il sonno è meglio del caffè

  MASTRO CICCIO

C'era una volta un uomo di nome Francesco, chiamato da tutti mastro Ciccio. Sposato e senza figli, non aveva per nulla quella che si suol chiamare «una grande voglia di lavorare». Anzi, per la verità, gli piaceva più dormire e riposare a casa sua che affrontare tutti i disagi e i pericoli di un lavoro. Poverino! Era fatto così, che ci volete fare?!

La moglie era sempre lì a brontolare e a lamentarsi. - Sei uno sfaticato! Possibile che in questa casa non si veda mai il becco di un quattrino? Se non fosse per me che vado a lavorare fuori, non avremmo nemmeno di che mangiare!

Ma Ciccio se ne stava sdraiato a sonnecchiare, col cappello piegato sul viso perché la luce non lo disturbasse.

Le parole di rimbrotto della moglie lo lasciavano del tutto indifferente. Comunque non si può negare che quella donna fosse veramente scocciante! Si metteva con quella solfa dalla mattina alla sera e si può dire che nemmeno il sonno riuscisse a chiuderle la bocca.

Ne aveva proprio tanta di pazienza quel povero marito che, figuratevi, sopportava tutto senza mai ribellarsi! E, credetemi, mai aveva cercato di difendersi o di- metterla a tacere! Sonnecchiava tranquillo e incassava ogni colpo mancino come un povero martire.

Ma si dice che anche i santi perdano la pazienza e il nostro, che finora aveva avuto proprio la pazienza di un santo, un bel giorno non ce la fece più e decise di umiliare quella donna plebea.

Possibile che non si rendesse conto che la nobile mente di suo marito trovava appagamento solo nell'elevata meditazione dell'ozio?

Pazienza! A questo mondo sono pochi coloro che vivono solo di appagamenti spirituali! Tutti gli altri si affannano dietro le vili preoccupazioni della vita, come appunto quella popolana di sua moglie!

Ma ora egli le avrebbe fatto vedere di che cosa era capace e, badate!, senza puntare affatto sul lavoro, che per lui era una perdita di tempo, ma esclusivamente su quella nobile facoltà che volgarmente è conosciuta col nome di intelligenza. Quindi, si levò in piedi, si batté con le mani gli abiti che aveva indosso (e per spolverarli e per stendere almeno qualche piega, segno tormentato della sua vita meditativa), prese il cappello e si diresse verso l'uscio.

La moglie, nel vederlo, rimase come pietrificata, in mezzo alla stanza, a bocca aperta, con gli occhi sgranati e con la ramazza a mezz'aria.

Non se lo sarebbe mai aspettato!

Eppure quel giorno aveva ripetuto i soliti improperi! Che cosa aveva detto o fatto di tanto potente e brutale da compiere il miracolo di far mettere per terra i piedi a suo marito?!

Bah! Va' tu un po' a capire tutti i misteri della vita!

Quando mastro Ciccio fu in strada, per la verità, si sentì un po' stordito e, allora più che mai, disprezzò veramente il peso della carne!

Ma l'uomo è di facile adattamento, lo avete anche studiato, per cui il nostro esemplare non tardò a sentirsi a suo agio. Quando, a occhio e croce, stabilì in che punto del paese si trovava, si fermò un attimo per mettere a punto il suo piano.

Ecco... innanzi tutto avrebbe comprato tanta roba da mangiare. Era stanco di trovare a tavola sempre le solite miserie che gli avevano rovinato il palato fine e lo stomaco delicato!

Poi si sarebbe vestito a nuovo di tutto punto perché, se è vero che l'abito non fa il monaco, è anche vero che l'occhio vuole pure la sua parte.

E il denaro, chi glielo avrebbe dato?

Ma vi sembra che mastro Ciccio fosse un uomo da sporcarsi le mani col denaro che, voi mi insegnate, è la cosa più ignobile che esista al mondo?

Dunque, stabilito il piano, si diresse verso la bottega del macellaio.

- Compare, mi devi dare un agnello, due galline e qualche chilo di vitello. Verrò a pagarti il più presto possibile!

Prese e andò via.

- Passò dalla bottega del salumiere:

- Compare, dammi dieci chili di pasta, formaggio, zucchero... Verrò a pagarti il più presto possibile!

Prese e andò via.

