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In cantiere.


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Giusta punizione di un capo bandito

C'era una volta un proprietario, Don Nanino. Una bella proprietà teneva il Don di questa storia. I suoi genitori se l'erano accaparrata da generazioni... insomma di generazione in generazione si erano portato avanti una proprietà coi fiocchi: quasi tutto il paese era loro: palazzi case campagna. Ma Don Nanino, diversamente dai suoi progenitori, era di buon cuore e faceva del bene ai paesani che non ricambiavano allo stesso modo: il mondo delle persone - a quei tempi - era fatto di cristiani che non avevano rossore alla faccia. E dai oggi e dai domani, piano piano la proprietà del proprietario se ne andò, come si dice, ai pesci: si ridusse nella miseria. Ma don Nanino non ci badava: a testa alta viveva lontano da tutti e da tutto con una  figliola, Cecchina, bella e assiduata.

Un giorno un ricco signore, Don Fonzino, che non aveva figli, saputa la sventura capitata a quell'uomo generoso, gli fece la proposta di voler adottare la giovinetta con la promessa che la doveva tenera come una figlia... anzi più di una figlia e come un padre aggarbato gli doveva mettere a  nome suo tutta la proprietà. Don Nanino lo ringraziò, ma gli disse che mai si sarebbe staccato da lei e che preferiva vederla morir di fame piuttosto che abbandonarla.

Il signore, tornato al paese, ne parlò alla famiglia e conosciuta la cosa il suo giardiniere, mest' Ualino, che era compare di Don Nanino, andò da lui e tanto fece che lo convinse a seguirlo con la figliola. Don Fonzino, con gli occhi che gli brillavano e in corpo il quarantotto, li accolse amorevolmente e li trattò da vero amico. Poco dopo don Nanino morì e Cecchina non volendo rimanere del tutto a carico di papà Fonzino, così aveva cominciato a chiamarlo anche quando campava papà Nanino, lo pregò di comprarle un negozio di stoffe così, senza pesare sulle spese, lei poteva lavorare e aiutare la barracca. Papà Fonzino l'accontentò. Però volle che la bella Cecchina doveva sempre abitare con lui. Cecchina e don Fonzino si misero d'accordo  e così fecero: Cecchina alla bottega e don Fonzino a badare alle sue proprietà.

La ragazza aveva trovato la pace sua e faceva il mestiere delle stoffe con tutto il piacere. Un giorno, che Dio ce ne scansi e liberi, entrò nel negozio un giovane, bello ed elegante, vestito da tenente per comprare delle stoffe. Quello, come la vide, se ne andò di testa, e alla bella Cecchina glielo disse in faccia: «Signorina cometimetti, io a te ti voglio per sposa! Fra tre giorni vengo a prendere la risposta, ché adesso vado di folla.»

Quella, Cecchina, credendolo - come pareva - un militare di grado e, sicuramente, di famiglia come si deve, dopo tre giorni gli disse: «Mi chiamo Cecchina e ti rispondo: Sì!»

Bisogna sapere che quel bel giovane, che pareva tenente, era il capo di una banda di briganti, che ne combinavano di tutti i colori: rapine, saccheggi omicidi, per tutta la regione. I gendarmi, con tutto che si davano da fare per acchiapparli e metterli in galera,  non riuscivano ad arrestare nè lui e manco i suoi compari perché si sapevano truccare in tutti i modi: mo' da tenenti e soldati, mo' vescovo e preti... e anche papa e cardinali. Anzi, siccome lui, il capo brigante, era pure istruito, poteva essere mo' medico o avvocato e, insomma, qualunque vestito si metteva di un mestiere diverso, quello pareva.

Le guardie si dannavano l'anima per prenderlo ma non ci stava una volta che veniva riconosciuto.

Cecchina, che teneva sentimento, gli disse pure che se proprio la voleva doveva fare le cose in regola: portare l'ambasciata al suo benefattore. Il brigante non se lo fece dire due volte, andò dal benefattore gli fece l'ambasciata e quello, per non tenere scontenta Cecchina, dette la sua benedizione e disse che voleva conoscere la sua famiglia.

Il malamente allora, al primo gransignore che trovò davanti, rivoltella alla mano, gli ordinò di dire al benefattore che lui era suo padre. Quando  il benefattore si vide questo sorto di signore che chiedeva di fare sposare il figlio a Cecchina, fu assai contento di annunciare il fidanzamento ufficiale.

