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La Maiorana

C’era una volta una ragazza a nome Mariannina, che andava ad imparare l'arte di cucire presso una sarta. Era molto bella e la maestra le voleva un gran bene. Costei aveva sul balcone un vaso di fiori, chiamati "Maiorana", e la fanciulla si dilettava ad innaffiarlo mattina e sera.

Dirimpetto al palazzo della maestra abitava il figlio del re, il quale vedendo quella vaga fanciulla, se ne innamorò, e cominciò a rivolgerle la parola. Tutte le volte che la vedeva alla finestra, le diceva:

"Mariannina, Mariannina,

conta quante foglie ha la Maiorana".

La ragazza arrossiva, e rientrava in casa, senza rispondergli. Ma una volta pensò di dargli una risposta, e quando il principe ripeté il ritornello, ella disse:

"E tu che sei figlio del re e cavaliere,

conta quante stelle stanno nel cielo".

Allora il principe andò dalla sarta, e le regalò una borsa di monete, purché s'impegnasse di far coricare nella sua casa una notte la fanciulla, e gli permettesse di stare celato sotto il letto di lei. La sarta accettò, e persuase Mariannina di rimanere con lei quella sera; poi nascostamente fece entrare il figlio del re.

La furba donna preparò tre letti, e vi sparse dentro molta polvere di zucchero.

La fanciulla si coricò in uno di essi, ma non poteva conciliare sonno, perché si sentiva un forte prurito causato dallo zucchero, che le pungeva le carni. Ella non potendo più tollerare quel fastidio, chiamò la maestra con queste parole:

"Maestra, mia maestra,

cimici e pulci nel mio letto".

Quella le rispose: "Alzati, Mariannina, e cambia letto". Ella con la santa pazienza s'alzò, e andò a coricarsi nell'altro letto. Ma anche qui ebbe lo stesso fastidio, e per tutta la notte cambiò continuamente letto.

La mattina all'ora solita, ella andò ad innaffiare la maiorana, e subito il principe le disse:

"Mariannina, Mariannina,

conta quante foglie ha la Maiorana".

Di rimando ella rispose:

"E tu che sei figlio del re e cavaliere,

conta quante stelle stanno in cielo".

Il principe aggiunse:

"Maestra, mia maestra,

cimici e pulci nel mio letto".

La ragazza rimase sorpresa e mortificata, e capì quello che la maestra aveva fatto. Allora volle vendicarsi contro l'audace e la sera, senza dir niente a nessuno, indossò un abito bianco, e presa una mazza di ferro in mano, si nascose nel portone del palazzo reale. Dopo qualche ora rincasò il principe ed ella, fingendo di essere uno spettro, lo bastonò di santa ragione. Credendo che l'assalitore fosse la morte, egli, mentre era conciato per le feste, gridava:

"Morte, mia morte,

Non mi ammazzar sta notte,

Ammazzami domani mattina,

Affinché veda un'altra volta Mariannina".

Dopo che l'ebbe lasciato a terra privo di sensi, la ragazza ritornò a casa.

Passarono otto o nove giorni, e nessuno seppe nulla di quanto era successo, e il figlio del re non si vedeva, perché era a letto a guarirsi le ossa peste. Quando si fu rimesso, si affacciò alla finestra, e vedendo la fanciulla, che innaffiava il vaso di maiorana le disse il solito ritornello.

Ella gli rispose con le medesime parole delle altre volte, ma il principe aggiunse:

"Maestra, mia maestra,

cimici e pulci nel mio letto"

Allora Mariannina lo rimbeccò, dicendo:

"Morte, mia morte,

non m'ammazzar sta notte,

Ammazzami domani mattina,

Affinché veda un'altra volta Mariannina".

Allora il principe capì che il creduto spettro da cui era stato aggredito quella sera, era lei, e comprendendo che era una fanciulla onesta, le fece proposta di sposarla. Ella l'accettò, e così vissero felici.

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