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LA STORIA DI CECERETTO

 

C’era una volta, in un paese lontano lontano, una vecchierella povera assai. Stava di casa alla fine di una strada stretta e erta. Un giorno di festa volle cuocersi una bella minestra. Aveva stipati, giusto giusto, un pugno di ceci bianchi. Allora, fatte le pulizie di casa, mise mano al fuoco: accese il fuoco e riempì d’acqua la pignatta; poi, sistemata la sedia davanti alla porta, si sedette al sole e cominciò a scegliere i ceci mettendoli nel piatto spaso. Per scartare una pietruzza, le cadde il miglior cece, tondo e rosso. Ndin ndin rotolava per la strada terrazzata e scendeva sempre più. Passò, proprio in quel momento, un cristiano forestiere che, vedendosi arrivare il cece, afferrò il cece malandrino che scappava e disse: “Ceceretto, sei di mia proprietà!” (parlava una specie di italiano il cristiano, forse veniva dal mare). A sentire quelle parole, la vecchierella sbalordì a bocca aperta e poi, dolce dolce, disse: “A dire il vero, il cece è mio, m’è caduto!”. Il forestiere si mise a gridare: “Ma che mi conti?! Chi trova diventa padrone. Se mi fai inquietare vaco ai carbonieri, avete accapito?”. “Madonna mia, ma vedi che mi doveva capitare oggi santa. Fatemi il piacere… andate! Andate con Dio… basta che non vi sento più gridare come un animale allo scanno.”

L’uomo, senza manco salutare, intascò il cece e mise la strada sotto i piedi.

Cammina cammina arrivò alla fine del paese. Si guardò intorno e vide una casa… sola sola. Bussò alla porta. S’affaccia una giovane donna: dritta e alta come un pioppo. “Bella femmina, tengo da fare una cosa imbortando. Se leia poteta farmi un piacero di tenermi un poco questo ceceretto!” Alla giovane le scappò di ridere e, ridendo ridendo dentro di sé: “Mettetelo là sopra al mattone!”. “Ma mi arricomando, non lo perdeto!”. “Non vi procupato…”, disse la donna ridendo in corpo. E ridendo ridendo rientrò marrando la porta di casa.

Bisogna sapere che questa donna teneva un galluccio attivo attivo. Appena l’uomo se ne va, il cacchio del galluccio si mangia il ceceretto.

Passa un po’ e torna l’uomo: “ Bella femina, dammi all’indietro il mio ceceretto!”. La donna va al muretto: niente. Volta e gira: il ceceretto non c’è più. “Se lo sarà mangiato il gallo!”, fa per dire la giovane… Apriti cielo. L’uomo si mette a gridare: “ O mi dai il mio ceceretto, o mi prendo il galletto! O mi dai il mio ceceretto, o mi prendo il galletto!”, ripeteva senza prendere fiato. “Ma questo dev’essere pazzo!”, pensava la donna. Ma, con quella cantilena nelle orecchie: “E pigliatevi il galluccio e scomparite!”. Senza prendere tempo, l’uomo afferra il gallo e via.

Cammina cammina, arriva a una masseria. In giro non c’era nemmeno un’ombra. All’improvviso i cani si mettono a schiamare e dalla porta s’affaccia una femmina col sinale e le mani sporche di massa di pane: “Chi siete? E che volete? Qui non c’è nessuno!”. L’uomo si ferma sul cancello e, con voce pesante… “Quella femmina, chiamatevi i cani che vi devo parlare molto seriamente!”.

Il sole, il caldo e non un fiato di vento, gli occhi storditi dalla luce… “Sarà un’anima del Purgatorio”, pensò la femmina e poi: “Da dove venite?”, domandò. “Se lo sapessa lei… ma per l’anima di Dio faci­temi la carità di guardarmi sto gal­letto, ca tengo da fare una cosa impor­tanto assai e torno subbito!”.

