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 IL RICCIO E LA LEPREwpe1.jpg (6852 byte)

C'era una volta una lepre che, accovacciata nella sua tana e al caldo, se la godeva a guardare dal buco del suo ricovero e se la rideva dentro di sé sentendosi al sicuro: fuori la neve la faceva da padrona giocando col il vento. Era, diciamo, in contemplazione dei fiocchi di neve quando ad un certo momento vide avvicinarsi un riccio, che essendo irrigidito, alternava passettini ad appallottamenti. Quando la palla spinosa giunse davanti al buco della tana, con un fil di voce salutò cortesemente la compagna, e le chiese: "Come stai in questa tana?" "Bene" rispose la lepre. "Io invece" soggiunse il riccio, "tremo dal freddo e non trovo un buco dove ricoverarmi. Puoi farmi un posticino in questa tana?"

Rispose quella: "Mi dispiace di non poterti accontentare; è così piccola la mia casa che ci posso stare io sola". "Ma vedi se ti stringi un po' alla parete" replicò il riccio, "io sono tanto piccolo; una pallottola può trovare posto dappertutto". "Ma non è possibile" riprese la lepre; "la tana può contenere o te o me".

"E facciamo la prova" aggiunse il riccio; "prometto che se non ci sarà spazio, me ne andrò subito". La lepre, con la santa pazienza, si strinse alla parete e l'altro, sforzandosi di aggomitolarsi il più possibile, entrò. Come fu nella tana, disse alla compagna: "Hai visto! Stiamo comodi tutti e due".

Lasciato il freddo fuori, il riccio, - piano piano -  cominciò a distendere il corpo acquistando un volume triplo di quello che aveva prima. Come aumentava di spazio, egli spingeva la lepre, che punta dagli aculei, cominciò a protestare ed a lamentarsi. Il riccio rispose: "Che vuoi da me? Questa è la mia natura: devi prendertela con chi mi ha creato. è lui che mi ha fatto così". "Ma no" continuò la lepre "devi rimanere aggomitolata, altrimenti mi strazi le carni".

"è giusto quello che dici" insisté il riccio, "ma non posso trattenermi dallo sviluppare il mio corpo, perché ho un bisogno urgente". Intanto i suoi aculei, oltrepassando il pelo della lepre, cominciavano a penetrare nelle carni della povera lepre che, per non rimanere uccisa, fu costretta a scappare da quella tana, maledicendo l'intruso, che l'aveva ripagata con tanta ingratitudine.

 

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