Il Castello

CASTELLO

Il Tesoro

Nell’ambito della tradizione orale, al CASTELLO si associano fantasmi di personaggi spaventosi e storie terribili di sacrifici umani: si fa esplicito riferimento alla possibilità di appropriarsi di ingenti TESORI ivi nascosti, mediante l’uccisione di un neonato.

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Le tradizioni plutoniche meridionali, nel tracciare la mappa dei tesori nascosti, includono spesso castelli e case diroccate. Uno schema culturale presente in numerose credenze plutoniche prevede lo spargimento rituale del SANGUE di in bambino, per liberare il tesoro vincolato dallo spirito di un assassinato.

Il sangue sacrificale ritorna in numerose vicende fiabesche: il sangue di una vittima innocente è in grado di ridare la vita, quindi partecipa di un potere che è fondante rispetto a tutti gli altri poteri, il potere sulla vita e sulla morte. Il sangue di un innocente, quindi, è in grado di annullare magicamente ogni ostacolo: non stupisce, allora, che l’uccisione di un bambino (o la deflorazione di una vergine) costituisca l’elemento che annulla tutte le barriere previste a custodia di un tesoro nascosto.

Per Dorsa, il fatto che bisogna sacrificare animali e bambini per il ritrovamento di tesori, richiama i sacrifici pagani, i quali placavano Mania, la madre degli spiriti sotterranei, col sangue dei bambini, sostituiti in seguito da fantocci appesi davanti alle case.

Giuseppe Bonomo accenna alle credenze relative alla funzione del sangue sia nella stipula di un patto tra un essere umano e il diavolo, sia nello scioglimento di un incanto che vincola un tesoro. Nel primo caso, la firma con il sangue rende il contratto di asservimento al diavolo magicamente e giuridicamente perfetto; nel secondo caso, il sacrificio di sangue alle potenze infernali ha valore propiziatorio per il ritrovamento del tesoro.

Molto spesso, presso i tesori nascosti, si trova il DIAVOLO, sia come guardiano geloso, sia come genio della ricchezza sotterranea. I tesori che giacciono sotterrati, infatti, sono spesso custoditi da uno spirito benefico o malevolo, e fra questi spiriti il diavolo ha una funzione primaria: nella tradizione germanica, tutto ciò che giace tre piedi sotto terra gli appartiene. Il diavolo può anche sollevare tali tesori attraverso l’aria e trasportarli. In ogni caso, per impossessarsene, bisogna ricorrere a un patto con il demonio o offrirgli sacrifici animali, accompagnati da particolari riti.

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monacello o monachicchio

La credenza in monti, antri e caverne sedi di tesori è diffusa in tutta Italia. In Abruzzo, essa è legata in gran parte alla voci relative a nascondigli nei quali gli invasori o personaggi particolarmente ricchi e potenti hanno seppellito i propri tesori. In Sicilia, i tesori e le relative località in cui sono nascosti, appaiono innumerevoli nella tradizione. Risalgono a varie origini storico-leggendarie, come la memoria dei Greci antichi nell’isola, l’espulsione dei Bizantini, la presenza dei Saraceni, la cacciata dei Gesuiti. Sono chiamati trovature o banchi e sono sempre incantati, poiché sopra di essi furono compiute operazioni magiche che prevedevano l’uccisione di un uomo, lo spirito del quale sarebbe rimasto legato al luogo. Custodi di tesori, in Sicilia, sono personaggi mitici come lo Schiavo, i Nani, i Mercanti, la Monacella, talvolta animali come il serpente o il drago. Tutti sono in relazione con il diavolo. Sempre in Sicilia si crede che nessuno possa scoprire il tesoro e liberarlo dall’incantesimo senza ricorrere a un rituale, detto spignari (da pegno) o sbancari (da banco). Si ricorre perciò a vari espedienti, difficili o ridicoli, spesso sacrileghi, disumani e crudeli: si sale una montagna di corsa, reggendo un bicchiere colmo d’acqua senza farne cadere una goccia; si mangia correndo un piatto di maccheroni; si bruciano sul tesoro candele di grasso umano; si uccidono uno o tre uomini, o sette bambini, o un proprio figlioccio, o tre uomini di nome Matteo.

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V. Dorsa, La tradizione greco-latina negli usi e nelle credenze della Calabria Citeriore, Cosenza, Migliaccio, 1876, pp. 26 – 27.

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G. Bonomo, Scongiuri del popolo siciliano, Palermo, Palumbo, 1978, pp. 76 – 77.

 

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G. Pitrè, Usi, costumi e credenze del popolo siciliano, vol. IV, Palermo, Clausen, 1889, pp. 367 e ss.

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