approfondimenti

Per problemi di Kb non abbiamo potuto collegare il sonoro. Richiedetecelo.

Per recuperare la favola sceneggiata, fai click

 

                              

Il marinaro e il pesciolino

 

 C’era una volta, tanto tanto tempo fa, un certo Pauluccio, un vecchio marinaro, che dopo una quarantina d’anni di mare e dopo aver visto mezzo mondo, s’era ritirato a vivere, da solo, dentro un pezzetto di terreno comprato con i soldi messi, un poco alla volta, dentro il carosello. Aveva scelto quel posto dirimpetto al mare, perché lì poteva continuare a sentire i vecchi profumi anche mentre zappava l’orticello o la spalliera d’uva nera.

Campava così, tra la terra e il mare, tra il mare e la terra, in una specie di pagliaio di pietra che s’era alzato con i migliori chianconi, squadrati e lavorati con santa pazienza. Niente di speciale, una stanza in tutto, con una bella finestra, da dove ogni mattina guardava il tempo, per vedere se andare a zappare o a pescare. Certe brutte giornate che non si poteva fare né l’una né l’altra cosa, si metteva davanti al camino, vi buttava una sacchetta di alghe secche, qualche minchione di mandorlo, e se ne andava col pensiero alla vita passata nel mare.

Soprattutto quando buttava il vento forte, gli pareva di stare ancora sopra una delle imbarcazioni dove aveva lavorato schiumando sudore. Sentiva i comandi del comandante, la iosa azzurra dei gabbiani mischiata a quella della filippina. E sognava ad occhi aperti, sognava di fare il signore, palazzi carrozze comodità e servi. La razza dei cristiani non gli piaceva per niente. Quattro gatti cresciuti all’aperto; basta e avanza.

Un giorno, Pauluccio si alzò con la testa fresca e con un prurito al cuore. Era una giornata di lusso, col mare appena mosso e azzurro azzurro che gli diceva pescami. Prese la barca e la lasciò scivolare dentro l’acqua; se la vedeva il vento a spingerla dolcemente al largo, dove a un certo punto si fermò sola sola.

Pauluccio sentiva nell’aria e nel cervello che stava per capitare qualche cosa di speciale. Chiuse gli occhi e gettò la rete. Dopo pochi minuti, sentì un movimento, fece per tirare la rete ed era pesante come il piombo. Tira e tira, tira e stratira, non ne veniva fuori niente: solo la rete vacante.

– Beh, e allora perché questo pesore che non si capisce? Che cacchio sta succedendo oggi santo? Bah! Ba ba ba

Stava per scappargli la pazienza e per ributtare la rete a mare, quando sentì dentro la testa la sua stessa voce che diceva:

– None Pauluccio, devi continuare a tirare; dai da’, ché mo’ ha da venire il bello.

Il bello era che, in fondo alla rete, c’era un pesciolino che non pareva neanche, tanto era piccolo. Pauluccio stava per ributtarlo a mare, ma un raggio di sole cadde di striscio sul pesciolino, che balenò d’oro.

– Per mille balene e cento balenotteri, ma questo è d’oro. Gesù Gesù Gesù, che fortuna che mi doveva capitare oggi! E chissà quanto vale!

Stava per afferrarlo, ma la stessa voce di prima gli parlò dentro la testa:

– Lasciami stare, lasciami libero e io, che sono un pesciolino magico, ti farò avere tutto quello che desideri.

– Ma non è che sto sognando? – Pensò Pauluccio, mentre gli veniva in testa la storia del pesciolino d’oro, che gli raccontava la madre da piccolo.

– Ma sì, tanto che ci ho da perdere? Proviamo. Hai visto mai? – Poi, ad occhi chiusi e ad alta voce, disse al pesciolino:

– E va bene, vorrei, diciamo, vorrei… voglio…, tanto per cominciare, voglio trent’anni di meno, un bel palazzo in mezzo a una grande città, voglio pure essere un cavaliere, uno di lettura però, e uno stanzone di tesori, vestiti buoni, un cavallo, bianco sì lo voglio bianco, con le fibbie di lusso lavorate in oro e…e…e basta per adesso.

– D’accordo. – Disse il pesciolino. – Tutto quello che hai nominato è già tuo; vedi lì sulla terra: la città, il palazzo pieno di tesori, il cavallo bianco e i finimenti preziosi. Però, ti raccomando di ributtarmi in mare.

Il pesciolino parlava e Pauluccio sentiva con la bocca aperta come un forno. Non credeva ai suoi occhi e ai suoi orecchi, quando arrivò fresco fresco il nitrito del cavallo bianco, che lo stava già aspettando sulla riva.

