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IL PESTELLO

C'era un vecchio che aveva solo un piccolo pezzo di terra e una figlia; il campo si chiamava "macchia", rendeva poco, e abitava in paese in una casa " a 'nfittu".

Purtroppo un giorno fu cacciato da casa perché non pagava l'affitto e andò con sua figlia ad abitare nel piccolo trullo di pietre che c'era nel suo campo, cioè nel "fornu".

Ogni giorno sarchiava e zappettava; ogni pezzettino di terra era lavorato e coltivato. Un giorno mentre puliva una siepe "te prini", trovò un mortaio d'oro. Lo portò dalla figlia e glielo fece ben pulire, poi pensò di recarsi dal re per venderlo.

- Vai pure - disse la figlia - ma vedrai che il re ti dirà: il mortaio è bello ma gli manca il suo pestello. Però non dirgli che io ho anticipato le sue parole!

Il vecchio andò dal re e gli mostrò il mortaio.

- Il mortaio è bello, ma gli manca il suo pestello - disse il re.

Il vecchio, per lo stupore di sentire esattamente le parole della figlia mormorò: - Ma allora aveva ragione!

Il re volle sapere subito chi è che aveva ragione, il vecchio non rispondeva, ma quando si vide condannato a morte confessò tutto.

- Devi portarmi tua figlia qui a palazzo - disse il re - ma dovrà presentarsi a me "non nuda e non vestita, né calzata né scalza, né a piedi né a cavallo, né sazia né digiuna, né di notte né di giorno". Se non lo farai morirai!

Il povero vecchio tornò al suo campicello pieno di vergogna e di paura: vergogna perché aveva disubbidito alla figlia e di paura perché la richiesta del re per lui era assurda.

- Non ti rammaricare padre - disse la figlia, dopo aver ascoltato la sua confessione - ci penso io ad accontentare il re.

Il mattino dopo, all'alba, la ragazza si coprì con una rete di pescatori, si mise ai piedi degli zoccoli intrecciati di giunchi, si mise su una capra e standoci sopra appoggiava un po' un piede e un po' l'altro, tenne in mano una mela morsicata ed entrò così nel palazzo.

Il re non riuscì a trovare nulla da eccepire... Decise di tenersela a palazzo come consigliera, ma non doveva parlare con nessuno, perché nessuno doveva sapere che c'era una persona più furba del re e per di più femmina. In occasione della festa patronale, il re invitò tutti a bere gratuitamente nel suo palazzo. Passò un viandante che andava al mercato a vendere la sua mula. Pensò di entrare nel palazzo a bere e legò la mula fuori. Passò un viandante che andava al mercato a vendere la sua mucca. Pensò di salire a bere e legò la mucca fuori, vicino alla mula.

Quando ridiscesero, videro che fra le zampe della mucca e della mula zampettava allegramente una muletta. E qui cominciarono i guai!

- La muletta è mia perché l'ha fatta la mula mia!

- No! E' mia perché l'ha fatta la mucca mia!

E giù botte da orbi!

Arrivò il re, richiamato da tanto fragore e gli dissero di decidere lui di chi fosse la muletta: la sua parola sarebbe stata legge!

- La muletta appartiene al padrone della mucca! Disse il re e nessuno poté fiatare, perché la sua parola era legge.

Il padrone della mula si disperava. La figlia del contadino che aveva nascostamente seguito tutta la scena, non si rassegnava a quella ingiustizia e chiamò nascostamente il padrone della mula e lo istruì per bene su quello che avrebbe dovuto fare l'indomani, ma che non confessasse mai che era stata lei a istruirlo.

Il mattino dopo il re, svegliandosi, si affacciò alla finestra della sua camera e vide che nel giardino reale c'era un uomo che, con una canna e amo, stava pescando nel prato verde.

- Cosa fai buon uomo? - Chiese il re.

- Sto pescando pesci per il pranzo - rispose quello.

- Ma è proprio una cosa stupida questa: ti sembra possibile che in un prato ci possano essere dei pesci?

- Maestà, se è impossibile che i pesci stiano nel prato e il crederlo è stupido, così è impossibile che una mucca faccia una muletta e il crederlo è stupido!

Il re ammutolì per l'acume della risposta e ordinò che gli fosse restituita la muletta; poi, pena la morte, costrinse l'uomo a confessargli chi gli avesse suggerito quel trucco. Confessò!

Il re s'infuriò assai con la ragazza ma non osò farle del male; però temeva altre brutte figure e quindi la chiamò dicendole: - Domani te ne tornerai al tuo campicello. Potrai portarti via dal palazzo la cosa che più ti piace.

La ragazza accettò, però pregò il re di cenare con lei quell'ultima sera, ma soli soletti, senza servi e ancelle.

Il re accettò di buon grado. La ragazza fu un vulcano di chiacchiere e sorrisi, ammaliò il re con la sua arguzia piacevole e spiritosa e alla fine del pasto versò nel bicchiere del re un potente sonnifero. Il re si addormentò. La fanciulla chiamò subito i servi dicendo loro che il padrone desiderava fare una passeggiata con lei sotto le stelle.

- Se non ubbidite, al suo risveglio vi farà tagliare la testa!

I servi misero il re nella carrozza e la ragazza partì. Il re dormì tre giorni e tre notti. Quando si risvegliò non riusciva a capire dove si trovasse. Poi vide la ragazza e le disse: - Ma dove mi trovo?

- Nella mia casetta che si trova nella mia campagna.

- E che ci faccio qui?

- Maestà, mi avevi detto che potevo portarmi via dal palazzo la cosa che più mi piaceva e io mi sono portato via il re.

Il re capì che la saggia ragazza si era veramente innamorata di lui e che lui anche la amava e ammirava e disse: - E sia! Torna con me al palazzo e sarai la mia sposa.

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