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LA DONNA DAI CAPELLI D'ORO

C'era una volta un re con tre figlie e un figlio di nome Peppino. Cercando marito per le sue figlie, pensò di selezionare i più valorosi dei loro pretendenti con questo sistema. Costruì un grande palazzo proprio in mezzo al mare e decretò:

«Chi sarà capace di prendersi le figlie del re da in mezzo al mare, se le sposerà».

Andarono re, principi, baroni e cavalieri. Nessuno riusciva nell'impresa. Chi si precipitava col suo cavallo, chi affondava con la barca, chi si inabissava a nuoto.

Dopo tanto tempo lo seppero tre fratelli di nome Levante, Ponente, Scirocco e decisero di cimentarsi loro in questa ardua impresa. Si presentarono sulla riva del mare tutti stracciati, lividi, arruffati.

Chiunque li vide, disse:

«Ma cosa possono fare questi straccioni, niente. Non ci sono riusciti re e cavalieri, figuriamoci se possono riuscirci loro, senza mezzi e risorse. Moriranno prima degli altri».

Ma quei tre fratelli erano tre venti, perciò si alzarono in volo e, soffiando e volando velocissimi, raggiunsero ben presto il castello delle principesse e ognuno se ne prese una e se la portò lontano nel suo regno, ai confini della terra.

Il re padre si arrabbiò moltissimo per non sapere chi erano i mariti delle figlie e dove fossero andate a finire con loro.

Era disperato. Ma passato del tempo, dovette rassegnarsi. In fondo gli rimaneva il figlio maschio, Peppino, il principino.

Un giorno costui, passeggiando in giardino dopo una giornata di vento, trovò appeso a un albero un lungo capello d'oro. Lo prese, lo esaminò, ci pensò su e prese una decisione. Andò dal re padre e gliela comunicò: 
«Padre, io credo che nel mondo esista una donna dai capelli d'oro» 
«No figlio mio, ti sbagli. Nessuna donna ha i capelli di vero oro». 
«E invece sì. Guardate, ne ho trovato uno in giardino, impigliato nei rami di un albero».

Il re lo guardò perplesso e poi gli disse:

«Ebbene, cosa vuoi fare?»
«Voglio partire per andare a cercare la donna dai capelli d'oro. Datemi la vostra santa benedizione».

Il re lo scongiurò, lo pregò, lo minacciò. Ma non ci fu niente da fare. Peppino il principino aveva deciso di partire e nulla poteva smuoverlo. Il re allora gli dette il suo miglior cavallo, una provvista di denaro e la sua santa benedizione. E il principe partì. Cammina cammina, sopraggiunta la notte, vide una piccola luce provenire da un trullo lontano.

Si avvicinò, bussò e una voce gli chiese:

«Chi sei?»

«Sono Peppino il Principino».

«Dimmi se sei anima di cristiano e fatti il segno della Santa Croce». 
Peppino eseguì. Il monaco in penitenza che viveva lì gli aprì la porta, lo fece entrare, lo rifocillò e lo fece riposare. Il mattino successivo gli chiese:

«Cosa cerchi?

«La donna dai capelli d'oro. Sai dov'è?»

«No. Non so nemmeno se c'è».

«Io credo che al mondo esista la donna dai capelli d'oro, perché ho trovato un suo capello nel mio giardino».

«Io non ne ho mai sentito parlare. Ma ti voglio aiutare lo stesso. Prendi questa mandorla e, nel momento del bisogno, rompila ed avrai aiuto.» 
Peppino ringraziò e ripartì col suo cavallo.

Cammina cammina giunse nuovamente la notte e, aguzzando la vista, vide lontano una luce fioca. Si avvicinò e scorse una capanna di frasche. Bussò. «Chi è?»

«Sono Peppino il Principino»

«Dimmi se sei anima di cristiano e fatti il segno della Santa Croce» 
Peppino eseguì e il buon vecchio frate che lì alloggiava tutto solo lo fece entrare. Anche lui lo sfamò e lo fece riposare. Poi gli chiese cosa cercava e anche lui non seppe dirgli nulla della donna dai capelli d'oro che Peppino cercava.