Vedendo tutto quel bendiddio, però, gli venne subito un dubbio.

– Se mo’ io mollo il pesce, non può essere che appresso a lui spariscono tutte quante le ricchezze?

E così, chiedendogli scusa, mise il pesciolino dentro un secchietto e si affrettò a raggiungere la riva.

– Non si fa così; non era questo il patto; lasciami andare; mantieni la parola e lasciami andare, ho detto.

– Ma dai, che cosa, non fare tante mosse, vedrai che ti tratterò come si deve; ti metterò dentro una vasca dorata, piena d’acqua di mare; ti darò il miglior mangiare che esiste; ti sentirai come il capo re dei pesci. Altro che.

– Ma com’è che non lo capisci che non me ne frega niente di tutto questo e che voglio soltanto la mia libertààààà? – Disse il pesciolino con la voce sempre più indebolita.

Ma non era cosa che Pauluccio potesse sentire, e così la vocina di dentro, piano piano, si stutò completamente.

Passarono gli anni e l’ex marinaro era, per tutti, il Cavalier Pauluccio, con il suo bravo palazzo e la pancia piena. Cavalli giardini giardinieri carrozze servi tornesi tesori. A proposito di tesori, bisogna dire che, dallo stanzone sotterraneo dove li teneva in segreto, si apriva una botola che menava ad una scala a chiocciola scavata nella pietraviva, che poi portava dentro una camera foderata di stoffe preziose. In mezzo alla camera, una vasca indorata piena d’acqua marina, dove se ne stava tutto triste il pesciolino d’oro.

Pauluccio cercava di parlargli, ma inutilmente, visto che non riusciva più a sentire la vocina di dentro.

– Ma com’è che devi essere? Si può sapere che cosa ti manca, si può sapere? Ti faccio stare esatto come un re. Che te ne frega della libertà e dove lo vai a trovare un compagno come Pauluccio, al giorno d’oggi?

Il tempo passava e passò, finché un brutto giorno, all’improvviso, il palazzo cominciò a tremare da sotto sotto. Grida ostrogote, rumori di sciabole, bestemmie, saette.

– Mamma li turchi!!!

Erano i turchi che, guidati dal saladino in persona, avevano preso la città e il palazzo del cavaliere.

In quattro e quattrotto, se ne andò tutto a carte quarantotto. Pauluccio fu preso da due facce di giudei e fu buttato in uno scantinato umido e senza luce, dove rimase per qualche giorno prigioniero.

La sua mente andava spesso a trovare il pesciolino. Oh, cosa avrebbe fatto per sentire dentro di sé la sua vocina, ormai muta per sempre!

Poi, venne il giorno che altre due facce di canemorto lo presero e, spingendolo davanti alle loro scimitarre, lo buttarono fuori dalla città. Con la testa abbassata e col passo strascinato, s’incamminò verso il suo casotto, dove giunse sfinito, col morale alle pezze e con le pezze al morale.

Tutto era rimasto come prima: la vigna d’uva nera, la porta, il camino, la finestra, il vestito di marinaro appeso al chiodo. Pareva che lo stavano ad aspettare. A ben pensarci, non si sentiva mica tanto male là dentro. Solo il pensiero del pesciolino abbandonato nella vasca dorata lo affliggeva. E si mangiava la testa a cercare la maniera per andarselo a riprendere dal palazzo.

– Faccio così, faccio colà, meno male che sta in quella camera segreta; magari, andando, di notte, da dove passano i tubi che portano l’acqua di mare alla vasca, se faccio zitto zitto e piano piano, forse, capace che...

Detto fatto. Superando i pericoli e le sentinelle, tutto raschiato e sanguinante, riuscì a raggiungere la camera segreta della vasca. Man mano che si avvicinava al pesciolino, sentiva dentro la testa quella bella vocina di una volta.

– Lo sapevo che saresti venuto, Pauluccio, e io ti stavo aspettando, perché so che tu mi porterai al mare e mi darai la mia libertà. Non è vero Paolù?

Sì, era proprio vero. Dopo altri cento pericoli e sentinelle, ecco finalmente il mare che si avvicina.

– Senti – disse il pesciolino – se tu vuoi, io posso darti da capo tutte le ricchezze del mondo.

Pauluccio non ci pensò due volte, fece no con la testa, mise il pesciolino dentro il mare e gli fece addio con la mano. Poi, si mise bello seduto sulla spiaggia a sentire dentro quella benedetta vocina, che come un fiato non lo avrebbe più lasciato fino alla fine dei suoi giorni.

Non lo avrebbe più lasciato fino alla fine dei suoi giorni. Punto.

 

Vai aal Provincia Vai all'indice

  Vai all'inizio della Storia