C'era una volta una famiglia composta da padre, madre e tre figli. Una famiglia come tante altre in un paese come tanti altri. Il padre, pezzo d'uomo, faceva il contadino. Ogni mattina, appena la luna aveva finito il suo dovere e ancor prima che il sole si affacciava a vedere la nuova giornata, il contadino, povero come tutti i contadini, si avviava al suo lavoro: lavorava a giornata nel grosso tenimento di un ricco signore. La strada era lunga e, per fortuna, la percorreva con altri contadini che, come lui, andavano a buscarsi la giornata. Vi lascio immaginare come a quei tempi la giornata dei lavoratori di campagna fosse molto impegnativa e sempre uguale. Anche la domenica e le feste comandate erano giornate di lavoro, con una piccola differenza: si lavorava sotto il sole o la pioggia solo fino a mezzogiorno mentre gli altri giorni si restava nei campi fino a che il sole non scresceva. Era bello godere però della lunga camminata per raggiungere i campi con in bocca il sigaro e la chiacchiera con i compagni. Poche le pretese e molto lavoro. Capitò che una mattina, prima di avviarsi e proprio sulla porta di casa prima di richiuderla, egli si rivolse alla moglie, che cominciava la sua giornata di massaia, e domandò: "C'è del pane?" Ella rispose di no. "Oggi mi piacerebbe mangiare del pane quando torno" disse, chiudendo piano la porta. "Dammi una cosa di soldi, allora per comprare il grano!" disse la donna. "Prendili dalla pignatta." le disse l'uomo poggiando la bocca alla porta già chiusa. Il marito, pregustando il croccante pane di giornata, con la mente al ritorno, se ne andò in campagna. Maria, la moglie, si vestì e, con i soldi, se ne andò al paese a comprare il grano. Comprò il grano e lo portò al mulino per farlo macinare. Erano passate un paio d'ore e già la donna se ne tornava a casa con la materia prima per impastare e preparare le forme di pane da portare al forno. Con il tarallo di stoffa in testa ed il cesto in equilibrio su di esso Maria se ne tornava dal mulino pensando a come meglio fare per organizzarsi la giornata: "Devo comprare una figlietta d'olio, riscaldare l'acqua e, col lievito che ho nello stipone, impastare. Ma prima devo sistemare i ragazzi: Giovannino lo mando dalla nonna, Feluccio, quello è piccolo e si sta buono buono nel seggiolone, Menico è un problema, è impiccioso e non si sta con nessuno... vuol dire che lo tengo sott'occhi dalla finestra mentre, davanti a casa, lui gioca con gli altri bambini." Aveva sistemato tutti i tre figli e cominciava a godersi la giornata: le piaceva fare il pane e le piaceva anche vederlo mangiare dalla sua bella famigliola. Ci fu una volta... prima che nascesse Feluccio e che Menico era più piccolo, però, che successe un guaio che per fortuna era acqua passata. Il grande, Menico, quel giorno, approfittando di un momento di bisogno di Maria, era rientrato in casa e, con le mani sporche, aveva voluto scimmiottare la madre che impastava. Le mani di Menico, non solo erano un poco sporche di fango ma nel fango era rimasto un sassolino, piccolo piccolo che non pareva proprio. Quando la donna era tornata a lavorare la massa aveva notato un colore strano, ma soprappensiero aveva ripreso il lavoro e, nella quantità, quel difetto era scomparso. Fatto i pani, con la tavola del pane l'aveva portato al forno e la sera, a tavola... successe. Quando si dice la combinazione: fu proprio Menico che morsicò la fetta di pane che teneva dentro il sassolino. Un dente rotto e pianti di Menico. Si scoprì poi tutto il fatto... fatto sta che al bambino si aprì tra le labbra una piccola finestra che, per fortuna, si è chiusa perché il dente di latte lasciò il posto al dente nuovo. Ricordava tutto questo Maria mentre col suo cesto in testa stava quasi per arrivare a casa. Ma... "Il diavolo fa le pentole ma non fa i coperchi" dice un proverbio. Ma, un forte vento, compagno della polvere che sollevava, dando visibilità al suo percorso, creò un vortice sulla testa di Maria e... (a vederlo da lontano, sembrava un abbraccio quella folata di vento) e capovolse la cesta in cui stava la farina. Tutto perso. E ancora la striscia di vento si arricchì con quella farina diventando una stradina nell'aria che prendeva il volo. Maria quasi non ci credeva ma le lacrime si affacciarono subito e lasciarono il segno sulla faccia infarinata. "Poveri noi!" gridò con le mani nei capelli. "Poveri noi!" ripeteva con varie intonazioni. Ma, forse perché la Fortuna, che vedendo quel vento lo seguiva prevedendo qualche danno, o forse perchè quella signora si trovava a passare da quelle parti, la Fortuna della sua casa, apparve e, facendo finta di non sapere, le domandò: "Buona donna, perché piangi?" "Se sapeste!!... Poveri noi! Il vento...Un vento forte mi ha capovolto la cesta piena di farina e...". "Zitta, non piangere più; va per la via di S. Marco, e troverai un grosso portone di ferro; prenderai un mattone, e picchierai. Vedrai che uscirà Favonio; gli dirai quello che ti è successo. Lui ti darà un asino, ti metterai sopra, e ritornerai a casa. Tu fa' come ti dice e tutto s'aggiusterà. Va'!" le consigliò Fortuna: . Disse la donna: "Farò come tu dici". Camminò a lungo ma non c'era la stanchezza nelle sue gambe ma determinazione a risolvere quest'altro guaio che le era capitato. Vide il portone, prese un mattone e picchiò. Uscì Favonio che domandò: "Chi sei?" "Sono io, Maria di Tatà-Ciccio. Il vento mi ha portato via la farina e..." gli disse tutto con semplicità come se tutto ciò fosse naturale. E, come se tutto questo fosse naturale, Favonio le spiegò: "Va in quella casetta, prendi l'asino, e ritorna a casa; bada di non farlo sudare e dagli da bere e da mangiare. Poi dì tre volte: "Asino mio, dammi danari, ed esso ti accontenterà". Infatti la donna ritornò a casa, e dopo aver fatto quello che le aveva detto Favonio, l'asino scaricò dalle budella tanto danaro da empirne due casse. L'asino fu restituito. Il pane, quello bianco di prima scelta, comprato. La famiglia non si sprecò in chiacchiere e nemmeno ascoltava Maria, che dava voce al racconto della sua avventura. Quella volta Fortuna e Favonio avevano fatto la felicità di una famiglia che sicuramente non dimenticò mai e, di generazione in generazione, si raccontano questa storia e vivono felici e contenti. A pensarci... e se tu fossi un discendente di Menico, di Feluccio o di Giovannino? |