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Le due focaccine

C’era o non c’era?

C’era, c’era! C’era una volta un paese a due passi dalla marina, dove campavano due cognate, tutte e due vedove, con una figlia per una: Palmina e Sisina, che tenevano più o meno la stessa età, più o meno le stesse abitudini, più o meno gli stessi vestiti, più o meno. Solo la prima, però, teneva un fratello, Cilluzzo, che, per dare una mano alla sua povera famiglia, stava fuori terra a fare il mestiere di servo presso l’Imperatore, in un paese lontano lontano.

Le due cognate e le due ragazze si trattavano da vicino e cercavano di andare, se non d’amore, almeno d’accordo: buongiorno e buonasera, come si va, favorisci, l’importante è la salute.

Un bel giorno, verso mezzogiorno, la mamma di Palmina prese e mandò la figlia a riempire l’acqua dalla fontana con una creta.

– Va bene, ma’, ma prima di andare vedi se mi prepari una bella focaccina, così sopra mi faccio una bella tirata d’acqua.

– E va bene, benedetta figlia.

Preparata e presa la focaccina, la giovane si avviò con la creta sulla testa.

A un certo punto, proprio sulla via della fontana, trovò davanti un vecchierello con la barba lunga lunga, che, senza saper leggere e scrivere, le domandò subito un pezzetto di focaccina.

– Madonna, zio vecchierello mio, e quando ti ho dato un pezzetto a te, io poi che mi mangio?

Però ne ebbe subito dolore e gliela dette tutta a lui, con un sorriso fresco e trasparente come l’acqua.

Allora il vecchierello, tutto contento, guardandola fisso dentro gli occhi, le parlò con il cuore in mano.

– Figlia mia, da questo momento, quando andrai camminando e quando ti starai pettinando, vedrai che ti cresceranno appresso tanti fiori belli e profumati.

E così fu.

Appena riempita l’acqua, tornando a casa con la creta piena sulla testa, Palmina, passo dopo passo, diventava sempre più bella, sempre più bella, tanto che la madre, come la vide, lasciò a bocca aperta.

– Ma com’è, figlia mia, un’andata e una venuta dalla fontana, e sei diventata tanto bella?

Palmina, allora, contò il fatto del vecchio alla mamma, che, a sua volta, glielo disse alla cognata, che , a sua volta, glielo ruffianò alla figlia Sisina.

Il giorno appresso, a prim’ora, anche la mamma di Sisina, che non aveva chiuso occhio tutta la notte, mandò la figlia a prendere l’acqua e le mise in mano una focaccina fatta apposta.

E anche Sisina trovò davanti il vecchierello, che le chiese un pezzetto di focaccina.

– E sì, proprio a te te la devo dare la focaccina mia. Mamma a me me l’ha fatta e se te la do a te, io che mi devo mangiare, niente?

– Ah, così è? – Disse il vecchierello, un po’ incazzato. – E allora da questo preciso momento, quando andrai camminando e quando ti starai pettinando, vedrai che ti cresceranno appresso erbe seccate e fiori puzzolenti. Vedrai.

Oh, e così fu, tanto che la ragazza evitava di camminare e di pettinarsi; ma che devi fare, sempre brutta e puzzolente rimaneva. Insomma, Palmina sempre più bella e Sisina sempre più brutta; grande contentezza di qua e forte rabbia di là.

Tanta contentezza, che la madre di Palmina scrisse la cosa al figlio.

 Carissimo figlio, fratello di Palmina, non ti dico e non ti conto quello che ci è successo. Tua sorella così e così. Saluti e baci da mammà.

 Intanto, la rabbia della madre di Sisina cominciava a fare i vermi nella testa. Invece Cilluzzo, tanta era la contentezza, si andava vantando a bocca aperta della sorella bellafatta, che da dove passava le crescevano appresso fiori profumati, e chi la vedeva rimaneva incantato, e tutte le belle del mondo si potevano andare a buttare a mare al suo confronto. E tanto si vantava, tanto si vantava, che l’Imperatore lo sentì e lo mandò a chiamare.

– Beh!  Servo Cilluzzo, se è vero questo fatto che vai dicendo, fammela conoscere  questa tua sorella, perché... perché io tengo intenzione di sposarmi e allora... e allora, se è vero, non ti farò più fare il servo e starai con me a palazzo, ma mettiamo che non è vero, ti manderò a fare il guardiano delle papere, quant’è vero che mi chiamo Imperatore.