“Non posso perdere tempo: lasciatelo e andate a fare i fatti vostri. Non vi preoccupate. La madonna col suo manto ci commoglia a tutti quanti. Lasciatelo che non posso perdere tempo: tengo la massa da impastare!”. Lascia l’uomo in pianta e se ne va. Anche l’uomo lascia il galletto e se ne va.

Il galletto zampettando zampettando girava, padrone a casa sua, tra le masserizie a testa alta e dondolante mentre la massaia impastava la massa del pane… sennonché sotto una ramaglia di un grosso albero, al fresco, dormiva “come un porco” un grosso maiale di oltre mezzo quintale. Non vuoi che nella sua indagine del posto, il galletto, gli passa davanti? E non vuoi che il fine naso del porco agguanta quella novità di passaggio? E… vuoi o non vuoi, senza aprire manco gli occhi, la grossa bocca del grosso porco si aprì serrandosi sulla tenera ala del tenero galletto che non fece in tempo, come si dice, a chiamare il prete per l’assoluzione di tutti i suoi peccati divenendo un diversivo per il capace stomaco dell’animale. La donna, da dentro, sentì l’urlo appena schiamato del galletto e quando si affacciò… ormai tutto era compiuto.

Ora torniamo all’uomo… a quello sconosciuto forestiere. Dopo un poco: “La femmina!”, chiamò da dietro il cancello. “La femmina, dico a te: datemi il mio galletto ché vado di fretto!”, le gridò. Quella femmina, la massaia, facendo la scema, preoccupata per la massa che non cresceva (si disperava per tutti i contrattempi della giornata) e per levarselo subito davanti agli occhi, gli rispose: “Quale galletto? Chi ti conosce? Se non te ne vai allento il cane e ti faccio passare da cristiano a resto di ossa!”. Il forestiere cominciò ad alterarsi e a fare una brutta mutria. La femmina, a vederlo così alterato: “Bè, volete sapere la verità? Se l’è mangiato il porco e tu puoi menare il cappello all’aria: qui non c’è niente per te!”.

Fu allora che l’uomo si fece sentire in tutta la murgia:

“O dammi il mio galletto

o mi prendo il tuo porchetto!

O dammi il mio galletto

o mi prendo il tuo porchetto!”

Non c’era altro da fare: “Madonna mia di Banzi ma vedi che mi doveva capitare. Massì, prendetevi il porchetto e levatevi davanti agli occhi!”, disse arraggiata la donna.

L’uomo, tornato calmo, si piglia il porco con tutta la catena e viaaaa.

Cammina cammina, lui avanti e il porco alla catena dietro, arriva a una casa dentro il boschetto. Tuppe tuppe. “Chi è?”, una voce di donna dall’interno. “So’ nu povero cristiano!” La femmina apre la porta. “Buona donna, mi fate la carità di trattenermi questo bel porchetto?”, continuando poi con il solito rosario di cose importanti da fare ecc. ecc.

Insomma, senza portarla alla lunga, lascia il porco e se ne va.

La donna che doveva fare? Intanto la poveretta teneva due povere creature: un maschio e una femmina. Dire “poveri” molte volte è un modo di dire che può significare tante cose, ma in questo caso sta a significare una sola cosa… state a sentire i lamenti dei due piccoli: “Mamma, teniamo fame!”. Ascoltiamo la risposta della mamma: “Dormite, dormite figli miei: è ancora notte. Quando spunta il sole la mamma vostra vi dà il pane!”.

Era giorno! Il sole se la godeva la sua terra fuori da quella casa mentre dentro… tutte le finestre chiuse… il buio che faceva l’imitazione della notte e due piccininni che non vedevano, è proprio il caso, non vedevano l’ora che il giorno venisse a smorzare i crampi allo stomaco che duravano da alcuni giorni.

Ancora lamenti e ancora suppliche: “Mamma teniamo fame!”. “Dormite a mamma!”. “Mamma teniamo fame di porchetto!”.