Passò dal sarto:

- Compare, dammi un vestito, il migliore che hai. Verrò a pagarti il più presto possibile!

Prese e andò via.

Passò dal calzolaio:

- Compare, dammi un paio di scarpe, le più resistenti che hai. Verrò a pagarti il più presto possibile!

Prese e andò via.

Passò dal cappellaio:

- Compare, mi devi dare un cappello, il più elegante che hai. Verrò a pagarti il più presto possibile! Prese e andò via.

Era così carico che camminava a fatica sotto tanti pacchi.

Arrivò a casa e dovette bussare con i piedi.

Quando la moglie andò ad aprire e se lo trovò dinanzi così stracarico, poiché sapeva che nelle tasche del marito non c'era che ragnatela da anni, terrorizzata gridò:

- Mamma santa! Che è successo? Chi hai ammazzato?

- Taci, donna plebea! - la zittì mastro Ciccio con voce imperiosa. - Fammi largo! E lasciami passare!

Quando fu dentro casa, rovesciò i pacchi sul tavolo e per terra, poi, tergendosi il sudore della fronte con il fazzoletto, si abbandonò stracco morto su una sedia.

La moglie seguiva allibita ogni sua mossa, con l'aria di non volere andarsene se non dopo aver saputo tutta la verità, nient'altro che la verità.

- Donna di poca fede! Ecco..., guarda di cosa è capace quest'uomo, senza sbraitare né rinfacciare, senza uccidere né rubare! Ma con l'intelligenza!

E si toccava la fronte con la mano, quasi a voler sottolineare che proprio quel cranio, da lei tanto disprezzato, era il prezioso scrigno di quella virtù tanto rara.

Per la verità la donna, di fronte a tanto ben di Dio, non stette troppo a sottilizzare e, temendo proprio d'aver sottovalutato le capacità di un simile marito, docile docile (e sia detto in un orecchio, anche un po' servile) cominciò ad obbedire ad ogni comando del consorte.

- Toglimi le scarpe! Aggiustami il guanciale! Dammi da bere! Cucina! Arrostisci la carne!

E così, per diversi giorni, filarono d'amore e d'accordo.

La donna sfaccendava e il marito comandava, subito obbedito e rinnovato nella pelle: scarpe, abito e cappello.

Ma questo clima bucolico terminò ben più presto di quanto il nostro brav'uomo avesse supposto.

Una nuvolaglia minacciosa cominciava ad addensarsi cupa sul povero e nobile cranio di mastro Ciccio.

Le provviste finirono, lui continuava a poltrire, la moglie riprese a lavorare e i creditori cominciarono a bussare insistenti all'uscio di casa.

Ma non c'è pace per chi ha deciso di elevarsi sulle miserie umane.

0 uomo, uomo! Ricordati che cenere sei e cenere diventerai! Abbandona le ignobili ricchezze! Fanne dono a tutti, come il nobile santo, e ti guadagnerai la vita eterna!

Macché! Si vede che agli uomini non interessava affatto la pace eterna, ma solo quella economica!

Povero mastro Ciccio! Forse era l'unico a pensarla in quel modo!

E la moglie?!

Non parliamone proprio!

Il lupo perde il pelo, ma non il vizio! Aveva ripreso a sbraitare, a lamentarsi, a inveire contro quel pover'uomo di suo marito.

- E già - recriminava - tutti saprebbero fare come te! Prendi la roba e non la paghi! La pagherò?!? E come, se non ricordi più che faccia abbiano i soldi?!

E dalli e dalli, siccome anche il ferro si piega, mastro Ciccio un giorno non ne poté più e gridò:

- Come la pago?! Con l'intelligenza, donna di poca fede! Ma, mi raccomando!... Acqua in bocca!

Così, dopo aver costretto la moglie a tacere, un giorno si vestì di tutto punto (con l'abito, le scarpe e il cappello nuovo) e si finse morto.

La moglie, sotto la minaccia del marito, cominciò a lacerare l'aria con urli acuti e a straziare i cuori con un pianto dirotto (che, per la verità, le veniva fuori per la rabbia).

La notizia si diffuse per tutto il paese e penetrò anche nella bottega del macellaio, in quella del salumiere, in quella del sarto, del calzolaio, del cappellaio.

Tutti gli amici si recarono a casa di mastro Ciccio a dargli l'estremo saluto. Tutti si recarono, anche i suoi creditori.

