo traino carico di briganti-patate...

Arrivò davanti a casa sua, avvertì la moglie, fece un altro giro e ritornò: L'olio era ormai al massimo dell'ebollizione. Lui entrò nel cortile, staccò i muli dal traino e raccomandò ai briganti di tacere perché c'erano gendarmi in giro. La moglie chiuse ben bene il portone d'ingresso e aiutò il marito a sollevare il gran calderone dell'olio bollente. Improvvisamente lo scaricarono addosso ai 21 sacchi. Urla selvagge si levarono da quegli involucri che si contorcevano come serpi. Ma durarono poco: i briganti erano ormai fritti, scottati e quasi imbalsamati!

Così senza sparare un colpo, Minguccio e la moglie avevano catturato e giustiziato 21 feroci briganti. Li consegnarono ai gendarmi ed ebbero tutti i ducati della taglia. E fu con quei ducati che vissero sempre felici e contenti, insieme alla vedova e agli orfani della buonanima del fratello Nicola.

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