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Giuseppe il giusto

Un ricco proprietario aveva una grande masseria dove teneva tanti animali: pecore e vacche in quantità ed un toro di eccezionale bellezza che era il suo maggiore orgoglio e, dove andava e andava, se ne faceva un vanto: "Il mio toro? Nessuno arriva ad essere minimamente paragonato: quelle corna... e quel muso... e quegli occhi, ti parlano... e quella coda... Una meraviglia!". Chiunque lo vedeva, lo ammirava e si vedeva sulla sua faccia tutta l'invidia per il padrone di quella bella bestia.

Bisogna sapere che questo fortunato proprietario teneva a servizio un uomo fidato che faceva di nome Giuseppe. Giuseppe, oltre ad essere un uomo che ti faceva dormire tranquillo per la sua onestà, aveva un difetto: non era capace di dire... ma neanche di pensare, una bugia. Tutto quello che accadeva alla masseria, pari pari, lo riferiva al proprietario. Che ti devo dire? Capitava che era entrata una mosca nella stalla? Lui lo riferiva al padrone. Non ti dico poi se era successo qualche guaio? A costo di rovinare la tranquillità del padrone, lui non mancava di farglielo sapere. Per tutto questo e per la sua onestà, gli amici, lo chiamavano Giuseppe il Giusto. Non ti dico di quanto il padrone si andava sciacquando la bocca a raccontare di tutti i fatti del suo Giuseppe. Il paese era pieno dei fatti che capitavano alla masseria. E quando il massaro parlava del Giusto ai suoi amici non c'era una volta che era subito creduto. "Non può essere!", dicevano invariabilmente gli amici. "Cose dell'altro mondo. Esistono uomini così?", aggiungevano dopo aver verificato i fatti. E ogni volta, l'orgoglioso padrone, se ne usciva nel vantarsi del fatto che per lui Giuseppe si sarebbe buttato nel fuoco, tanto gli era fedele. "Per Giuseppe esiste solo la verità e nient'altro che la verità. In quanto a fedeltà..., amici miei, non ci possono essere dubbi: nessuno può spingere il Giusto ad essere ingiusto. Non conosce il tradimento e se, putacaso, dovesse sentire l'odore della disonestà... Amici: il tempo di un lampo... io sarei subito messo al corrente.", affermava e confermava il fortunato massaro.

E tanto lo diceva e ripeteva che un giorno gli amici, esperti delle cose del mondo, fecero con lui una scommessa: una grossa somma di moneta che sarebbe andata a chi avesse vinto. Il proprietario accettò la sfida.

I compagni pensarono di studiare un mezzo straordinario per indurre il pastore a dire il falso e decisero di mandare alla masseria una formosa giovane, che con vezzi e moine doveva attrarlo a lei.

State a sentire cosa ti andarono a pensare: la donna, dopo averlo tentato, doveva ordinargli, come prova d'amore, di ammazzare l'orgoglio del padrone -il toro- prima di dargli le sue grazie.

Tutto andò come prestabilito: la giovane andò alla masseria in abito scollacciato; circondò il pastore di tante attenzioni e lo fece pazzamente innamorare. Ma quando Giuseppe volle abbracciarla ella gli negò le sue grazie spingendolo ad ammazzare il toro.

Giuseppe si sforzò di resistere a quella tentazione ma..., -il sangue non è acqua-  eccitato ed accecato dalla bellezza,  finì coll'accontentarla.

Quando la donna se ne fu andata lasciò Giuseppe, in preda al rimorso, con un toro senza vita.

Il sole scresceva e la luna cominciava il suo cammino. Giuseppe aveva mancato. Sapeva che la sua carriera di Giusto stava per concludersi con grandi danni economici e con quella macchia che nessun lavaggio avrebbe cancellato. Quando, sul tardi, si ritirò il padrone che tutto sapeva, una forza - quella forza che formava il suo rigido carattere- lo decise a confessare il tradimento.

Gli amici, sicuri di vincere la scommessa, erano rientrati col padrone e se la ridevano nascosti in una stanza vicina a quella in cui si trovavano i due.

Il padrone, facendo finta di niente, quando si trovò solo con Giuseppe, fece quello che faceva ogni volta che rientrava. "Come va?", cominciò e poi gli domandò come stessero le pecore,  le vacche, ed egli rispose che stavano benissimo; poi: " E il mio bel toro?". Giuseppe, senza alcun tentennamento,  gli confessò quanto aveva fatto.

Il padrone non lo rimproverò, anzi lo lodò ancora una volta per la sua sincerità ed i suoi amici, dal grasso riso passarono al serio conteggio della grossa somma che dovevano al loro fortunato avversario per la scommessa fatta.

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