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Il cane vizioso

C'era una volta un ricco signore. Questo ricco signore era proprietario di una grande masseria dove si divertiva con gli amici ad andare a caccia nel vicino bosco sempre di sua proprietà. Gli altri amici cacciatori, invitati alle battute di caccia, gareggiavano col ricco signore nell'esporre e mettere alla prova i propri cani, ma ogni volta il proprietario la spuntava perché il suo cane riusciva laddove gli altri non se la fidavano. Insomma questo signore era fiero del suo cane che tante soddisfazioni gli dava e lo faceva comparire di fronte agli altri cacciatori amici. A quel cane il signorotto riservava ogni attenzione e lo trattava come uno di famiglia, meglio di un figlio: antipasto, primo piatto..., fino al dolce (del dolce, in particolare, il cane era ghiotto).

Bene! La stagione dei viaggi era vicina: la primavera era inoltrata e l'estate prometteva bel tempo. Capitò che, dovendosi recare in villeggiatura, doveva lasciare il cane al massaro: "Queste sono mille e cinquecento lire. Io starò fuori una quindicina di giorni. Tu, con cento lire al giorno, procura al cane il cibo a cui è abituato! Mi raccomando! Sai come ci tengo a questo animale!", disse e consegnato il denaro se ne partì.

Il massaro rimase, col capitale in mano, sbalordito e senza parole e solo quando il padrone si fu allontanato si decise ad uscire il fiato: "Ma ti rendi conto? Un cane che deve mangiare meglio di noi?", disse alla moglie che era lì vicino e altrettanto imbambolata. "Compreremo sì da mangiare, ma con le cento lire al giorno mangeremo anche noi e questa bestia mangerà quello che mangeremo noi!"

La moglie temeva l'ira e il castigo del padrone e tentò di far cambiare idea al marito; ma quello tenne duro: andò a comprare cipolle, pasta, pane, legumi e tutto quello che da tanti anni non aveva mai avuto la possibilità di assaggiare.

Il primo giorno, al cane, servì due belle cipolle cotte: niente! Le cipolle rimasero dove erano state poggiate: il cane, dopo averle annusate, molto dignitosamente le scansò e, guaendo come un cristiano, andò ad accucciarsi lontano dalla tavola del massaro. Il secondo giorno gli dette un bel tozzo di pane bagnato: niente! Cipolle e pane rimasero ignorate. Il terzo giorno, sopra un foglio di cartogliata, fu messo un bel malloppo fave scorza e tutto: niente! Cipolle, pane e fave si tennero compagnia. Ed altro sano cibo si aggiunse nel giro di una settimana: niente, il cane non mangiava. "Madonna santa, marito mio, non vedi come sta facendo mazzo il cane? Quando viene il padrone e lo trova così, passiamo i guai! Dagli quello che vuole, fallo per le anime del purgatorio... e per noi che se no rimaniamo senza fatica e senza più mangiare.", si sfogò l'impaurita moglie del massaro. Quello, niente! "Cipolle, pane, fave, ossi e tutto quello che sta là non si butta. La fame è sempre buona consigliera: vedrai che mangerà!".

Infatti, al decimo giorno (a soli cinque giorni dal rientro del padrone), il cane, spinto dalla fame, cominciò, lentamente, a mangiare i fagioli. Dopo, meno lentamente, mangiò le cipolle. Poi divorò avidamente le fave, il pane e tutto quanto era stato abbandonato. "La fame è sempre buona consigliera!", commentò il massaro mentre la moglie cominciò a sentirsi sollevata alla vista di quel cambiamento. Gli ultimi cinque giorni passarono felicemente per i massari e per il cane che, con le nuove abitudini, aveva imparato a mangiare tutto.

Quando il signore tornò dalla villeggiatura, vide il cane con una linea invidiabile: bello, scattante e forte; se ne meravigliò e domandò al portinaio che mezzo avesse adottato per fargli acquistare tutta quella energia. L'onesto massaro gli disse la verità e, mentre la moglie tremava in attesa dell'ira del padrone, il signore prese dal suo portafoglio un bel fascio di moneta di carta e li regalò al buon dipendente. Quel cane ora, senza fare tante mosse, continua la cura.

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