«Ma ti voglio aiutare lo stesso, figlio mio. Ti do questa noce. In caso di pericolo rompila»

Peppino ringraziò e ripartì.

Cammina cammina, la terza notte si trovò in un deserto. Chiese alloggio ad un eremita che viveva in una grotta. Bussò.

«Chi è?»

«Sono Peppino il Principino».

«Dimmi se sei anima di cristiano e fatti il segno della Santa Croce». 
Peppino eseguì, entrò, fu accolto, sfamato e rifocillato dall'eremita. 
«Cosa cerchi?»

«La donna dai capelli d'oro. Tu ne hai mai sentito parlare?»

«No, figlio mio. Ma se hai bisogno di me, ti dò una nocella. Quando ti serve aiuto rompila».

Peppino ringraziò e ripartì.

Cammina cammina, incontrò tre fratelli che litigavano per dividersi l'eredità lasciata loro dai genitori morti. Siccome non riuscivano a mettersi d'accordo, appena videro Peppino, lo chiamarono a gran voce:

«Cavaliere, cavaliere. Ti preghiamo, aiutaci a ritrovare la pace». 
«Cosa vi è successo?»

«Dobbiamo dividerci quello che ci hanno lasciato i nostri genitori e non riusciamo a metterci d'accordo».

«E cosa vi hanno lasciato?»

«Un paio di stivali, un tascapane e un cappotto».

«Tutto qui?»

«Sì, ma gli stivali corrono tre miglia davanti al vento, il tascapane è pieno di monete d'oro e, ogni volta che si svuota, si riempie nuovamente da solo, e il cappotto rende invisibile chi lo indossa».

Peppino allora scese da cavallo e chiese di provare lui questi tre oggetti fatati. Così infilò gli stivali, si mise il tascapane a tracolla e indossò il cappotto. Poi disse:

«Mi vedete? E ora non mi vedete più».

E si mise a correre più veloce del vento. Ai tre fratelli litigiosi non rimase che accontentarsi del cavallo che Peppino aveva lasciato; e, imprecando contro di lui, continuarono a litigare per tutta la vita.

Correndo tre miglia davanti al vento, giunse ai confini del mondo dove sono i regni dei venti. Vide un palazzo molto bello con grandi ed eleganti finestre, ma senza porte. Allora si alloggiò sotto una finestra per riposarsi della gran corsa. Dopo un po' si aprì la finestra e si affacciò una signora che gettò giù un secchio di acqua sporca.

«Ehi tu, non mi hai visto?» protestò.

«Ma questa voce la conosco. E' la voce di mio fratello! Peppino, Peppino». «Sorella, cara sorella mia. Come devo fare per entrare?»

«Gira di là che c'è una porticina segreta. Sali subito da me»

Così fece. Fratello e sorella si abbracciarono commossi e felici di essersi ritrovati.

«Ma come sei finita qui, ai confini del mondo?»

La sorella raccontò la storia dei venti e aggiunse:

«Mio marito è il vento di Levante. Torna a casa tutto arrabbiato. Se ti vede è capace anche di ammazzarti. Perciò devi nasconderti».

Lo fece mangiare, lo nascose e aprì finestre e balconi.

«Vuuuuh, Vuuuuh. Vuuuuh. Bum!»

Fischiando e sbattendo porte e finestre il vento di Levante entrò dal balcone. Tutte le tende svolazzarono, le cose leggere si sollevarono in aria, i ninnoli tremarono, i vetri vibrarono.

«Sento odore di carne umana. Falla uscire che non la toccherò» gridò subito Levante. E la moglie:

«No marito mio. Non c'è nessuno. Chi vuoi che venga a trovarci fin qui in capo al mondo? Non c'é nessuno».

«Sento odore di carne umana. Falla uscire che non la toccherò»

«Ma no, ma no. Chetati, qui non c'è nessuno».

