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                 ARMATI                   

Il ventre insegna l'arte

C'era un padre abbastanza ricco, ma poco intelligente, il quale aveva tre figli. Poiché in casa non mancava nulla, non badò ad insegnare loro alcun'arte, pensando che essi sarebbero vissuti sempre nell'agiatezza. Ma quand'egli morì, i figli non lavorando, dettero ben presto fondo alla loro ricchezza e si ridussero nella miseria. Spinti dal bisogno, e non trovando alcuno che li aiutasse, decisero di recarsi dal re per domandare a lui i mezzi di vivere, o consigli sul da fare.

Per non essere indiscreti, si recarono uno dopo l'altro alla reggia, e riferirono al sovrano la loro condizione. Il primo giorno vi andò il primogenito, e disse al re che non sapeva come vivere, e voleva un consiglio; il sovrano lo ascoltò, e gli ordinò di ritornare fra un anno. Quegli rimase deluso nella sua speranza, e spinto dalla fame, appena fu nella via, incontrò un acconciatore di sedie, e lo pregò di prenderlo con sé a far servizi.

Questi lo accolse nella sua bottega, e dapprima lo adibì a trasportare la paglia e le assicelle, dopo a poco a poco gl'insegnò l'arte di acconciare le sedie, e gli dette una discreta mercede giornaliera.

Il secondo, avuta la stessa risposta del primo, quando fu nella via, non potendo tollerare la fame, s'accompagnò ad un calderaio che passava, e disse che voleva fargli qualunque servizio, purché gli desse da mangiare. Quegli lo tenne presso di sé, ed in breve tempo gli insegnò il mestiere, per cui poteva vivere onoratamente.

Il terzogenito, avuta la stessa risposta dal re, se ne andò per la strada di campagna, e arrestato da una comitiva di briganti, fu obbligato ad unirsi con loro. Essendo audace ed aitante della persona, fu ben presto eletto loro capo, e compì molte ribalderie, per cui divenne il terrore di quei luoghi.

Allorché era per spirare l'anno, ognuno dei tre volle tornare dal re.

I primi due fratelli s'incontrarono in un'osteria vicina alla capitale, e ognuno raccontò ciò che aveva fatto durante quel tempo. Ordinarono all'oste una pietanza di carne, ma quegli disse che non c'era nulla di buono, e dovettero accontentarsi di un pezzo di pane e formaggio.

Mentre erano lì, arrivò un cavaliere, che montava un bel cavallo ed era armato di fucile e pugnali. Era il terzogenito. L'oste impaurito gli andò incontro, e tutto premuroso gli domandò che cibi preferisse. Egli non fu riconosciuto dai fratelli, ma li riconobbe, e ordinato un lauto pranzo, li invitò a desinare con lui. Intavolarono discorsi, e saputa la loro sorte, domandò se avessero altri fratelli; quelli gli risposero che ne avevano uno, ma non sapevano più notizie di lui, da quando si era recato a parlare col re.

Allora il capo brigante si dié a conoscere, e li abbracciò. I fratelli stupefatti nel vederlo così fortunato, gli consigliarono di non recarsi dal re, il quale l'avrebbe arrestato; ma egli rispose che voleva mostrargli la sua bravura, e che non temeva le vendette di nessuno.

Il giorno dopo il maggiore si presentò dal sovrano, il quale gli domandò che cosa avesse fatto durante quell'anno; come seppe che aveva imparato l'arte del concia sedie, gli disse: "Bravo, figlio! Hai visto che il ventre sa insegnare l'arte? Continua a lavorare e vivrai onestamente". Ciò detto lo licenziò.

Uguale risposta dette al secondogenito; e, pur rallegrandosi col terzo fratello che era riuscito a diventare capo brigante, gli ordinò di smettere quel mestiere, altrimenti l'avrebbe fatto impiccare. Il giovane rispose arditamente: "Maestà non è possibile che io ascolti il vostro consiglio; ma vi prometto che se i vostri sbirri sono capaci di arrestarmi, io abbandonerò il brigantaggio, e mi metterò ai vostri servizi".

Il re accettò la sfida, e lo lasciò andare; nello stesso tempo dette ordine ai suoi gendarmi d'inseguire la masnada e di arrestare a qualunque costo il capo.