Il brigante intanto, un giorno sì e l'altro pure, andava al negozio, sempre truccato da tenente, e raccontava alla fanciulla mille atti di valore facendole credere che era il più coraggioso ufficiale del suo reggimento e che avrebbe fatto brillante carriera.

Intanto, si sa, per sposarsi bisogna uscire le carte. L'imbroglione brigante cominciò a pensare che così si poteva scoprire la magagna e che ti fece? Per timore che andando per le lunghe le pratiche del matrimonio si poteva scoprire il trucco o, nel frattempo - non si sa mai - poteva cadere nelle mani della polizia, pensò bene di rapirla.

Un giorno annunziò a Cecchina che, con altri ufficiali, stava organizzando una festa da ballo che si doveva fare in una villa distante un sei chilometri dalla città e che quindi voleva che lei andava alla festa senza dirlo al padre adottivo.

Cecchina, quando glielo disse, rimase come una baccalà e non ne volle sapere: «Non posso fare una cosa del genere! Tengo da rispettare chi mi ha fatto tanto bene! No! Mi dispiace, ma...». «E che ti sto a chiedere? Non è una malazione quella di dimostrare al tuo futuro sposo che è un piacere stare con lui! Eppoi, se così stanno le cose, io m'incazzo a ciuccio e...», alzò la voce che era da avere paura.

Dopo la sfuriata, il brigante, piantò baracche e burattini e se ne andò. Per qualche giorno non si fece vedere.

Poi, con la faccia sofferta, tornò: «Quanto mi fai soffrire. Tu a me non mi vuoi bene. La fiducia sta alla base di tutte le cose: se io ti dico di venire a ballare... non c'è niente di male. Te lo chiede quello che sarà l'uomo della tua vita! E poi... i miei compagni sono persone che, è vero non conosci... ma io sì che li conosco, sono persone di tutto rispetto...», e tante altre parole disse a Cecchina che quella si precipitò con le sue stesse mani e promise che l'avrebbe accontentato. Infatti una sera s'accordò col cocchiere, e quando fu notte alta, colla carrozza, le cui ruote erano state precedentemente ricoperte di pezze di stoffe, per non fare rumori e non svegliare il signore, uscì dal palazzo e s'avviò per il bosco, dove il bandito le aveva dato appuntamento.

Quando la carrozza giunse all'entrata del bosco, senza rumori e al buio, si vide una scialba luce di lontano; la fanciulla che credeva di dover essere accolta con grande signorilità e s'aspettava di vedere luci e fiori, provò una amara delusione; allora, quasi indovinando qualche brutta avventura, ordinò al cocchiere di nascondere la carrozza fra le macchie più folte e di attenderla fin quando tornava e si avviò verso la luce.

Intanto i briganti erano stati sguinzagliati di qua e di là per arrestare la fanciulla nel bosco, e s'erano appiattati in parte un po' lontana dal punto, dove s'era fermata la carrozza, sicché non sentendo alcun rumore, credettero che non fosse ancora giunta.

La giovane arrivò ad una vecchia casa, che era la casa dei briganti; spiò e vide una tavola apparecchiata; entrò e s'accorse che vi erano varie stanze, nelle quali c'erano letti ed armi dappertutto. Immediatamente capì il tranello, in cui era caduta, e provò orrore per quello che aveva fatto; non potendo fuggire, perché sentì delle voci, si nascose sotto uno di quei letti, ed attese tremante dalla paura.

Poco dopo arrivò la comitiva che portava ammanettata una bella giovinetta e sentì parole sospette e, cuore mio reggiti forte, vide atti di violenza. Non c'erano più dubbi: il fidanzato era il capo di quei briganti ed il più farabutto. E, quando lo vide arrivare durante il baccanale, ne ebbe la prova, faceva mattezze perché   la fidanzata Cecchina non era ancora arrivata.

Cecchina, nascosta vedeva e sentiva senza essere vista. Con gli occhi sgranati per lo spavento vide che, a un certo punto, presero la prigioniera e la fecero uccisero barbaramente. Il capo, a sfregio, per di più le tagliò un dito per impadronirsi dell'anello con diamante che quella poveretta aveva. Allora capì che, se la scoprivano, la stessa sorte sarebbe toccata a lei. Doveva allontanarsi. Gli occhi al cielo, pregò tutti i santi di aiutarla.