Quando il Levante si fu calmato, la moglie pian piano gli disse che c'era suo fratello Peppino.

Peppino uscì, si presentarono, si abbracciarono e parlarono.

«Sai io sono un vento potente, giro per tutto il mondo. E torno a casa dopo molto tempo. Ma tu cosa vai facendo da queste parti?»

«Mentre passeggiavo nel mio giardino, ho trovato un capello d'oro. Io credo che nel mondo c'è una donna dai capelli d'oro. Tu che vai per il mondo forse puoi aiutarmi. Sai dove si trova?»

«No, mi dispiace - disse il cognato - non so proprio; anzi credo che tu ti sbagli e che non esista nessuna donna coi capelli d'oro. Ma domani ti accompagno da mio fratello Ponente. Forse lui ne sa qualcosa. Però stai attento quando partiamo. Io sono veloce e furioso. Se ti acchiappo mentre corriamo, ti posso anche travolgere e uccidere, non è colpa mia, io sono fatto così». 
«Non temere - disse Peppino - corri quanto vuoi, non mi acchiapperai». Peppino, con gli stivali magici, correva tre miglia davanti al vento, perciò mai il cognato lo colse. Giunti ai confini del suo regno, Levante gli gridò:

«Fermati Peppino, fermati Peppino Lì c'è la casa di mio fratello Ponente». Peppino vide un bellissimo palazzo e si fermò sotto una finestra perché anche lì non c'erano porte. Uscì una signora e buttò giù un secchio d'acqua saponata, con cui aveva fatto il bucato.

«Ehi, non mi vedi?»

«Chi sei? Ma tu sei mio fratello Peppino sali, sali per quella piccola scala che è qua dietro».

Così Peppino riabbracciò la seconda sorella, sposa del vento di Ponente. Anche lei lo nascose, per paura che la furia del marito gli potesse nuocere. 
«Vuuuh... Vuuuh... Vuuuuh...» Soffiando e ululando arrivò Ponente. 
Sban, sbadaban, trac, tracchete, sbatterono tutte le porte, si spostarono e caddero le sedie, i vetri andarono in frantumi. Era proprio potente, il vento di Ponente!

«Sento odor di carne umana. Falla uscire che non la toccherò».

«No, marito mio. Ti sbagli, non c'è nessun essere umano».

«Sento odor di carne umana. Falla uscire che non la toccherò».

«Ma no, cosa dici. Nessuno può arrivare fin qui dove siamo noi»

«Sento odor di carne umana. Falla uscire che non la toccherò».

«Sta calmo, non ti arrabbiare. Siediti, riposati. Hai corso tanto». 
Così, pian piano, Ponente si calmò. Solo allora la moglie gli disse che c'era suo fratello Peppino. Ponente lo volle conoscere e così i due cognati si presentarono e si abbracciarono.

«Come mai sei arrivato fin qui?» chiese Ponente a Peppino.

«Ho trovato nel mio giardino un capello d'oro. Credo che nel mondo esista la donna dai capelli d'oro. Sono arrivato fin qui per cercarla. Tu ne sai niente?»

«No, cognato mio. Credo proprio che tu ti sbagli. In tutti i miei giri per il mondo non l'ho mai vista. Prova con mio fratello Scirocco, forse lui può saperne qualcosa».

«E dove posso trovarlo?»

«Domani ti porto da lui, ma sta attento, se vieni con me rischi la morte. Io quando soffio e corro sono tremendo, non guardo in faccia a nessuno. Potrei distruggerti».

«Ah, di questo non mi preoccupo. Tu non riuscirai nemmeno a sfiorarmi». Infatti Peppino, con gli stivali fatati ai piedi, correva tre miglia davanti al vento suo cognato. Finché arrivò al palazzo del terzo fratello e si acquattò sotto un balcone, visto che nemmeno qui c'erano portoni. Si affacciò una donna e scaraventò giù un orinale di pipì.