Egli giaceva sul letto, nei panni nuovi, con scarpe e cappello, con le mani incrociate sul petto e con quattro candele ai lati.

Era veramente commovente a vedersi! Sembrava, vi assicuro, l'uomo dai sette dolori, composto nel sonno pesante della morte!

La gente si avvicinava silenziosa alla salma, si spremeva due lacrime, vi sprecava due parole di elogio funebre, si genufletteva e poi scompariva a spettegolare fuori.

Venne anche il turno del macellaio che, appena fu presso il letto di morte, si piegò e disse tra i denti:

- Mi dovevi saldare un debito! Non potevi aspettare a morire? Comunque, meglio a te che a me, non ci pensiamo più!

Fu poi la volta del salumiere, poi quella del sarto e quella del calzolaio che, più o meno, parlarono tutti allo stesso modo, a denti stretti, alla salma del loro debitore. E tutti gli condonarono i debiti per una certa pietà religiosa che, almeno, nelle anime più semplici, riesce ad averla sempre vinta su propositi di rabbia e di vendetta.

Non fu però altrettanto per il cappellaio. Questi non riusciva proprio a capacitarsi d'essere stato buggerato in questo modo dalla sorte!

Era morto, sì... è vero! Però il cappello doveva riaverlo a tutti i costi. Così, quando fu notte, si presentò a casa di mastro Ciccio per fare la veglia alla salma. Gli si sedette accanto ed aspettò che rimanessero soli, lui e quel bel mobile col suo cappello in testa. Gli stava accanto e cercava di non perdere mai di vista il suo cappello, quasi che da un momento all'altro dovesse prendere il volo insieme all'anima del defunto.

Beh! Non è che avesse tutti i torti a pensarla così!

Ogni tanto, sorpreso da un colpo di sonno, abbandonava la testa sul petto russando e, quando un ronfo più cupo e minaccioso degli altri lo scuoteva di soprassalto, istintivamente cercava con gli occhi il suo cappello... Lo trovava a mezz'aria e lo inseguiva col capo in nebulosi volteggi e, solo dopo aver messo bene a fuoco i suoi dardi visivi, lo vedeva ripiombare sulla zucca del defunto.

E finalmente rimasero soli.

Il cappello era lì!

Allungò più volte la mano, ma, a metà strada, più volte la ritrasse. Chissà! Forse ancora non era riuscito ad abbattere del tutto l'ultimo scrupolo!

Lui sciacallo?! Lui spogliatore di cadaveri?! Mai sia!... Ma che sciacallo! Ma che spogliatore! Il cappello era suo e non faceva che riprenderselo! Né un cadavere senza cappello poteva dirsi nudo!

Si fece forza, allungò la mano e di botto la ritrasse insieme al cappello.

Quando mastro Ciccio, che nelle vesti di morto si era concesso (finalmente senza essere rimbrottato) un sonnellino, si sentì strappare il cappello, ebbe un sussulto e balzò a sedere in mezzo al letto di morte, tra le quattro candele.

Fu istantaneo: il cappellaio balzò terrorizzato dalla sedia e cominciò a gridare come un forsennato. Le grida ora gli scrosciavano cascando dalla bocca, ora gli si strozzavano nel gargarozzo.

Figuratevi che gli tremavano addosso anche le brache!

Aiutoooo! Aiutoooo!... Non lo voglio più!... Non lo voglio più il cappello! ... Tienitelo! - gridava come invaso dal demonio! E correva per le vie del paese... e gridava!

In un battibaleno si sparse la notizia che mastro Ciccio era resuscitato e, quando i creditori ritornarono da lui a reclamare il loro debito, il nostro galantuomo così disse:

- Quando, ero all'altro mondo ho inteso che non volevate più nulla ed ho sentito il Signore che, sorridendo, diceva: «Con questa opera di carità il macellaio, il salumiere, il calzolaio e il sarto hanno salvato la loro anima!» Ora cosa volete fare? Volete andare all'inferno? In quanto al cappellaio, tutto il paese, che lo ha sentito gridare, è testimone che egli me lo ha regalato il cappello!

Così, miei cari ragazzi, termina la mia storia. Se mastro Ciccio cambiò? Beh, non saprei proprio dirvelo, certo che quella volta la combinò veramente grossa!

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