Il giovanotto ordinò ai suoi di tornare al posto di vedetta ed egli si avviò verso il luogo, dell'appuntamento con la fidanzata, sicuro che sarebbe venuta. Quando la casa tornò nel silenzio, la fanciulla si fece coraggio; prese il dito dell'infelice uccisa e se lo nascose in petto; poi, velocemente, s'incamminò per la macchia dove aveva lasciato il cocchiere e gli riferì ogni cosa. Il buon uomo rimase stupefatto di tanta malvagità e, prevedendo i pericoli cui si esponevano, consigliò alla padrona di appiattarsi nella carrozza, mettendosi distesa sul pavimento e, sferzati i cavalli, la carrozza si mosse.

Quando stava per attraversare le siepi di confine, fu assalita da una nutrita fucileria, che per fortuna non ferì nessuno, e poté allontanarsi rapidamente dal pericolo. I briganti si sforzarono di inseguirla ma invano. Allorché giunse al palazzo, la fanciulla più morta che viva salì tacitamente le scale e si coricò. Il cocchiere rimise a posto la carrozza ed i cavalli e nessuno di famiglia seppe nulla dell'accaduto.

La giovane il giorno dopo finse d'essere ammalata ed il padre adottivo, don Fonzino, mandò a chiamare il medico, che era suo fratello e sindaco della città. Come Cecchina fu sola col medico gli confessò ogni cosa e d'accordo stabilirono di vendicarsi del bandito. Infatti da quel giorno e per vari giorni Cecchina, facendo la malata, non si fece vedere alla bottega e, insieme al medico, fecero il piano per prendere in trappola la comitiva dei briganti.

Il giovane dopo vari giorni si presentò dalla fidanzata malata,  vestito da ufficiale, e si dispiacque che ella non fosse andata all'appuntamento. Le descrisse la magnifica festa che si era svolta nella villa e disse che era stato occupato per le manovre.

La ragazza finse di credergli e disse che la sera dell'appuntamento era stata assalita da violenta febbre che l'aveva inchiodata a letto, ma l'assicurò del suo affetto e disse che l'avrebbe accontentato in altre occasioni. Intanto l'avvertì che per festeggiare la sua guarigione il padre aveva deciso di tenere un banchetto, al quale voleva che partecipasse lui con tutti i colleghi del reggimento. Il bandito ebbe un sussulto, ma si dominò e disse che era lieto di accettare l'invito e, fissato di comune accordo il giorno, se ne andò.

Egli con un audace furto si procurò quindici divise di ufficiali, per quanti erano i compagni e, la sera della festa, si presentò alla casa della sposa seguito da un brillante gruppo di ufficiali. In una stanza del pianterreno c'erano due camerieri che liberavano gl'invitati d'ogni ingombro; perciò misero nel guardaroba rivoltelle e sciabole e li fecero salire nel piano superiore, disarmati. Vennero altri invitati, e dopo canti e balli si passò nella camera da pranzo ben addobbata. Accanto a ciascun brigante fu messo un gendarme vestito da signore, e si banchettò fino a tarda ora.

Verso la finitoria del banchetto, la giovane propose che ognuno doveva narrare un fatto, e tutti la pregarono che incominciasse lei. Cecchina accettò e disse che una notte aveva fatto un brutto sogno: sembrava una festa in una villa dentro dentro un bosco.

I banditi si guardarono l'un l'altro, ma nessuno sospettò che il fatto potesse riferirsi a loro.

Quando la fanciulla raccontò minutamente tutto ciò che le era toccato di vedere nel sogno quella sera e che i briganti avevano  ucciso una fanciulla, i briganti rimasero terrorizzati, ma fingevano calma e indifferenza.

Allorché la giovane, nel raccontare che il capo bandito aveva tagliato il dito alla sventurata per impossessarsi dell'anello col diamante, mise fuori il dito, e lo mostrò ai presenti, le guardie, che erano ai lati dei briganti, come era stato convenuto, li arrestarono improvvisamente. Essi cercarono di difendersi, e dibattendosi violentemente volevano scappare, ma erano disarmati, e dappertutto vi erano guardie.

Il mattino dopo furono consegnati alla giustizia, e fucilati.

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