Cilluzzo scrisse subito alla mamma spiegando tutto per filo e per segno: partire immediatamente; venire con la nave; mi raccomando a questo; attenzione a quello.

Appena lo seppe la madre di Sisina, si mise come una zecca per partire insieme pure lei con la figlia: piuttosto fare la guardiana delle galline, che essere lasciata al paese.

E così, tutte e quattro le donne, sopra una nave, verso il paese dell’Imperatore.

Ma la notte, quando stavano in mezzo in mezzo al mare, la zia di Palmina, per la forte gelosia che teneva in corpo, agguantò la nipote nel sonno e come nulla la gettò nel mare, di testa abbasso.

Che ne sapeva che sotto l’acqua si doveva trovare la fata Serena, che poi era una sirena?! Quella fata infatti era come una spigola nella metà di sotto e come una bella bionda nella metà di sopra. Abitava sotto uno scoglio appresso alla casa di un polpo grande assai.  Difatti questa fata, per non fare annegare la bella giovane, e siccome non la voleva perdere, tanto era bella, la prese e l’attaccò per piede a una catena d’oro speciale.

La mattina, sopra la nave, cerca di qua cerca di là, ma niente da fare! La madre era disperata, ma purtroppo bisognava presentarsi all’Imperatore, che stava aspettando tutto nervoso. Fu così che, quando giunsero al palazzo, pensarono di fargli vedere, al posto di Palmina, Sisina.

Beh! Che macello! Sisina cominciò a puzzare; Cilluzzo voleva sparire; all’Imperatore gli vennero i cinque minuti; cacciò tutti a male parole e spedì il ragazzo a fare il guardiano delle papere.

Che brutto mestiere il guardiano delle papere: ogni giorno, solo solo, le doveva portare a pascere vicino al mare; ogni giorno, seduto sopra uno scoglio, piangeva e parlava nel pensiero con la sorella.

– Oh Palmina, sorella mia. Che brutto destino ci doveva capitare. Che peccato abbiamo fatto per fare questa brutta fine, tu ed io? Oh Palmina, Palmina mia! – E, per uscire dal dolore, steso sullo scoglio, entrava nel sonno.

Da sotto al mare, Palmina lo sentiva, eccome lo sentiva, e si voltava alla fata.

 Fata Serena, fata Serena,

molla un poco ‘sta catena,

finché vedo mio fratello

e poi presto torno a te.

 Allora, mentre Cilluzzo stava dentro il sonno, la fata Serena mollò la catena d’oro, in maniera che Palmina potette uscire dall’acqua del mare, sciogliersi i capelli e far crescere tanta erba fresca da saziare tutte le papere. Queste poi, lungo la strada del ritorno, si misero a cantare sotto gli occhi sbalorditi del ragazzo.

 Papere siamo e dal mare veniamo,

abbiamo visto tua sorella,

che come il sole e la luna è bella.

 Il giorno dopo successe, pari pari, la stessa cosa.

Allora Cilluzzo prese questa decisione: l’indomani, doveva fare finta di andarsene al sonno, e doveva spiare quello che succedeva.

E così, il giorno dopo, con la coda dell’occhio potette vedere la sorella che usciva dall’acqua del mare e faceva le cose che doveva fare. Lui stava per mettersi a gridare Palmina Palmina, ma la sorella gli fece segno di stare zitto e con un filo di voce gli dette alcune istruzioni.

– Prendi un bacile e mettici dentro un poco di mare… fai subito!

Subito lui si dette da fare, in modo tale che la sorella potette prima mettere il piede nel bacile di mare, poi staccare lentamente la catena e infine liberarsi.

– Libera!

– Liberi!

Baci abbracci lacrime carezze parole. Poi, circondati dalle papere cantanti, i due, mano nella mano, raggiunsero il palazzo dell’Imperatore e gli spiegarono tutto.

– Ma quanto sei bella di qua e quanto sei bella di là! E come profumi di qua e come profumi di là! – Disse per tre volte l’Imperatore, dopodiché ordinò di vestire la giovane con un vestito tutto d’oro e se la pigliò per sposa.

Poi, quando fu il banchetto dello sposalizio, sempre lui, l’Imperatore, comandò che ogni invitato si doveva mettere a contare la storia della propria vita. E fu così che, quando parlò quella strega della zia disgraziata, si capì bene tutta la storia di questa storia.

A quel punto, non rimase altro da fare che bruciarla viva con tutta la figlia e gettare le ceneri nel mare, prima di andarsene, dentro il palazzo, a vivere felici contenti.

... felici contenti.

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