«Ahimé, ahimé, anche questa devo patire!»

Si lamentava Peppino. Allora la sorella riconobbe la sua voce e lo chiamò:

«Peppino, Peppino, sono tua sorella. Vieni su da me, presto. Entra dalla porticina segreta che è dietro il palazzo».

Peppino così fece e ben presto fu fra le braccia della sorella. La quale lo fece lavare, mangiare e riposare. Ma poi lo nascose per paura dell'arrivo di suo marito.

Infatti quando il caldo vento di Scirocco arrivò, carico di goccioline d'acqua, entrò dal balcone e spalancò tutte le porte.

«Vuuuuuh. Vuuuuuh. Vuuuuuh». Veniva dai lontani paesi dell'Africa, aveva attraversato deserti e mari sconfinati, si era caricato di sabbia, di acqua e di sale che ora portava in casa. Infatti al suo irrompere le tende si impiastricciavano di umidità, i capelli si appiccicavano sulla fronte, i vestiti si attaccavano alla pelle, il pavimento si ricopriva di finissima sabbia del deserto. Un fastidio tremendo prese tutti, e lui per primo che accaldato e sudato cominciò a gridare:

«Sento odor di carne umana, falla uscire che non la toccherò».

E la moglie tremebonda:

«Ma no, non c'è nessuno. Ti sbagli. Vieni qui che ti asciugo ben bene, siediti, stai calmo».

«Sento odor di carne umana. Falla uscire che non la toccherò».

«Ma stai seduto, non ti agitare. Lo vedi che sei sudato. Che ti prende ora. Qui non c'è nessuno, pensa solo a stare tranquillo e a riposarti». 
Infatti dopo un po', asciugato, ripulito e rifocillato dalla moglie, il vento di Scirocco si calmò. Solo allora Peppino uscì dal nascondiglio e si presentò.

Anche il terzo cognato lo accolse benissimo e quando Peppino parlò della donna dai capelli d'oro che lui cercava per il mondo, il vento di Scirocco disse:

«Sì, sono stato proprio io a strapparle quel capello finito poi nel tuo giardino».

«Allora la conosci, sai dov'è» disse raggiante di felicità Peppino il Principino.

«Certo proprio oggi mi sono divertito a farle tanti dispetti. Le ho sbattuto le finestre del balcone, le ho rotto i vasi dei fiori. Abita sulle sponde dell'Africa».

«Allora portami da lei».

«Ma se io ti porto, tu corri seri guai. Io sono un vento pericoloso». 
«Non temere. Non accadrà nulla. Io posso correre tre migliaia davanti a te». Così fu. E Scirocco portò Peppino in una regione calda e assolata dov'era il paese della donna dai capelli d'oro. Lo lasciò e continuò il suo turbinio intorno al mondo.

Peppino si informò e trovò subito la casa dove viveva la donna dai capelli d'oro, che era la figlia del Re dei Leoni. La vide in un giardino meraviglioso, circondata da tanti servi e custodi. Il padre ne era gelosissimo e la teneva rinchiusa con sette chiavi per sette porte. Era bellissima e subito Peppino se ne innamorò perdutamente. Si appostò sotto il suo balcone e attese che la fanciulla si affacciasse.

Richiamò la sua attenzione con un inchino e un sorriso. Anche lei fu colpita da quel giovane leggiadro e bello e ricambiò l'inchino e il sorriso. La sua governante se ne accorse e le chiese con malizia:

«Ti piace, vero? Lo vorresti vedere?»

«Sì» rispose lei.

«Ma non è possibile. Tuo padre mi ha ordinato di non aprire mai le sette porte».

«Ma tu ne hai le chiavi. Provaci per una volta sola»

La serva voleva assecondare il desiderio della ragazza; aprì il portone e chiamò Peppino.