Che doveva fare la povera femmina? Una cosa sola! Tagliò una coscia al porco e la cucinò per i suoi figli. I bambini si accorsero in quel buio che il sole era sceso nel loro corpo. Intanto il (povero?) porco, gettando sangue, se ne moriva per il forte dolore. Morto che morto, la donna e le creature si saziarono delle sue preziose carni. Santa morte del porco per tre ritorni alla vita: febbre e debolezza scomparvero senza cura di medici. Passò una settimana e… stava per passare pure la contentezza. Tuppe tuppe. “Chi è?”. Era il forestiere: “Sono menuto a ritirare il porchetto!”.

La femmina si fece la croce alla rovescia: “Santi del Paradiso aiutatemi voi!”, pensò. Poi facendo la scema per non andare alla guerra fece capire che non si ricordava e che… L’uomo cominciò a bestemmiare i santi del cielo e i diavoli dell’inferno gridando a bocca aperta. La femmina si spaventò e fu forzata a contargli il fatto per filo e per segno: “Dovete avere pazienza: i piccininni stavano malati e affamati e io…”. “Como como?!”. La donna scoppiò a piangere: “Se tenete cuore…”. “Se tengo cuore? Tengo core e cirviello:

O       dammi il mio porchette

o mi prendo i tuoi figliolette!

O dammi il mio porchette

o mi prendo i tuoi figliolette!”

Tutto fu inutile! La donna si dava schiaffi, si tirava i capelli, si mindrisciava per terra… Il forestiere guardandola senza pietà prese la bisaccia con le sue due sacche e mise dentro, da una parte il maschio e dall’altra la piccola e caricata sulle spalle se ne uscì tutto contento.

Cammina cammina, contento contento, arriva a una casa. Chi c’era in quella casa? C’era una femmina. “Mi teneto questa bisaccia….?”, e aggiungendo i suoi problemi di tempo, l’importanza della fretta e tutte le sue storie, lasciò la bisaccia con dentro i bambini e… via! Appena l’uomo se ne fu andato, ripresosi dalla sorpresa di quella visita, la donna riprese le sue faccende di qua e di là per la casa. Sentiva ogni tanto come un pianto di creaturina: appizza le orecchie e: “Che sta in questa bisaccia?", si domanda curiosa. Apre la bisaccia... sbarra gli occhi: “E voi che ci fate qui dentro?”, domanda ai tremanti bambini. Quelli, con l’affanno e col trimuizzo nella voce, le dicono tutto il fatto. “Ah, così è? Mo’ l’addrizzo io al signore!”. Fu così che, dopo aver nascosto i bambini, prende e mette nella bisaccia da una parte un cane e dall’altra un fiasco pieno d’acqua.

Torna il forestiere. Senza parole, si prende la bisaccia, se la mette in collo e via per una nuova strada.

Cammina cammina, passo dopo passo dalla bisaccia cominciò a uscire, non dico proprio una pisciarella, ma un’umidità che piano piano diventava come una pisciarella. Quello, il fiasco con l’acqua, cominciava a colare. L’uomo si sentì la spalla bagnata e: “Ma vedi un poco: uno dei due sta facendo il suo bisogno! E proprio sulla mia spalla…”. Poggia a terra la bisaccia e, con la testa proprio vicina all’apertura, scopre la sacca del fiasco. Meraviglia. Sospetto. Apre l’altra sacca e… il cane, arrabbiato, zompa fuori con la bocca aperta, la serra sul naso dell’uomo lasciandolo senza palmo di naso e, come una saetta, se la fila.

L’uomo gridava e chiamava indietro il cane che, sordo, corse via per un’altra storia ad insegnare all’uomo altre morali e corretti comportamenti.

La storia si fa muta

e… piaciuta o non piaciuta

la candela si stuta.

A voi pane e cirasa

e io il tuo naso porto a casa

A voi pane e cirasa

e io il tuo naso porto a casa.

 

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