C’era e c'era una volta, tanto e tanto tempo fa, dalle parti della Murgia, un giovane che di nome faceva Franco, ma da tutti chiamato "Lo stanco". Grande e grosso ma pigro, Franco Lo stanco, era svogliato e fannullone (in una parola: stanco), al punto da passare tutto il giorno seduto al sole a dormire o a fantasticare. Quando qualcuno, passando, lo salutava: "Uè lo stanco!", lui manco per sogno, non rispondeva e non perché fosse superbo o maleducato, ma perché era faticoso farlo. Il lavoro, naturalmente, lo sparava... senza fucile, altrimenti avrebbe faticato. I genitori - poco ricchi e molto vecchi - tentavano, con minacce preghiere e suppliche, le varie strade per aprirgli gli occhi... ma Franco Lo stanco consumava le giornate senza nessun frutto. Solo quando, un giorno, si accorse che la quantità e la qualità del cibo diventavano sempre più scarse e scadenti, cominciò a rendersi conto che... "Se voglio mangiare come i cristiani, è giunto il momento di muoversi... ma senza tanti sforzi. Adesso mi alzo e..." E, mentre pensava, prima di addentare un cugno di pane, vide che un nugolo di mosche era stato attirato da una piccola crosta di formaggio caduta. Il giovane, quasi senza rendersene conto, lasciò cadere una manata nel centro ove più fitte erano le mosche e ne ammazzò una certa quantità: ".. e una e due e tre e... e sette!". Ben sette mosche erano morte stecchite. Impressionato dal fatto che la semplice decisione di muovere un braccio avesse prodotto tante morti, maturò un'idea per fregare il prossimo. Si disse:
Detto fatto, si fece disegnare un cartello con su scritto "Ammazzasette", se lo mise a tracolla e cominciò il giro dei paesi e delle campagne, preceduto dalla fama di uomo terribile, fortissimo, imbattibile, di uno che, con un solo colpo, aveva spento sette vite. Dovunque andasse, anche i più coraggiosi tremavano di paura e tutti erano ben felici di rimpinzarlo di ogni ben di Dio, di dargli da bere il miglior vino, di dargli tutto quello che voleva pur di liberarsi di lui nel più breve tempo possibile. Per "Ammazzasette" era
una vera
pacchia, ma... Il mattino dopo, alla presenza
di tutto il paese ed anche degli abitanti dei paesi vicini richiamati dalla
notizia della sfida, tra musica di banda e voci di venditori, si svolse la gara.
Quando i due contendenti si allinearono ai limiti del bosco... il silenzio
s'impadronì della vallata (anche gli uccelli smisero di cinguettare). Ammazzasette si tolse con calma la giacca (i muscoli brillarono ai riflessi del sole), fece alcune flessioni sulle gambe e poi, con calma e tranquillità, si avviò verso il proprio albero con la mano tesa davanti; accennò ad una leggera rincorsa e con grande facilità infilò le dita nell'albero, facendo poi vedere agli sbigottiti spettatori ben cinque fori, grossi e profondi, che aveva prodotto nell'albero. Applausi e grida accompagnarono lanci di coppole e cappelli. Nannorco non volle essere da meno; prese una lunga rincorsa, indurì la mano e di gran carriera si precipitò contro il proprio albero: si ritrovò con tutte e cinque le dita fratturate, ma sull'albero nemmeno un segno. Cosa era successo? Aprite bene le orecchie: era successo che la notte precedente Ammazzasette, con l'apposito attrezzo, aveva praticato alcuni fori, cinque per la precisione, nel proprio albero mettendovi dentro un po' di miele per nascondere i fori stessi e dare l'impressione che si trattasse di resina. Così aveva potuto tranquillamente infilare le dita nell'albero e, mentre Nannorco gridava di dolore e imprecava per le dita spezzate, Ammazzasette, soddisfatto e contento, si leccava le sue. La cosa suscitò grande impressione, ma Nannorco non si volle dare per vinto: aspettò che fosse guarito - intanto Ammazzasette campava a sbafo a spese di quei poveri abitanti - e propose, al vincitore della prima, una nuova sfida. Avrebbe vinto chi avesse scagliato un grosso masso più lontano. Ammazzasette accettò. Il giorno fissato per la nuova gara la piazza del paese era stracolma di gente: bande... grida e... Il masso da lanciare era veramente enorme. Era stato portato in piazza da ben tre uomini ed ora se ne stava su di un piedistallo, pronto per essere lanciato. Nannorco, che questa volta volle gareggiare per primo, prese una lunga rincorsa, inarcò le spalle, tese al massimo i muscoli, strinse i denti, alcuni dei quali per lo sforzo eccessivo si ruppero, e lanciò masso con quanta forza aveva in corpo. Il grosso masso volò a lungo nel cielo fin quasi a scomparire dalla vista dei presenti e poi piombò a terra con un gran fracasso. La folla applaudì. I giudici misurarono con esattezza la distanza. Giunse il turno di Ammazzasette. Dal punto in cui era atterrato il masso, l'ex-Stanco si tolse con calma la giacca (tutti zittirono), la ripiegò con cura (tutti si fecero piccoli piccoli) e la depose per terra (tutti insieme ruotarono la testa con gli occhi fissi sulla giacca). Si arrotolò le maniche della camicia mettendo in mostra dei muscoli ben sviluppati (tutti emisero un "oh" di meraviglia), fletté sulle ginocchia (tutti trattennero il fiato) e gridò:
Tutti, impauriti, cominciarono ad allontanarsi e Ammazzasette riprese:
Tutti cominciarono a tremare all'annuncio di tali imminenti
catastrofi e tutti cominciarono a gridare: Ammazzasette temporeggiò finché il grido non diventò supplica e..., quando stava per avvicinarsi al masso, esagerando il grande dibattimento interiore, alla fine si lasciò convincere. Da allora Franco Lo stanco gira il mondo sfidando e prendendo in giro tutti quanti. Se lo incontrate, non sfidatelo; lasciatelo andare. Perché? Per poter concludere questa storia con... e vivono tutti felici e contenti! |