Subito il giovane principe accorse e offrì alla serva l'intero contenuto in monete d'oro del suo tascapane, se solo gli apriva la porta. Quella accettò volentieri. Peppino le svuotò il tascapane in mano e la prima porta si aprì. Ma bene presto si trovò davanti alla seconda porta chiusa a chiave. Nuovamente svuotò il tascapane fatato nelle mani della serva. A quella non parve vero di poter ottenere tanta ricchezza in così poco tempo. Perciò gli aprì la seconda porta. E così fu per la terza, la quarta, la quinta, la sesta e la settima. Il tascapane magico continuava a riempirsi di monete d'oro tutte le volte che Peppino lo svuotava. La serva continuava a ricevere con sempre maggiore gioia e ingordigia tutto quel denaro. Quando fu sulla soglia del giardino, per non farsi vedere da tutti gli altri servi, Peppino indossò il cappotto magico. E nessuno lo vide. Riuscì così ad entrare nella stanza della donna dai capelli d'oro.

Si presentò, si inginocchiò ai suoi piedi, le baciò le mani, le raccontò del suo lungo viaggio e di tutte le peripezie attraversate per trovarla; le offrì tutto il suo amore. La ragazza corrispose. Ma disse anche che lei era prigioniera di suo padre.

«Allora fuggiamo» disse Peppino. E, indossato nuovamente il cappotto magico, uscì abbracciato con la sua innamorata.

Nessuno li vide: così avvoltolati, erano divenuti entrambi invisibili. Appena fuori, svuotò nuovamente il tascapane per comprare un cavallo forte e veloce e, montati entrambi in sella, cominciarono la loro corsa lontano dalla casa paterna.

Rientrò il Re dei Leoni e non trovò più sua figlia: si adirò come una belva, punì tutti i servi che non avevano visto nulla e poi chiamò a raccolta tutti i suoi leoni. Ne cavalcò il più grande e, alla testa di questo esercito di fiere, si lanciò all'inseguimento dei due fuggiaschi.

Ben presto li raggiunse. Stava per prenderli quando la ragazza, avvedutasi del pericolo, gridò:

«Peppino, mio Peppino, mio padre ci è addosso!»

Allora il principino, vistosi in pericolo, prese la mandorla del monaco, la schiacciò e la buttò sulla strada. Improvvisamente, dai suoi frammenti, sorse una montagna tutta coperta di spine, di rovi e di cardi che si frappose fra i due fuggiaschi e l'esercito dei leoni.

Che ebbero un momento di sbandamento e si fermarono. Ma il loro re li incitò a superare l'ostacolo. I leoni, guidati da lui, si lanciarono tra le spine. Pungendosi, graffiandosi e ruggendo di dolore, riuscirono a scavalcare la montagna.

«Peppino, mio Peppino, mio padre ci è addosso!» gridò di nuovo la fanciulla dai capelli d'oro.

Peppino subito ruppe la noce del frate e improvvisamente una montagna di sapone si innalzò tra loro e i leoni. Questi tentarono di scavalcare anche la seconda montagna, arrampicandosi nel sapone, però più salivano e più scivolavano giù, su quel terreno viscido e schiumoso. Alcuni non ce la fecero, ma altri, pur dopo molti sforzi rabbiosi, sempre pungolati a sangue dal re, riuscirono ad arrivare in vetta e a ridiscenderne.

«Peppino, mio Peppino, mio padre ci è addosso!»

Di nuovo il grido della fanciulla allarmò il Principino.

Peppino ruppe la nocella dell'eremita, ed ecco ergersi una terribile montagna irta di coltelli, pugnali, spade e falci. Per scavalcarla i leoni si tagliavano le zampe, si ferivano le cosce, si spaccavano il ventre, perdevano la criniera e la pelle. Molti morivano così, tra tremendi ruggiti. Allora il re, visto che i suoi leoni diventavano sempre meno, per non perdere del tutto il suo esercito, desistette dall'impresa e ordinò la ritirata.

Gli innamorati in fuga furono salvi e potettero continuare la loro corsa verso la libertà.

Raggiunsero il palazzo del re, padre di Peppino, e lì si sposarono e vissero sempre felici e contenti.

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