Questi, intanto, dopo essere sfuggito alle ricerche della polizia, volle dare al re una prova della sua abilità, e decise di derubare la zecca reale, che era a pochi passi dalla reggia. Difatti una notte, pur essendo l'edifizio circondato da alta muraglia, e difeso da numerose guardie, fece calare da una lunga ciminiera uno dei suoi, che entrato nella stanza dov'erano i sacchetti di scudi d'oro e d'argento, ne prese parecchi, ed attaccatili ad una fune, li fece tirare su dai compagni, che erano sopra la ciminiera; dopo aver preso un grosso bottino, si fece cavar fuori, e fuggirono senza essere visti dalle sentinelle.

Il mattino seguente queste riscontrarono il furto, ma non seppero rintracciare i ladri, né dire in che modo fossero penetrati nella zecca, perché ogni cosa era a posto. Il sovrano si convinse che l'organizzatore della rapina era stato il capo brigante, il quale il giorno prima s'era vantato di dargli prova della sua abilità, e punì i gendarmi che non erano stati capaci di arrestarlo.

Persuaso che i masnadieri dovessero tornare alla prova, fece collocare una grossa tina piena di pece sotto la ciminiera, per fare sì che vi rimanesse impigliato chiunque avesse osato di discendere. Varie notti dopo la banda ritornò a rapinare, ma il primo brigante che fu calato, rimase impigliato nella pece fino al petto, e non ne potè uscire. Ne dette notizia ai compagni che erano sopra la ciminiera, ed allora questi decisero di calare un secondo, dopo avergli date tutte le avvertenze perché evitasse la sorte del primo.

Difatti egli fermò i piedi sugli orli della tina, poi scese pian pianino, e penetrato nella camera del tesoro, rapì una gran quantità di monete d'oro. Indi disse al compagno: "Caro mio, a te è toccata una brutta sorte; da questa pece non potrà districarti nemmeno Iddio; se non ti ammazzo io, ti ammazzeranno i gendarmi domani mattina, ma prima vorranno sapere da te i complici e tu ci rovinerai. Invece io ti giuro che noi penseremo alla tua famiglia, e non le faremo mancar nulla. Perciò raccomandati l'anima a Dio, e rassegnati a morire".

Ciò detto gli tagliò la testa e la portò con sé. Il giorno dopo i guardiani riscontrarono il nuovo furto, e accorsi nel camino, trovarono il corpo del ladro decapitato, impigliato nella pece. Non sapendo a chi appartenesse, pensarono di portarlo in processione per le vie della città, sicuri che la moglie o altra persona di famiglia a vederlo così mutilato, avrebbe dovuto piangere, e così si sarebbe scoperto l'autore della rapina.

La gente a vedere quello spettacolo rideva, e tutti commentavano l'audacia dei ladri. Il capo della banda pensando che la vedova dell'ucciso alla vista del cadavere avrebbe pianto, e così l'avrebbe denunziato alla polizia, mandò un brigante a confortarla, e le regalò una somma di danaro.

Ella al triste annunzio della morte del marito scoppiò in lacrime, ma promise di tranquillizzarsi.

Invece allorché il macabro corteo giunse vicino alla sua casa, non potè trattenere il pianto, e cominciò a gridare. Il brigante temè d'essere scoperto dalla polizia; senza perder tempo, sferrò un poderoso calcio ad un grande orciuolo d'acqua che era in casa, e fece credere agli sbirri che la donna piangesse perché s'era rotto l'orciuolo. Quelli però ebbero dei dubbi, e come aveva ordinato il re, segnarono con un carbone una croce sulla porta dl quella casa, per continuare le indagini.

Alcuni della comitiva brigantesca, che mescolati nella folla seguivano il corteo, notarono il fatto, e per far disperdere le tracce dai gendarmi, segnarono con croce tutte le case dinanzi a cui passavano. Dopo che il cadavere fu seppellito, gli sbirri vollero tornare alla casa che avevano segnata di croce per sottoporre a minuto interrogatorio la donna, che aveva pianto, ma non riuscirono ad individuarla, perché erano migliaia le croci che portavano il segno.

Questo fatto destò grande stizza nell'animo del re, il quale punì i suoi gendarmi, che se la facevano fare da un solo uomo astuto. Costui vari giorni dopo si presentò al sovrano in abito di generale, e gli disse: "Maestà, ho voluto dimostrarvi che io sono più forte di voi; ora mi arrendo spontaneamente: fate di me quello che credete".

Il re dinanzi a tanto coraggio ed abilità, rimase stupefatto, e pensò che un uomo di tale fierezza ed astuzia poteva giovargli; quindi invece di farlo arrestare ed impiccare, lo scelse suo aiutante di campo, e nominò i due fratelli del brigante capitani dell'esercito.

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