LADRI E BRIGANTI

Molte fiabe sui ladri e sulle loro avventure consistono di un motivo o di un episodio singolo. Questi episodi, però, il più delle volte formano parte di più lunghe fiabe complesse.

Una di queste fiabe complesse riguardanti i ladri ha una storia molto lunga. È stato nel quinto secolo a. C. che Erodoto ha raccontato la fiaba del Tesoro di Rampsinito (Tipo 950 nella classificazione di Aarne – Thompson), ed è probabile che parti di essa fossero note in Grecia prima di tale epoca; ma è certo che tutte le versioni successive si rifecero a quella di Erodoto. Troviamo questa fiaba non soltanto nelle raccolte letterarie del Medioevo e del Rinascimento europeo, ma anche negli scritti buddisti del principio dell’era cristiana e nella raccolta indiana Kathasaritsagara (L’oceano dei fiumi di novelle), che risale alla fine dell’XI secolo.

Erodoto ci racconta la storia con dovizia di particolari, e i cambiamenti che essa subì nei duemilaquattrocento anni che seguirono si riducono a rielaborazioni di minor conto: l’architetto del tesoro del re ha lasciato smosso un blocco di pietra, noto a lui solo, dell’edificio, e in punto di morte ne confida l’ubicazione ai due figli, affinché possano entrare quando vogliono nel tesoro. In certe versioni più moderne, è l’architetto stesso che va a rubare nel tesoro. A volte la presenza del ladro nel tesoro è denunciata dal fumo del fuoco di paglia che sfugge per l’apertura segreta. Comunque sia, il ladro è preso in trappola. Affinché non si venga a conoscere la sua identità e il fratello possa andare avanti a rubare, il ladro chiede a questi di tagliargli la testa e di lasciare a terra il suo corpo privo di testa. Nel disperato tentativo di identificare il ladro, il re fa trasportare per le strade della città il corpo decapitato, sperando che qualcuno, riconoscendolo, gli si avvicini per piangerlo. Sebbene il fratello abbia avvisato la famiglia, la madre freme di riavere il corpo del figlio. Allora, secondo il racconto di Erodoto, il fratello riesce a rubare anche il corpo decapitato, facendo abilmente ubriacare le guardie, oppure indossando la stessa variopinta divisa delle guardie e facendosi passare per una di esse. Anche l’ultimo tentativo che il re compie per catturare il ladro vivo e identificare quello morto non ha successo. Il re manda la figlia in un bordello, dove tutti gli uomini possono accedere a lei. Essa chiede a ciascuno di raccontare la più pericolosa impresa compiuta. Se riuscirà a individuare il ladro, lo marcherà con un segno nero. Ma il ladro segna di nero tutti i cavalieri e lo stesso re, riuscendo a non farsi scoprire. Erodoto racconta le cose un po’ diversamente. Se scoprirà il ladro, la principessa gli terrà forte la mano. Venuto a conoscenza di ciò, il ladro porta con sé la mano di un morto, mano che rimane stretta fra quelle della figlia del re, mentre egli scappa. Altre versioni ricorrono a un bambino per scoprire il ladro. Al ladro, il bambino consegnerà un coltello. Ma, al momento giusto, il ladro scambia con lui un giocattolo e così riesce a non farsi scoprire. Alla fine il ladro ottiene sempre in premio la figlia del re.

Questo è uno dei più straordinari esempi di stabilità della fiaba popolare. Attraverso le più tortuose vie, questa storia di Erodoto è entrata a far parte del repertorio non solo dei novellieri del Rinascimento, ma anche degli umili novellatori di Europa e Asia.

In questa fiaba, il narratore parteggia apertamente per il ladro contro il re. Ma vi è una versione, familiare alla letteratura dell’Europa settentrionale fin dal Rinascimento, ed entrata nella tradizione orale della Germania, dell’Ungheria e dei Paesi Baltici, in cui il re è l’alleato del ladro, con il quale va, travestito, a rapinare una banca. Ma il ladro non gli permette di prendere più di sei monete d’argento, facendogli notare che egli ha tanti ladri al suo servizio. In un’altra versione puramente baltica, La rapina della banca (Tipo 951 B), i ladri sono d’aiuto al re, scoprendo accidentalmente, mentre si arrampicano per entrare nella banca, un complotto contro di lui.

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