Lavori in famiglia

La fortuna di cinque fratelli

C'era una volta un padre che aveva cinque figli. Erano cresciuti all'aria aperta e senza educazione: il padre non aveva fatto le scuole. Diventati grandi si trovarono senza un mestiere e senza un lavoro che desse loro pane e sicurezza. Il padre, che pur essendo ignorante era però fine di cervello, un giorno che li vide più sfaccendati del solito, disse loro: "Figli miei, andate per il mondo e tornate dopo aver imparato ognuno un mestiere".

I cinque non se lo fecero ripetere: armi e bagagli, partirono ognuno per la sua strada. Passò un anno e un bel giorno il padre se li vide tornare. Abbracci, baci... felicità. "Bhè, figli belli, avete imparato un mestiere?", domandò il padre. Il maggiore, petto in fuori e viso fiero: "Sono stato con un maestro d'asce e ho imparato a costruire barche!", disse subito e tutti i fratelli giù pacche sulle spalle: "Bravo!" "Un bel mestiere!". Il padre, anche lui, approva e poi, con uno sguardo, interroga il secondo. Il secondo: "Vi sembrerà strano il mio mestiere: io ho fatto il guardiano e a furia di guardare ho esercitato la vista fino al punto che vedo molto lontano. Un esempio? Subito!" e sforzandosi di guardare oltre l'orizzonte, descrisse: "Adesso al paese don Pippinuccio sta scolando la botte del vino dentro alle bottiglie da litro e nella bottiglia che sta riempendo adesso c'è una mosca e lui non se ne accorge!", concluse e attese che la meraviglia di tutti si esprimesse perché il paese distava da casa più di cinque miglia e la cantina di don Pippinuccio era dentro il cuore del paese. Infatti, il silenzio che seguì vide la trasformazione di tutte le facce che spalancando la bocca, insieme, dettero voce all'approvazione: "Mho'ooooo'!" e risate e pacche di soddisfazione. Il terzo aveva imparato a colpire, con qualsiasi arma o cosa, un bersaglio a distanza: pacche e risate. Il penultimo? Il penultimo provocò un piccolo dispiacere al padre e agli altri fratelli: aveva imparato a rubare senza farsi accorgere... "Va be', può essere utile per i lavori delicati e.... Per ora diciamo che è un mestiere!", ammise a malincuore il padre. Il minore, confessando di aver imparato ad imitare e capire la voce degli uccelli, riconobbe che non era una cosa che stesse alla pari con quanto avevano imparato gli altri e nè poteva essere un mestiere. "Comunque...", stava dicendo il padre, quando, all'improvviso: "Sccccc!", intimò il piccolo. Tutti tacquero e in primo piano si udirono alcuni cinguettii: due uccelli sul frondoso albero lì vicino stavano scambiandosi le notizie del giorno: "Dalla torre delle sette strade il mago ha rapito la principessa e la tiene prigioniera". "Sì, l'ho saputo anch'io", diceva l'altro uccello "E ho saputo anche che il re è molto dispiaciuto e soffre come un uomo senza l'allegra persona della principessa! Cip cip!", conclusero e volarono via. Tutti, dopo aver accettato l'intimazione, rivolsero i loro sguardi verso il piccolo. "Dalla torre delle sette strade il mago ha rapito la principessa e la tiene prigioniera! Questo si stavano dicendo i due uccellini.", tradusse il più piccolo della famiglia. Lo sbalordimento fu pari alla soddisfazione di riconoscere nel fratello/figlio un giovane capace di rendersi utile. Subito i sei, padre compreso, cominciarono a pensare: "Per arrivare alla torre bisogna attraversare il fiume?!". "Tu, prepara una barca! Si parte!", disse il padre. Il maggiore, con maestria, fabbricò una barca capace di trasportarli tutti. Attraversarono il fiume e, giunti sull'altra riva furono bloccati dal secondo fratello che, allargando le braccia, contenne l'avanzata degli altri. "Fermi tutti! Vedo. Vedo la torre e vedo anche che il mago è assente. La principessa piange alla finestra e....", stava descrivendo il secondo.. "E noi approfittiamo per raggiungere subito le sette strade e liberare la principessa dalla prigione della torre!", continuò il padre, spronando i figli a far presto. 

Proprio una fortuna! Infatti, quando giunsero, il mago non c'era veramente. Pare si fosse allontanato per altri furtarelli o rapimenti. Il fratello mano leggera, quello che sapeva rubare senza farsi accorgere, si arrampicò sulla torre e, aprendo il cancello che la teneva prigioniera, invitò la principessa a seguirlo. Appena fuori dalla torre, gli altri misero la principessa  sopra una portantina preparata lì per lì e la condussero velocemente alla barca. Erano a metà tragitto, i remi si muovevano come ali sull'acqua, quando il giovane che sapeva vedere lontano disse: "Vedo! Vedo avvicinarsi il mago, che - fuoco e fiamme dal naso e dalla bocca - vuol riprendersi la principessa". L'altro, che colpiva bene da lontano, sfoderò una freccia e, come una saetta, la scagliò lontano dritto al cuore del mago che, nemmeno se ne accorse, dal movimento si ritrovò steso/morto.

Arrivati in città, condussero la fanciulla al palazzo reale e raccontarono al re quello che avevano fatto. "Adesso il re farà sposare la principessa al figlio grande", stava cinguettando un uccello ad un'altro che poggiato sulla balaustra assisteva alla scena. "L'ho sentito mentre il re lo diceva al Primo Ministro quando ha avuto la notizia! Cip cip!", concluse il ciarliero uccellino. "Adesso il re ti farà sposare la principessa!", sussurrò il fratello più piccolo all'orecchio del fratello più grande.

Squilli di trombe, rulli di tamburi. "In questo fausto giorno in cui il re vede realizzato questo prodigio ed in cui la felicità è al colmo, questa Maestà concede al primogenito di questo avveduto padre la mano della principessa mia figlia. Ho detto e sia fatto!", ordinò il re, squillando più delle trombe e tuonando più dei tamburi.

Le nozze si svolsero in quel preciso momento mentre ad ognuno dei fratelli veniva consegnato il decreto regale che li nominava principi delle quattro contrade. Il padre? Anche lui ebbe un premio: ospite a vita nel palazzo regale e Primo Consigliere di corte. Come vissero? Felici e contenti!

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